Vittorio Giacci riceve il premio Ettore Scola
di daniela turco
Il libro Ettore Scola. L’ultimo enciclopedista, (Bulzoni 2023) per il quale l’autore, Vittorio Giacci ha ricevuto di recente a Trevico (comune di nascita del regista) il premio dedicato appunto a “Ettore Scola”, già nel titolo dispone a un’avventura diversa, che, nel seguire l’itinerario di un regista pienamente inserito dagli anni 60 in poi nell’orizzonte del cinema italiano più popolare e diffuso, si sofferma sulla ricchezza e la molteplicità degli elementi che entrano nei suoi film, segni precisi di un mondo culturale vasto e profondo, tanto radicato nel suo cinema da determinarne lo stile.
Il libro di Vittorio Giacci su Ettore Scola, in oltre 600 pagine che attraversano l’intera opera del regista, include anche le messe in scena delle opere liriche, gli adattamenti per il teatro di alcuni suoi film, i lavori degli allievi della scuola E.L. (fondata da Scola alla fine degli anni Ottanta insieme a Luciano Ricceri a Cinecittà), perfino i sogni incompiuti di film scritti e mai realizzati, e i testi per alcune canzoni. Ettore Scola. L’ultimo enciclopedista, diviso in tre capitoli, è corredato oltre alla filmografia, da una bibliografia talmente dettagliata e completa da renderlo in assoluto il testo di riferimento per ogni studio successivo su questo regista.
Nel capitolo di apertura, l’Autore, forse il più denso e stratificato dell’intero libro, con la funzione di determinarne il tono, Vittorio Giacci si prende il tempo necessario per delineare il percorso di formazione del futuro regista, ponendo una particolare attenzione per la scoperta sorprendente, nell’infanzia di Ettore, del cinema e della letteratura, attraverso la guida affettiva e preziosa del nonno notaio, che legge e spinge a leggere ai nipoti i libri che apriranno loro nuovi mondi. Negli anni dell’infanzia Scola inizia anche a disegnare assiduamente, una pratica che non lo abbandonerà mai, condivisa con l’amico Federico Fellini, come lui un disegnatore seriale, usando il disegno come mezzo per accompagnare i propri pensieri, senza una logica precisa, piuttosto con l’automatismo di un’abitudine che in seguito diventerà un lavoro, spingendo Scola a collaborare al bisettimanale Marc’Aurelio, come tanti altri talenti che insieme a lui negli anni del secondo dopoguerra daranno vita a una stagione molto particolare del cinema italiano. Per Scola, che inizia a lavorare come sceneggiatore, e che si sentirà sempre legato alla parola scritta, l’incontro folgorante con il cinema si era già comunque compiuto, per caso, quando ancora frequentava il liceo, e svoltando in piazza Vittorio improvvisamente si era trovato sul set di Ladri di biciclette. Da questa esperienza decisiva gli era forse derivata l’idea di una commedia che radicata nel Neorealismo entrava evidentemente in uno stretto rapporto con la realtà e con la sfera sociale, tanto da fargli osservare come si legge in un punto cruciale del testo che: “tutto il cinema è politico e il cinema “non politico” lo è ancora di più”. Scola, come altri registi di quel tempo, Pietrangeli, Fellini, ecc., tende a considerare i propri film come i diversi capitoli di un’opera unica, in cui continuano a ritornare i temi fondamentali che più lo interessano: il fluire del tempo, la memoria, il rapporto dell’uomo con la Storia. Il Neorealismo per Scola ha un’importanza determinante per essere andato, secondo lui, oltre il semplice fenomeno cinematografico, affermandosi come uno stile che aveva promosso una straordinaria tensione culturale che spingeva gli artisti a incontrarsi nel segno dell’amicizia e dello scambio di idee. Questo senso di una cultura intesa come partecipazione e bene comune, cioè come qualcosa di necessario per vivere, e dunque niente affatto esclusiva ed elitaria, è un tratto distintivo della personalità di Scola, che per tutta la sua vita avrebbe praticato un rapporto costante con la lettura, facendo proprio l’insegnamento del nonno. Nel suo cinema risuona così la voce di Cechov, quella di Dostoevskij, e di Dickens e degli altri autori che Scola sentiva vicini per l’attenzione a una dimensione umana da lui considerata come “un miscuglio miracoloso di tragedia e di favola, di mistero e di riso”.
