Corpi ricomposti nella crisi identitaria dell’elemento digitale
Festival dei Due Mondi. Spoleto 67° edizione
di Francesco Scognamiglio
Quest’anno al Festival dei Due Mondi di Spoleto si è esibito in concerto Daniel Lopatin Aka Oneohtrix Point Never, produttore musicale statunitense noto per i suoi esperimenti con la musica elettronica, per le sonorità noise e ambient dei primi album fino a quelle di un post-rock quasi horror dei più recenti lavori, e per le collaborazioni con i fratelli Safdie per cui ha composto le colonne sonore degli ultimi loro film.
Accompagnato da una lieve pioggia, lo spettacolo sonoro è diventato audiovisivo grazie al lavoro dal vivo dell’artista multidisciplinare francese Freeka Tet e per il materiale elettronico del videoartista Nate Boyce.
Questo mi ha spinto ad approfondire i lavori di questi artisti riscontrando una forte connessione, estetica e concettuale, con molti altri artisti legati alla musica elettronica contemporanea. Ho cercato di delineare a partire dal concerto, una tendenza comune per chi nel digitale cerca l’errore e prova ad umanizzarlo.
Per gestire la regia dello spettacolo dal vivo, Freeka decide di creare un plastico raffigurante un palco scenico in miniatura in cui al centro è presente un pupazzo abile, inizialmente il fantoccio del musicista, che si esibisce muovendosi meccanicamente grazie a degli ingranaggi nascosti. Un analogo concerto si sta svolgendo sotto il tetto del modellino.
Posto sul piano di fianco a quello degli strumenti musicali, il modellino fa da contraltare sembrando da lontano un grande presepio.
Vediamo l’artista di spalle al pubblico riprendere con un cellulare quello che succede all’interno: Tante luci si illuminano ad intermittenza di vari colori, la mano del pupazzo si abbassa e si alza mentre la testa si flette dall’alto al basso.
Grazie allo schermo dietro il musicista (OPN) riusciamo a vedere tutto quello che Freeka riprende con il telefono. L’assetto plastico si unisce al concerto reale se non fosse per alcune livelli digitali che si intromettono prima dell’uscita video. Sono alcune visuals di Nate Boyce che appaiono come videomapping virtuale tra la camera e il palco scenico in miniatura. Vediamo molteplici esseri digitali cercare instancabilmente nuove forme (tra loro anche alcuni personaggi della Disney). È come assistere ad uno spettacolo impossibile.
Le inquadrature cambiano durante la performance e ogni tanto vediamo il vero musicista spuntare oltre i margini del teatrino in miniatura.
Il fantoccio finisce in primo piano e la persona, in tutta la sua reale grandezza, subito dietro di lui, e ancora più dietro, in secondo piano, lo schermo che già contiene a sua volta tutti i piani descritti. Ma nella realtà il palco e gli artisti sono piccoli e distanti. Le trovate visive che vediamo proiettate sullo schermo dietro i performer risucchiano in un vortice gli sguardi di chi tra il pubblico non ha ancora chiuso gli occhi per la visione epilettica o per un’ermetica esperienza uditiva.
È facile perdere contatto con la realtà confondendo i piani astrali con quelli reali. Così la nuova e unica corrispondenza visiva alla realtà artistica sonora tende ad essere il video sullo schermo e in questo modo il doppio tende ad uniformarsi ingannando il più possibile il pubblico.
Durante l’installazione attiva di Freeka le creazioni si allontano sempre di più dalle forme reali. Il fantoccio non è più mascherato da protagonista, ora è oggetto variabile e ambiguo, del resto come i suoni che sta producendo OPN, e la sua identità tende a deturparsi sempre di più fino a diventare un fantasma senza volto, o meglio un mille volti; Un signor nessuno che finge imperterrito di simulare l’atto di suonare e sembrare il musicista, ma l’errore visivo della ripresa con il telefono lo blocca in una realtà troppo distinta dal vero e questo lo fa vivere in modo alternativo sullo schermo.
Ci immergiamo in una realtà confusa che gioca con forme e trasformazioni fisiche e anche i brani di Onehitrix si perdono nella fitta nebbia dell’errore musicale.
