L’amore che non muore di Patrice Leconte
Quando il reale diventa poesia
di Vittorio Giacci
Siamo nel 1850, in una sperduta isoletta del Canada francese. Un uomo, in preda a un eccesso d’alcool, commette un omicidio e viene condannato alla ghigliottina. Nell’isola però una ghigliottina non c’è, e quindi lo strumento di morte dovrà arrivare dalla Francia. Il viaggio per nave è lungo, e il prigioniero viene alloggiato presso la casa del capo della polizia. L’uomo ben presto si rivela una persona dal carattere sensibile, ben lontana dal cliché del brutale omicida che la giustizia vuole eliminare togliendogli la vita. Fra l’assassino, il poliziotto, e la moglie di quest’ultimo, si instaura un rapporto umano che si caricherà sempre più di tenerezza e di comprensione.
Da una storia vera il regista francese Patrice Leconte, che ci aveva già incantato con uno straordinario film, La ragazza del ponte, ripete anche in quest’opera il miracolo della poesia, facendoci per un attimo dimenticare tutti i serial killer del cinema della violenza per riconciliarci con la parte nobile dell’anima umana, considerata da molti cineasti – chissà poi perché – così poco interessante per la rappresentazione cinematografica.
Coadiuvato da un cast d’accezione (Daniel Auteuil nella parte dell’uomo d’ordine, Juliette Binoche in quello della moglie, e un incredibile Emir Kusturica – sì, proprio lui, il regista di Underground e di Il tempo dei gitani, qui ottimo attore, nella parte dell’omicida), Patrice Leconte, l’autore dell’indimenticabile Marito della parrucchiera, gioca fra le pieghe sottili dell’anima, mettendo in scena una rappresentazione tutta interiore che disvela, nei primi piani, nei pedinamenti della macchina da presa, nei colori e nelle luci di un lontano orizzonte, come solo sa fare il cinema quando si fa strumento di poesia, un universo di stati d’animo e di emozioni che sono già dentro di noi ma che solo pochi autori sanno valorizzare trasformando la materia in spirito, il dramma in bellezza, il reale in poesia.
Poteva essere un ennesimo atto d’accusa gridato e forse per questo inascoltato, contro la pena di morte. E’ invece un delicato, intenso, irresistibile inno alla vita.