Parthenope di Paolo Sorrentino
Il mostro della nostalgia
di Francesco Scognamiglio
È personale.
Napoli guarda Capri con nostalgia. La sirena della leggenda è scolpita nelle curve dell’isola.
Di acqua e sale è fatta la distanza necessaria per ottenere la tensione di questa storia.
Parthenope è già il ricordo di un ballo lontano. Uno di quelli che dimostra l’affetto con cui ci culla, a volte, l’immensità.
“Sei così bella che tutti vogliono vederti felice” dice uno scrittore americano (interpretato da Gary Oldman) a Parthenope, la protagonista del film di Paolo Sorrentino. È una calda giornata d’estate degli anni ’70 e il suo nuovo amico, conosciuto in un albergo di Capri, si apre al pianto in compagnia dell’inconfondibile giovinezza hic et nunc. Gli occhi dei sensibili ormai vecchi e perduti si bagnano dei ricordi maestri. Le nostalgie fanno marcire l’animo ma liberano l’ovvio dal frivolo. La bella Partenope può avere tutto. O forse no?
Si desidera quello che non si può possedere, e a lei non è permesso amare il fratello.
Il viaggio a Capri scrive la storia, incide la forma. Per Parthenope questo sarà il luogo e il tempo del suo ricordo più felice e anche del più tragico. Il fratello ha soffiato la sua ultima brezza di vita lasciandosi cadere nel vuoto e così in lei nasce il mostro della nostalgia che già nuota in acque oscure e profonde.
Parthenope si perde nei vicoli di Napoli, tra disperati, ratti e colera.
La sua bellezza tiene aperte le porte dell’opportunità ma l’occhio comincia a tradirla: i dolori aumentano così come aumenta quello che non può più avere accanto. Dalla morte di Raimondo, l’assenza del padre e della madre ha aggravato il suo vuoto cosmico, così un professore di antropologia, pacato e severo, e la materia che insegna diventano oggetto di desiderio e soprattutto di mistero per la sirena ferita.
Greta Cool, il vescovo Tesorino e altre sagome si palesano nel teatrino sorrentiniano per declamare leitimotiv melò e pessimistici: le frasi ad effetto che tanto piacciono a Parthenope sono l’ossessione dei sognatori che come lei navigano nell’iperrealtà.
La salvezza per i napoletani è quella di andarsene se vogliono mantenere intatto il loro sentire. È questa distanza la chiave del film. Tutto il resto rimane fermo e plastico come i personaggi immortali delle scene dell’allegorico cinemamaking di Sorrentino. Il padre che vive nella casa dell’infanzia della protagonista ormai abbandonata e deteriorata, l’agente del cinema dal volto coperto, le feste dell’aristocrazia dai pavimenti massonici, il colonnello e la sua sedia a rotelle, le persone del folklore che scorrono sulla scogliera del golfo.
Respirando il fuori fuoco del paesaggio partenopeo, accogliamo il mistero e inseguiamo qualcosa di più profondo che si anela nel silenzio di una risposta mancata: “a che cosa stai pensando?” “Cos’è l’antropologia?”
Parthenope è Napoli, e Napoli guarda Capri. Ma se l’isola nasconde la forma della anima di Parthenope, quest’ultima guarderà Capri per tutto il resto della sua vita.
Sebbene nel film non si riesca ad abbandonare il feticismo per un certo gratuito gioco estetico dalla sfarzosa lussuria, il superficiale inno alla decadenza contrasta con la luce splendente del personaggio di Parthenope. L’angelico non ha paura di fare la conoscenza del demoniaco e il sesso sancisce la loro unione in un mondo che ha perso la santità.
Il ritorno a Napoli della matura Parthenope (nel corpo della Sandrelli), dopo un’intera carriera lavorativa passata a Trento, coincide con la vittoria di campionato della squadra di calcio del Napoli. Gli esagerati festeggiamenti sono il simbolo della gioia e del caos che questa città offre. Un’altra barca (il film inizia con una che trasporta un baldacchino nuziale settecentesco) è portatrice di un rinnovato mistero che lo stesso regista ha provato ad immortalare perdendosi nello sguardo del tempo.