Generazione Romantica di Jia Zhangke
Tempus fugit. L’immagine-flusso di Jia Zhangke
di Daniele Dottorini
Un pugno di film usciti recentemente – tra cui c’è lo straordinario C’est pas moi di Leos Carax, il fuori categoria Megalopolis di Coppola, Broken Rage di Takeshi Kitano e per molti aspetti anche The Shrouds di Cronenberg – unisce titoli accumunati tra loro da una volontà di sguardo che sembra essere quella dell’angelo di Paul Klee nel famoso quadro citato (e posseduto) da Benjamin, Angelus novus: una tempesta inarrestabile lo spinge in avanti, ma i suoi occhi sono voltati all’indietro, e guardano instancabilmente le macerie della Storia che si accumulano alle sue spalle, il passato che egli vede non come una catena di eventi, ma come un’unica catastrofe.
Lo sguardo dell’Angelo della Storia (così lo chiama Benjamin) è uno sguardo che non vuole aderire al vento inarrestabile del progresso, del tempo contingente che fugge costantemente, trascinando tutto e tutti nella sua fuga. È uno sguardo che guarda al passato, ma non come rifugio, come salvezza, semmai come ciò che deve essere riscattato (e che a sua volta può riscattare, o perlomeno interrompere, il flusso inarrestabile del presente).
In questi film, infatti, il passato – che siano le immagini del cinema in Carax, le storie del cinema in Coppola, il ritorno a rovescio delle stesse narrazioni in Kitano o l’immagine assoluta, che va oltre l’interdetto della morte in Cronenberg – non è visto con nostalgica e consolatoria malinconia, come in tanto “cinema della nostalgia” che oggi va per la maggiore. Mentre infatti nei film che rientrano all’interno di questa categoria critica il passato più o meno recente diventa una sorta di epoca ideale, rifugio in cui immergersi, periodo in cui le ansie del presente non sono ancora apparse, qui è esattamente il contrario. Il passato delle immagini non è un rifugio, una fuga, ma un resto necessario, da riprendere, da far saltare, da far circuitare, da interrogare. Le immagini del passato “servono a fare del cinema”, parafrasando il produttore Robert De Niro ne Gli ultimi fuochi di Elia Kazan; a fare un cinema che crede ancora in quelle immagini e quelle storie, togliendole dall’oblio, dalle macerie.
È questa l’esperienza di visione di Generazione romantica di Jia Zhang-ke (titolo internazionale Caught by the Tides, che forse rende meglio l’idea che è alla base del film). Le immagini del film sono prese dal girato non montato dei film del regista cinese; immagini al tempo stesso riconoscibili e mai viste, accomunate dalla presenza costante dell’attrice feticcio di Jia, Thao Zao, che ha recitato in praticamente tutti i suoi film. Sequenze-blocco, frammenti apparentemente separati gli uni dagli altri, che in realtà costruiscono un percorso fatto di mille rivoli, in cui riconosciamo i luoghi del cinema di Jia, dal paese lentamente sommerso dal fiume per via della costruzione di una diga, ai sobborghi della capitale, fino alle strade periferiche, deserte e anonime in cui i corpi del suo cinema viaggiano.
Essi viaggiano, danzando e cantando. Molte sequenze sono frammenti di canti e di musica, fin dall’inizio del film, dove un gruppo di donne, in una pausa di lavoro, a turno si esibiscono cantando canzoni famose, prendendosi in giro e ridendo. La macchina da presa scorre da un volto all’altro, catturando il flusso di energia, di gioia e malinconia che traspare dai loro canti, dalle loro risate. In molte sequenze, la musica è il background delle situazioni (discoteca, locale, sfilata di moda). Essa permea il ritmo del film, creando una sorta di flusso sincopato, che varia ad ogni blocco. Flusso è allora una delle parole chiave. Flusso di immagini che scorrono come elementi naturali. L’acqua e la terra, che dominano costantemente le immagini dei film di Jia Zhang-ke, diventano non solo rappresentazioni, ma anche presenze fisiche di un cinema che non ha mai smesso di raccontare il cambiamento, la trasformazione fisica e antropologica del paesaggio.

