The CUT–UPS
di Edoardo Nardi
Rileggendo alcuni saggi di Burroughs e rivedendo The Cut-ups (1966) girato insieme a Antony Balch, propongo tre considerazioni: anzitutto nel 1959, mentre Godard girava a Parigi A bout de souffle (1960), Burroughs riprendeva nel medesimo luogo le immagini per il suo Cut-ups. Due diverse idee di cinema si affrontavano: il cinema che filtrava la realtà a partire dal sapere umanistico, dall’insieme della cultura occidentale compresa la breve Storia del cinema, apparteneva a Godard che si poneva come innovatore; le immagini derivanti dalla realtà percepita attraverso l’uso di droghe e, dunque riprodotta in flussi di puro montaggio era propria di Burroughs. E’ certo, vista l’evoluzione della nostra società, che l’uso di droghe sia stato sostituito, almeno nella grande maggioranza della popolazione, dalla fruizione frenetica ed ininterrotta delle piattaforme in Internet. E’ in quella sede che si produce la dopamina di cui i contemporanei necessitano per affrontare la vita quotidiana. Dunque gli autori lisergici, che hanno fatto delle droghe il tema prediletto delle proprie opere, oltre ad un vero stile di vita, assumono oggi un ruolo privilegiato nella comprensione di una realtà sfuggente alla percezione comune. De Quincey, Baudelaire, Poe, De Nerval, Lovecraft, Burroughs, Dick, costituiscono i piani letterari del presente, mentre l’uso di LSD ad esempio da parte di Kubrick e Fellini, oltre alle droghe utilizzate dagli autori delle avanguardie o da alcuni cineasti sperimentali statunitensi del dopoguerra, ne costituiscono il piano immaginario. Il problema di fondo, è che si è da sempre tentato, anche da parte degli stessi artisti, di individuare nelle droghe delle porte ulteriori della realtà conosciuta, una sorta di ampliamento della percezione. Oggi invece, la dopamina innescata in dosi massicce da social e piattaforme, impone che la visione lisergica costituisca l’unica forma reale di conoscenza della realtà contemporanea. Secondariamente, nel realizzare i propri cut-ups, tanto letterari che per immagini, Burroughs raccomandava di imparare a rubare i contenuti di altri autori, come immagini prese per strada. Saccheggiare e rimontare per destinare le immagini e le parole, che vedeva in secondo ordine, troppo indietro rispetto alle immagini, ad un nuovo uso ed un nuovo senso, paragonabile ovviamente alle pratiche di Debord. Rubare e montare in nuovo ordine immagini e parole per affrontare il potere dei nuovi media, soprattutto la televisione che stavano affacciandosi allora quale nuovo braccio del potere, assieme alla stampa. In The revised boy scout manual (1970 – 1971), Burroughs esorta i giovani a filmare il proprio quotidiano e montare tali immagini con altri materiali per dare un senso nuovo, creare le proprie notizie da anteporre a quelle rigidamente incastonate nel potere derivanti dai media. Certo questa pratica ricorda da vicino gli odierni social networks, nei quali un flusso di immagini quotidiane stordiscono i fruitori. Per Burroughs, quelle immagini banali avrebbero sabotato la macchina perfetta della produzione di immagini di potere architettata dai media. Purtroppo gli algoritmi alla base della selezione delle immagini presenti nei social media rispondono a nuove logiche di mercato e potere, ma il senso di sovversione presente all’epoca degli scritti di Burroughs impediva forse di individuare in toto la forza pervasiva del capitale. In terzo luogo l’autore cinematografico più vicino all’opera di Burroughs, della quale si è occupato anche direttamente, ad esempio con Naked Lunch (1991), è certamente David Cronenberg. Tuttavia non credo sia tanto in quel film tratto dall’omonimo romanzo di Burroughs, che si debba ricercare l’affinità teorica tra i due autori. Oltretutto, trarre un film da un autore che è attraversato dalla tossicodipendenza, è di fatto impossibile. Cronenberg però ne conosce le teorie sul futuro dell’arte e le ha fatte proprie esprimendole in ogni singolo film. Ad esempio è singolare ciò che Burroughs afferma in un breve articolo contenuto in The Adding Machine (1985) nella versione pubblicata da Adelphi con il titolo La calcolatrice meccanica (2024): Ecco una domanda per tutte le scuole: se l’arte ha subìto un cambiamento così drastico negli ultimi cento anni, cosa pensate che faranno gli artisti tra cinquanta o cento anni? Possiamo sicuramente prevedere un’espansione nel regno dell’arte esplosiva…un televisore che si distrugge da sé… E’ certo un passaggio che richiama letteralmente Videodrome (1983). Un’arte esplosiva è un’arte che non può riconoscere più la realtà che l’ha generata. La distrugge perché la percepisce aliena. Ecco la sindrome delle nuove immagini dei social media: raffigurano ripetutamente una realtà che non gli appartiene, che si sdoppia agli occhi dei nuovi spettatori. Se la televisione soggiogava con la forza della persuasione sessuale, appunto in Videodrome, i nuovi media persuadono con la ripetizione indefinita di una realtà che non riconosciamo più, un mondo reso spettacolo finale e desolante e che produce dipendenza. Ecco perché il film di Cronenberg che maggiormente risente della lezione di Burroughs è certamente M. Butterfly (1993), a mio avviso il suo vero capolavoro. Due anni dopo aver affrontato Burroughs in Naked Lunch, Cronenberg tenta di svelare il mito di Pigmalione, nel mettere in scena la intensa ed impossibile creazione di una perfetta immagine del desiderio. Poco importa la desinenza sessuale, il desiderio appartiene alla proiezione infinita della propria visione della realtà. Una realtà che non ci appartiene mai completamente, che non sappiamo mai vedere compiutamente, che spesso non sappiamo vivere.