Critica come recupero poetico (Filmcritica 215, aprile-maggio 1971)
In un testo comparso all’interno di un numero (in Filmcritica n° 215, aprile-maggio 1971) – il primo di una serie -, interamente dedicato al tema “Il film e la critica”, Giuseppe Turroni, fin dalle prime righe affrontava la questione scrivendo che:
“ La critica è un recupero poetico della realtà filmica”. Le pagine che seguono si occupano diffusamente dell’ingresso in campo di “ una nuova critica linguistica, semiologica”, all’epoca ancora agli albori, a cui Turroni riconosceva l’importanza e il grande merito di non essere una critica di mere impressioni, ma al contrario di affermarsi come “ una critica scientifica, e dunque poetica”.
Un testo che nel suo svolgersi rigoroso e multidisciplinare chiama in causa, oltre alla storia dell’arte, film e registi, da Dreyer a Hawks, da Hitchcock a Buñuel, per sottolineare l’importanza del cinema: “ un cinema diretto, un cinema ambiguo, cioè un cinema in cui la realtà riassuma in se stessa l’antinomia-dialettica del nostro essere, in cui la realtà sia poesia di una teoria…”
Per Giuseppe Turroni il pericolo più grave – allora ma del resto anche oggi – consiste nel contenutismo, e soprattutto nell’incultura. Con la sua scrittura “scientifica” e poetica, rigorosa e inventiva in quanto completamente libera da schemi preesistenti, in lotta per un riconoscimento del cinema non come contenuto ma come linguaggio, intitola il suo testo: Critica come recupero poetico.