Il cinema per Scola, più che lo specchio della realtà è uno “specchio dipinto”, non lontano quindi dal pensiero di Andrè Bazin, convinto dell’esistenza di una simbiosi estetica tra schermo e quadro. In questa chiave, pittura e musica, insieme alla letteratura, sono i campi diversi che Giacci tiene a far dialogare nel libro, insistendo sull’incontro tra linguaggi diversi, che formano quel tessuto reticolare, plurale, ricco di rimandi, spesso ironici, e non per questo meno seri – anzi – che si ritrova in ogni film di Scola.
Tutto il libro, a sua volta, è aperto al mescolarsi e al risuonare di molte voci, quella di Scola in primo luogo, insieme a quella di colleghi, collaboratori, amici, riunite in un intarsio prezioso dove si può vedere in controluce una lunga stagione del cinema italiano, di cui Scola è uno dei protagonisti. Fermamente convinto che nel cinema copiare è un’arte, come era sempre avvenuto in pittura, nella tradizione delle botteghe d’arte, dove copiando, si imparava, proprio per questo Scola rivendicava il fatto di essersi rivolto a maestri sperimentati quali De Sica, Pietrangeli, Fellini, per “rubare un po’ da ognuno di loro”… Non esiste una reale contraddizione, comunque, tra il regista “ladro” e l’intellettuale enciclopedico che Scola è stato, muovendosi su un sentiero di ricerca e di amore per lo studio già indicato da Roberto Rossellini, e come lui animato “da un’analoga sensibilità verso la responsabilità morale del proprio operare artistico”, oltre che da una genuina fiducia nella cultura e nella necessità di essere aperti a un’educazione permanente. Ci si domanda, oggi, chi possa sentire ancora con questa urgenza l’importanza e la necessità di un rapporto con la cultura che sia vivo e inclusivo, rivolto il più possibile a tutti, soprattutto ai più giovani.
Nel secondo capitolo del libro, dedicato ai film realizzati da Scola, colpisce il criterio usato da Giacci, che senza procedere secondo un ordine strettamente temporale di uscita dei film, ha invece preferito raggrupparli più liberamente per associazioni tematico-linguistiche, nel segno delle simmetrie segrete che legano i film tra di loro. Se Giacci per attraversare la filmografia di Scola, ha soprattutto adoperato un criterio di analisi definito dalla passione e dall’approfondimento, servendosi di volta in volta di Metz, di Bachtin, di Genette per argomentare il suo discorso, e senza mai allentare la tensione della scrittura, tuttavia all’interno del corpus dei film, ci sono pagine su alcuni film che restano maggiormente impresse. E’ il caso, a mio avviso, per esempio di La più bella serata della mia vita (1972), tratto da un racconto di F. Dürrenmatt, tutto giocato tra farsa e dramma dal regista che riesce a far emergere dal protagonista Alberto Sordi, una certa disperazione che può sempre trasformarsi in riso, una maschera tragica, che, ambiguamente – è la realtà o solo un sogno?- va incontro alla morte a rotta di collo ridendo.Oppure Brutti sporchi e cattivi (1976) che oscillando tra realismo e magia riporta la durezza poetica della borgata pasoliniana (Pasolini avrebbe dovuto partecipare al film come attore, fu fermato dalla propria morte avvenuta durante le riprese) attraverso alcuni dei suoi attori e soprattutto attraverso la speciale consulenza linguistica di Sergio Citti per i dialoghi di un film che mostra fino in fondo la ferocia della miseria.
C’è poi lo spartiacque rappresentato da Trevico-Torino. Viaggio nel Fiat-nam (1973), film ibrido e militante, molto amato dal regista per il tema e per la grande difficoltà nel realizzarlo, uno spaccato sul lavoro in fabbrica e sulla condizione operaia (di operai provenienti per lo più dal meridione) all’interno della Fiat, che Scola associava all’atmosfera di Il bandito (1946) di Alberto Lattuada, per la durezza delle condizioni di vita, in comune ai due film, i dormitori, le mense dei poveri, la ricerca di un posto in cui stare in una città spesso respingente e ostile, impreparata ad accoglierli. A Scola non venne dato ovviamente dall’avvocato Agnelli il permesso di filmare gli interni della Fiat dato il periodo immediatamente successivo al l’autunno caldo che aveva innescato un grande ciclo di lotte operaie, tuttavia il regista, coadiuvato da Diego Novelli, portò comunque avanti il suo progetto, scivolando tra documentario e finzione con l’ostinazione e la tensione di un montaggio che vuole arrivare a mostrare il conflitto tra capitale e lavoro.
