Tra le incantate frequenze della poli-espressività. Around Zabriskie Point di Enrica Fico Antonioni
di Vittorio Giacci
Forse Zabriskie Pont è la storia di una ricerca, di un tentativo di liberazione. In un senso interiore e privato. Ma a confronto con la realtà provocatoria dell’America. Il mio film è una fantasticheria, la vicenda personale e particolare di alcuni.
Michelangelo Antonioni
Michelangelo Antonioni, il cineasta più moderno tra i moderni, da sempre ci aveva abituati a fluttuare nell’iper-spazio delle architetture della Visione delle sue opere filmiche, così come nelle sintonie delle sue influenze letterarie, dalla scrittura fenomenologica di Beckett alla destrutturazione anti-narrativa del “Nouveau Roman” di Butor e Robbe-Grillet e al pessimismo esistenziale di Pavese e Camus, e poi ancora al “male del vivere” di Montale.
Ma ci aveva fatto errare anche nel “dolce naufragar” del suo “sguardo eluso” sia nelle soluzioni della pittura astratta contemporanea – in particolare di Mark Rothko e grazie a lui stesso pittore delle affascinanti “Montagne incantate”, sia nel suo spaziare nella musica rock degli Yarbirds e dei Pink Floyd come in quella astratta di Giovanni Fusco e quella jazz di Giorgio Gaslini.
Antonioni resta infatti l’artefice esemplare di una sorta di anticipato metaverso visivo in grado di attraversare, incrociandoli, linguaggi e segni, modalità espressive e figure di un universo poli-espressivo articolato nelle dinamiche cognitive non di “un pensiero fatto ma di un pensiero che si fa” e dentro cui “inventa un mondo inventando delle forme”.
E ciò fin dai tempi di Deserto rosso, quando l’impossibilità tecnica di manipolare creativamente le cromie dei sentimenti lo aveva indotto a “violentarle” dipingendo, materialmente e anti-naturalisticamente prati e piante, paesaggi e ambientazioni, o da quelli di Blow Up dove conversavano in modo fortemente inter-connesso cinema e fotografia, moda e musica, Fashion e atmosfere swinging London.
Ogniqualvolta qualcosa di nuovo si affacciasse nella galassia cinema, Antonioni era là, primo tra gli autori ad accorgersene, a interrogarsi, a “investigare”.
E’ presente alla prima rivoluzionaria transizione dall’analogico al digitale con l’avvento dell’elettronica, primo a sperimentare, con Il mistero di Oberwald, le seducenti potenzialità delle riprese su nastro con telecamera al posto di pellicola e cinepresa, ed è ugualmente il primo regista italiano a esercitarsi, con Fotoromanza di Gianna Nannini, nella nascente e giovane diegesi inter-mediale della video-musica.
Non poteva dunque che appartenergli anche l’applicazione al cinema delle più avveniristiche soluzioni tecnologiche, come il carrello speciale che racchiudeva la cinepresa in una sfera per evitare sobbalzi e rendere fluido il movimento, utilizzata per l’incredibile piano-sequenza che concludeva Professione: reporter, o come macchine da presa sperimentali quali la Photosonic IVN e la Mitchell Camera GC ad alta velocità di scorrimento, utilizzate fino a quel momento esclusivamente a scopi scientifici o strategici, a cui ricorre per la spettacolare sequenza finale dell’esplosione della villa nel deserto di Zabriskie Point, per ottenere il risultato di un estenuante/attraente “effetto ralenti” capace di comunicare una sensazione di appagamento di un desiderio e di un piacere tanto sognato e, congiuntamente, di mostrare – come avviene nel film – la deflagrazione degli oggetti e dei simboli di una società invadentemente e oppressivamente consumistica che si voleva radicalmente contestare.