Il modello digitale di ogni singolo suono ricerca stabilità strutturale in una forma ideale che non riesce a completarsi se non con le sembianze dell’errore stesso.
Allo stesso modo anche Freeka Tet tratta l’immagine cercando nel margine di errore la potenza dell’effetto visivo che sta utilizzando. Anche nel suo lavoro di musicista, Freeka integra complesse declinazioni visive per l’estetica hacking dei propri video e concerti dal vivo.
Le sue intuizioni nascono dall’estetica della dj culture e dalla ricerca di nuovi metodi per controllare la musica con il face tracking. Riprendendo i risultati in questo campo dei lavori di Arturo Castro e Kyle McDonald e del loro studio sui codici di programmazione1. Durante le live musicali che porta avanti con il gruppo Amnesia Scanner di cui fa parte, Freeka utilizza, come elementi visivi, riprese in tempo reale del suo volto che appare in continua mutazione grazie a una vasta gamma di effetti di sostituzione facciale che vi applica lavorandoli costantemente. A ogni mutazione fisica corrisponde un elemento sonoro. Dalla distorsione alla glitch art, queste performance sperimentano un linguaggio universale che rifiuta il significato favorendo una sovrabbondanza di associazioni mentali fino al loro collasso.
La possibilità delle nuove tecnologie associate all’intelligenza artificiale avanzano verso la creazione di un sé digitale sempre più complesso. Per questo gli artisti che utilizzano questo mezzo riflettono sulle infinite possibilità del falso sé e sulla sua decadenza formale, insistendo sull’ammontare degli errori che sfuggono alla riproduzione digitale, fino alla mostrificazione del proprio doppio.
In uno spazio ad alta dimensione, come il matematico spazio pixel che compone un’immagine, ogni elemento è confuso e circondato da assurdità rumorose e senza senso. Così anche nello spazio mentale, le immagini che dovrebbero corrispondere ad elementi reali, sono spaventosamente annebbiati e confusi se analizzati ad alta dimensione. Due immagini diverse tra loro, come cane e gatto, riescono ad essere pensate isolate l’una dall’altra soltanto negli elementi chiave. Nell’alta dimensione l’infinita scala dei grigi cambia continuamente intensità e forma. Un cane e un gatto potrebbero avere connotati simili fino a fondersi l’uno all’altro2.
Il gioco del GANs (generative adversarial networks), un framework di apprendimento automatico per l’intelligenza artificiale generativa con cui vengono ideate molte delle nuove creazioni digitali, cerca proprio di controllare e non occultare questo spazio latente, in continua connessione tra due reti neurali, che lo spazio ad alta dimensione contiene.
Aman Tiwari e Gray Crawford utilizzano questo framework e, tramite un sensore, monitorano la posizione e la rotazione delle loro mani per generare l’input che verrà immesso nella rete neurale. Xoromancy3, progetto sviluppato nelFrank-Ratchye STUDIO for Creative Inquiry, ha come obiettivo quello di controllare molti vettori dello spazio latente simultaneamente con una risposta dell’immagine in tempo reale.
Il risultato è un gioco interattivo per controllare le immagini e i loro pixel con il proprio corpo.
L’essere umano tende la propria mano e ne fa la chiave di creazione per interagire fisicamente con il misterioso mondo digitale.
Un altro esempio è il lavoro degli ingegneri e artisti Golan Levin, Chris Sugrue e Kyle McDonald che insistono sul concetto di reimmaginazione dell’elemento umano. La Augmented Hand Series4 è un sistema software interattivo che permette al visitatore di giocare con una scatola in cui poggiare le proprie mani, muoverle e godersi alcune trasformazioni bizzarre dell’arto, visibili sullo schermo sempre in tempo reale.
Anche il lavoro del dottor Levin5 in fin dei conti ricerca sincronia ritmica tra la complessità artificiale e il gesto umano e lo fa per via didattica attraverso giochi ottici e sonori derivati dalle variabili digitali dei generatori che utilizza.
Il ritmo insito nell’esperienza sonora e visiva dei creativi dell’epoca digitale viene pensato dal gesto e riprodotto nel malfunzionamento digitale. La matematica è a servizio dell’espressione umana per rincorrere un nuovo orizzonte comune: un margine armonico antinaturalistico che nasce dalla regolazione del difetto per inseguire impulsi umani estremi ma pur sempre umani.