Anche l’analisi di Una giornata particolare (1977), non poteva che prendere uno spazio a sua volta particolare nel libro, su vari livelli. In primo luogo, la prova d’attore eccezionale di due attori belli e di successo, Sophia Loren e Marcello Mastroianni, che entrano nei panni dimessi, lui di un omosessuale destinato al confino, lei di una spenta casalinga a sua volta confinata nel ruolo di moglie e madre. Gli interni di un palazzo in quel giorno svuotato dagli abitanti, usciti a vedere Hitler in visita a Roma sono la cornice nello stesso tempo anonima e straordinaria del film. Tuttavia il film è molto di più dell’incontro impossibile di due solitudini, come è molto di più di un’occasione per mostrare la situazione di oppressione del regime fascista sulle donne, sugli omossessuali, e dunque sulla libertà di vivere. Una giornata particolare, funziona anche per Scola, come omaggio obliquo ad un regista/padre come Vittorio De Sica, e come macchina del tempo per ritrovare, ricreandoli, certi colori, certe atmosfere, che facevano parte dei suoi ricordi di bambino negli anni trenta, dove è infatti attraverso l’uso del linguaggio del colore (gli abiti di Mastroianni e Loren che vengono lavati e rilavati, per renderne i colori sbiaditi al punto giusto) che si riesce a entrare lentamente dentro i sentimenti di Gabriele e di Antonietta.
Anche Il viaggio di capitan Fracassa (1990) funzionerà come una sorta di macchina del tempo, come l’occasione per Scola di mettere in scena “il rapporto che si stabiliva tra questi spettacoli poveri, e il popolo più triste, più affamato, meno privilegiato, che di fronte a questo teatro ambulante aveva un’ora di sogno”. Interamente costruito nel teatro 5 di Cinecittà, illuminato dalla presenza stralunata e gentile, comica e tragica di Massimo Troisi/Pulcinella, il film costeggia una continuità indistricabile tra teatro e vita già meravigliosamente mostrata da Jean Renoir in La Carrosse d’or. Naturalmente, dietro al povero teatro ambulante del Seicento per Scola c’è sempre anche la contemporaneità, e soprattutto, la possibilità di mettere in scena un libro amatissimo (Il capitan Fracassa di T. Gautier) dal regista, che sosteneva di aver infilato qualcosa di quel libro in ogni suo film…
Appena poche righe sull’autore di Ettore Scola. L’ultimo enciclopedista, il “nostro” Vittorio Giacci, forse neppure necessarie, dato che la sua collaborazione a Filmcritica risale alla fine degli anni 70’, diventandone membro del direttivo già dal 1980 e affiancando all’attività di giornalista e di saggista anche quella di cineasta e di docente. Tra i vari altri incarichi di rilievo è stato presidente dell’Accademia del Cinema e della Televisione da lui fondata a Cinecittà. Tra i suoi numerosi libri, le monografie dedicate a Peter Bogdanovich, (La Nuova Italia) e a Francois Truffaut (Bulzoni), insieme a innumerevoli saggi dedicati al cinema di Rosi, Antonioni, Rossellini, Lizzani ecc. Tra le sue regie, spesso dedicate ai registi (Marco Ferreri, Alberto Lattuada, Francois Truffaut, Federico Fellini, ecc.), vorrei ricordare Il Poliedro di Leonardo (con Filippo Mileto, 1989), un lavoro multimediale e sperimentale teso vertiginosamente tra cinema e musica, dove si riflette interamente la poliedricità del suo autore. Giacci ha usato questo stesso piacere per l’approccio multimediale e per l’incontro di linguaggi diversi, come si è cercato di mettere in rilievo, anche scrivendo Ettore Scola. L’ultimo enciclopedista, un libro che riesce ad appassionare perché scritto con grande passione, per il cinema e per la cultura intesa come vita.