Il flusso è anche testimoniato dal corpo fisso e al tempo stesso cangiante di Thao Zao, che sembra attraversare i luoghi del film – fabbriche, miniere, locali, feste, spazi di divertimento, bar, negozi, strade più o meno affollate, più o meno urbane – come uno spirito-guida. La vediamo giovane e sorridente, oppure segnata dal passaggio del tempo. La vediamo camminare nelle strade delle città sempre più moderne, o lungo una ferrovia al tramonto, mentre degli operai stancamente ritornano a casa dopo il turno di lavoro. l’attrice è sempre stata, nel cinema di Jia Zhang-ke, qualcosa di più di un personaggio. Il suo volto a volte enigmatico, a volte impenetrabile, ha sempre costituito una possibilità di sguardo. Il suo movimento costante (Jia la filma costantemente mentre cammina, si muove, vaga da un punto all’altro) crea rossellinianamente la possibilità di creare uno spazio filmico e al tempo stesso di rivelarlo. Thao si muove nel tempo e ci permette di esperire e attraversare gli spazi, in un flusso continuo che è creato proprio dal montaggio di un frammento con l’altro. Cambiano le situazioni, i luoghi, i volti che abitano le inquadrature, i tempi. L’esperienza degli spazi nel film è infatti anche un’esperienza temporale: è il graduale scomparire della vallata che sarà/è stata sommersa dalle acque per la costruzione della diga delle tre gole (l’evento che accompagna molto del cinema di Jia, sin da Still Life); è lo stratificarsi di copie dei luoghi del mondo e delle epoche del mondo nello straniante The Word. Questi titoli, come molti altri film di Jia, ovviamente ritornano in Generazione Romantica, ma il loro ritorno non ha una funzione citazionista o nostalgica, anche perché nessuna di quelle immagini è mai comparsa nel montaggio definitivo di quei film. Le immagini qui sono cariche di una potenza temporale che spinge per il loro riscatto. Esse non sono potenti generatrici di senso in sé, ma lo sono proprio perché confluiscono in un montaggio che le concatena in un viaggio temporale. Ciò che emerge nel film è la portata teorica del suo dispositivo, della messa in movimento visivo e sonoro, spaziale e temporale che lo contraddistingue.
Thao Zao è nel film un corpo al tempo stesso concreto e astratto, unico e molteplice, immerso in molteplici temporalità e luoghi. Un angelo della storia che mostra i segni del passaggio del tempo anche sul suo corpo. Da questo punto di vista allora, ella è l’immagine più potente del cinema del regista più rappresentativo della sesta generazione, (la “generazione indipendente”, dallo sguardo critico e teorico nei confronti della trasformazione radicale della Cina contemporanea), proprio perché il film non fa altro che mostrare ciò su cui Jia ha sempre lavorato: la costruzione cinematografica di una memoria che non può prescindere dalla presenza di un corpo-guida, di uno sguardo che mostri la dimensione mutevole e cangiante dei luoghi nel tempo. Camminando, muovendosi, danzando o sfilando, Zhao Tao diventa il mezzo attraverso cui la trasformazione della Cina prende corpo di fronte allo sguardo degli spettatori. I corpi reali degli abitanti del villaggio che lottano per non vedere le loro case sommerse, i mezzi di trasporto (i treni, i battelli), che connettono sempre di più luoghi tra loro lontani; i volti dei passeggeri che curiosi guardano verso la macchina da presa; le foto che scorrono in sovrimpressione; i cantieri che freneticamente modificano il volto del paesaggio. La trasformazione radicale delle città, la scomparsa della campagna.
Tutto cambia, fino ad arrivare al tempo presente, al periodo della pandemia, ai volti coperti da mascherine, agli occhi che sembrano vagare disperati, alla tecnologia sempre più presente: robot, macchine automatiche, telefoni di nuova generazione, schermi giganti, film girati con uno smartphone (Jia è autore di un corto girato nel 2019 con un IPhone Xs, Yi Ge Tong). Le città cambiano rapidamente, Zhao Tao si aggira lungo le loro strade sempre più disorientata, lo spazio-tempo del film sembra contrarsi.
Più che raccontare una singola storia, Generazione Romantica mostra ciò che ha sempre caratterizzato il cinema di Jia come forma, come ricerca filmica del mondo nel suo trascorrere. Il film è infatti strutturato come una grande narrazione, plurale e al tempo stesso unificata dalla presenza di Thao. Una narrazione che fa del mezzo cinematografico lo strumento per catturare le maree del tempo che trasforma, che cambia i corpi e il mondo. La dimensione teorica del film è allora proprio la sua forma, il suo particolare movimento/flusso, che va avanti e al tempo stesso torna indietro, utilizzando quegli scarti, quelle immagini mai viste che ora possono avere il loro riscatto, la loro “redenzione”, come direbbe il Benjamin di Angelus novus. Si è sempre sospinti in avanti – o forse si gira sempre in tondo – ma le macerie e gli stracci non rimangono indietro: essi possono essere cinema, ritornare ad essere dunque presenti nel momento della visione, attraverso un montaggio che ne rivela la potenza.
