Giurato Numero 2 di Clint Eastwood
di Alessandro Cappabianca
Il bellissimo film, il più recente, di Clint Eastwood, si basa sulla contrapposizione tra il tempo usuale della nascita di un bambino e il tempo non calcolabile a priori di un processo penale. Il processo durerà quanto deve durare: la maggior parte del tempo sarà impiegata per la scelta dei giurati. Scelta fondamentale, cui giustamente tengono sia il collegio di difesa sia i rappresentanti dell’accusa.
Un tizio, un tale James Sythe litiga con la fidanzata. Afferma di averla lasciata andare da sola sotto la pioggia e di essere tornato a casa, senza più preoccuparsi della cosa. La difesa cerca perciò di inserire nella giuria persone cui probabilmente l’accusato dovrebbe essere simpatico. Tra questi, addirittura un ex- poliziotto.
Costui sostiene che la polizia, nel fare il suo lavoro, si accontenta dei primi risultati raggiunti, senza approfondire ulteriormente le indagini. Secondo lui, non è per inerzia o per trascuratezza, ma perché i carichi di lavoro della polizia stessa sono spesso insostenibili.
La situazione può ricordare quella dei 12 giurati arrabbiati del film 12 Angry Men, di Sidney Lumet, con la differenza che il protagonista non è un avvocato. Egli stesso è incerto sulla colpevolezza dell’imputato. Trascina dunque gli altri giurati ad approfondire i fondamenti della colpevolezza dell’imputato. Ciò facendo, però non fa altro che prolungare la durata di un processo che avrebbe tutto l’interesse ad abbreviare. Sono gli interessi del bambino che sta per nascere, a entrare in contrasto con gli scrupoli costituzionali dello stesso Justin Kemp.
Viene da pensare con un brivido alla durata di analoghi processi in Italia!
Il matrimonio stesso di Justin Kemp corre sul filo di una crisi. Faith Killebrew, che sosteneva l’accusa, diviene Procuratrice, ma riceve obtorto collo le congratulazioni dell’avvocato della difesa. Le bilance sostenute dalla statua della Giustizia sono in perfetto equilibrio. Un niente basta a farle pendere in un senso o nell’altro.
Il tempo è soggettivo. Non esiste altro che nella percezione di chi lo vive. Perfino il bambino, il figlio di Justin e Ally Kemp, ne risente, prima ancora di sapere che cosa il tempo è.