L’errore programmatico risulta così un’altalena che respira tra confusione e sicurezza, tra mistero e conoscenza.
Così come quella di OPN anche la musica concettuale della produttrice e cantante Arca fugge da ritmo comodo per inseguire una discontinuità sonora difficile ma che in certi punti torna con precisione matematica a collocarsi in una struttura ritmica riconoscibile.
Di particolare interesse in questo senso è la serie di Album Kick (1, ii, iii, iiii, iiiii) pubblicati dall’artista venezuelana. Dopo aver lasciato la musica ambient, Arca si dedica allo studio di ritmi tribali per i brani di questi album raggiungendo oscure sonorità associabili ad una reggaetton sudamericana unita a sperimentazioni aggressive di industrial music e molto altro.
Accompagnato da un complesso lavoro visuale, curato da Frederik Heyman e Carlos Sáez, il progetto Kick6 è pregno di atmosfere ostili e dissonanti, uniche nel loro genere, che attraggono l’ascoltatore verso un’aura robotica ma allo stesso tempo melanconica ed emotiva. È come aver raggiunto un qualcosa di impossibile e proibito che ci eccita e ci spinge verso la ricerca di una nuova sessualità viscerale. Tutto questo è testimonianza della transizione da uomo a donna che l’artista ha completato durante questo percorso musicale.
Il suo lavoro come quello di molti altri musicisti contemporanei (Boards of Canada, Aphex Twin, Nicolas Jaar, …) è dedito alla ricerca di sonorità difficili e uniche ma che restituiscono beatitudine immaginifica all’ascoltatore che rinuncia al controllo per lasciarsi trasportare dalle vibrazioni elettroniche impazzite. Solo perdendo contatto con il sé si ha la sensazione di ritornare a sé stessi, come ricomposti, con il sentimento di sentirsi più completi.
L’effetto di ritorno è la chiave per questi artisti e proprio su questo che si basano le animazioni che Freeka e Boyce hanno curato per il concerto del musicista Oneohtrix Point never. Anche nei video musicali che hanno realizzato per i suoi singoli, i suoni irregolari corrispondo ad elementi di alterazione digitale.
Tutti i frammenti digitali ritornano all’insieme plastico affermando ad ogni giro sonoro un’identità stabile che ciclicamente si perde per poi rigenerarsi.
L’atto di creazione sta nel cercare di afferrare senza mai riuscirci il demone senza controllo che hanno scatenato.
“We’ll take it”7 come dice il titolo di un brano di OPN che Nate Boyce ha diretto in quanto video ufficiale. Intanto sullo schermo del concerto le visual indagano le forme della mano.
L’arto, che ha creato e spostato gli asset fisici e digitali per tutto il concerto ora è in primo piano sullo schermo: Tocca tastiere e chitarre, è il legame tra due persone quando lo poggia sulla spalla dell’altro.
Mani giganti e gonfie come quelle di A Barely Lit Path8, un altro brano di OPN diretto da Freeka. Mani che vediamo dimenarsi in un veicolo fuori controllo per cercare di salvare i fantocci a bordo prossimi all’impatto.
Lo scanner della mano ci mostra chi siamo ed è proprio questo raccoglitore di gesti che ci porta verso la creazione, verso la vita. E alla fine di questo spettacolo la mano ci punta il dito contro, ci indica perché siamo noi tutto questo.
- https://arturocastro.net/work/faces.html ↩︎
- Buhlman, P. & van de Geer, S. (2011) Statistics for High-Dimensional Data. Springer, London. ↩︎
- https://studioforcreativeinquiry.org/project/xoromancy ↩︎
- https://csugrue.com/augmented-hand-series/ ↩︎
- https://www.youtube.com/watch?v=pANJjkU0Whw ↩︎
- https://www.youtube.com/watch?v=NL-tvd8jeBc ↩︎
- https://www.youtube.com/watch?v=deNNFkbO5xg ↩︎
- https://www.youtube.com/watch?v=_kyFqe36BqM ↩︎