Nel solco di tale esternazione visiva così esteticamente purificata, si muove Enrica Fico Antonioni, moglie del regista e regista lei stessa, e proprio con questo film, nell’ ammaliante esperienza multi-mediale del progetto Around Zabriskie Point. Il cinema, la musica e il viaggio psichedelico. Luoghi immaginari tra il road movie di Antonioni, i Pink Floyd e la psichedelica. Rielaborazioni musicali e vocali intorno ad inediti del capolavoro di Michelangelo Antonioni, recentemente presentato in anteprima a Roma, presso il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica dedicato al compianto Gianni Borgna, dove sono congiuntamente rappresentati e correlati spettacolo dal vivo e spettacolo riprodotto; comunicazione visiva e voce narrante; immagini ed esecuzioni musicali con ri-elaborazioni della colonna sonora del film eseguita dai Pink Floyd.

Come in un ininterrotto piano-sequenza antonioniano, confluiscono in un medesimo polivalente dispositivo iconico, acustico e verbale, il commento musicale originale del gruppo Interstellar Underground (Mauro Tiberi, direzione musicale, basso, contrabbasso e voce: Sara Mandile, batteria; Gianluca Bacconi, tastiere; Alex Marenga, chitarra ed elettronica) a rivisitare il sound-track della celebre rock band Pink Floyd, in assoluto la più poli-espressiva (memorabile la loro esibizione, certamente il più eccezionale evento musical/multi-mediale nella storia dei concerti pop, nel luglio 1989 sulle acque della laguna veneziana antistanti piazza San Marco affollata di spettatori), e le immagini di un back-stage originariamente senz’audio, girato in super 8 dalla troupee dai collaboratori del regista (e qui montate da Claudio Di Mauro) durante i sopralluoghi e le riprese del lungometraggio.
Sono inquadrature carpite dalla quotidianità del set che rivelano il lavoro di ricerca figurativa condotto dall’occhio di Antonioni sulle sconfinate ambientazioni naturali del continente americano culminanti nella scena della deflagrazione ripresa simultaneamente da diciassette punti di vista differenti da altrettante cineprese (“una pluri-visionarietà incisiva” la definiva Edoardo Bruno), coordinate dal direttore della cinematografia Alfio Contini.
Su di un ordito già così evocativo si immerge, come fra quegli “interstizi” che Roland Barthes aveva posto a determinazione dell’opera di Antonioni, la voce narrante della stessa Enrica che è anche l’autrice del testo, preziosa interprete di un ricordo che interagisce, strumento tra gli strumenti di un emozionante e ineguagliabile dialogo riguardante sia il film che momenti di vita con il Maestro, generando un coinvolgente trasalimento, recuperato dalla storia di un’epoca e re-immesso in un’idea di spazio memore della costante triangolazione della composizione antonioniana e qui strutturato in colloquio complementare a tre voci, tra schermo, sonorità musica e contrappunto vocale.
“It’s time to go. There is no pain. You are receiding. You are only coming trough the waves – recitano le parole interpretate dalla voce dal timbro ora dolce e malinconico ora energico e irruente di Enrica Fico Antonioni a illuminare la proiezione del “dietro le quinte” in una scansione fonetica vibrante di emozione – When you were a child. You caught a fleeting glimpse out the corner of your eye. And now the child is grown. The dream is gone. You have become. Confortably numb.”
L’evento fluttua in una dimensione fantastica che, è, contestualmente, fisica e interiore, pienamente conforme a quella magnificamente rappresentata dal film, dilatata memoria personale di apparizioni non invischiate nelle strettoie del Contingente e perciò viaggio-metafora che si eleva dal Relativo per immettersi nell’Assoluto dell’Anima fino a lambire le seduzioni dell’Utopia.
Una plurima e appassionata performance nelle incantate frequenze di una contemplativa poli-espressività alla quale il pubblico che gremiva la sala ha tributato un caloroso e prolungato applauso rivolto a tutti gli interpreti presenti, da Enrica Fico Antonioni agli Interstellar Underground, ai Pink Floyd, e al più presente di tutti, Michelangelo Antonioni, nella perennità della sua Arte.

