Breve topografia lynchiana
di Giovanni Festa
Bosco
Non troppo lontano dalla “strada perduta” dove Laura Palmer è appena scappata dal suo amico James, c’è un bosco. La giovane, perduta, in lacrime, entra in uno spazio notturno, pericoloso e tipico, simile alle descrizioni del Bosco Sacro di Diana dell’etnologo Frazer: “Sagome di foresta nera tagliate contro un cielo tempestoso, il vento sussurrante tra i rami, il fruscio delle foglie secche sotto i piedi”. Laura muove verso il nero, lo stupro nella capanna e la morte violenta dentro il vagone del treno. All’improvviso, del tutto inaspettato, dal mondo di 25 anni dopo, arriva Dale Cooper, il detective che sarà incaricato di indagare sulla sua morte. Laura fa domande alle quali Cooper non risponde, finché finalmente sembra riconoscerlo: “Aspetta. Ti ho visto. In un sogno. In un sogno”. Cooper arriva nel bosco di Twin Peaks ormai maturo, carico di tempo in quella che Agamben, parlando di Bill Viola, avrebbe chiamato saturazione kairologica, e Laura sembra ricordarsi del detective che non ha mai conosciuto. “In ogni istante, tutte le immagini virtualmente anticipano il loro sviluppo futuro e ciascuna di esse ricorda i gesti precedenti”. Il detective tende la mano alla ragazza per guidarla fuori dal labirinto e portarla a casa. Inizia così uno straordinario movimento di allontanamento. Cooper stringe la mano della ragazza, senza guardarla, come fa Orfeo con Euridice. Dopo si ode un rumore, simile ad uno scricchiolio. Cooper si gira e si accorge che la sua mano non stringe più quella di Laura. Si ode il grido della ragazza. Poi, più nulla. Al suo posto, adesso, c’è solo un vuoto di bosco dove appare in sovraimpressione una tenda rossa. Laura e Cooper, Orfeo e Euridice in un bosco che invece è l’Ade, come nel quadro di Camille Corot. Nel bosco, infatti, c’è uno stagno circondato da pochi rami secchi e alcune pietre (come in un’opera di Richard Long): è la soglia che conduce all’inferno labirintico della Black Lodge.
Corridoio
Si tratta di uno spazio di transito verso altre dimensioni, un passage che diventa scaleno fino ad introiettare – dentro una superficie che si pensava piana – le leggi della prospettiva scalena medioevale, un labirinto-riflesso lineare che implica un viaggio verso il centro e, dispiegato in senso contrario (come un nastro di Moebius), permette di intravedere l’uscita. È il corridoio dove la Lost Girl dice, in Inland Empire, “non riconosco il posto… non ho la chiave” e il corridoio del Grand Hotel attraversato da Marion Cotillard in Lady Blue Shangay, simile a un quadro di Samuel Van Hoogstraten (e ancor di più ai suoi box prospettici); e, soprattutto, il corridoio diventa labirinto e giardino infernale dei sentieri che si biforcano nella Black Lodge, spazio ipogeo con alle pareti tendaggi rossi e il pavimento decorati a meandri, labirinto decorato in forma di labirinto (Lynch insieme a Borges, Leonardo e Comenio è il grande creatore di labirinti, prigioni con la porta aperta e palazzo di viscere in forma di spirale). Varianti del corridoio sono il “sentiero”, come quello che, in Mulholland Drive, conduce il regista all’appuntamento con Cowboy, o il cammino segreto dove Camille conduce Diane nella parte finale del film; il “boulevard” costellato di stelle di bronzo dove Nikki scopre di essere il suo stesso fantasma; il “metraggio anonimo di autostrada”, che si distribuisce in lunghezza e si sviluppa come un nastro virtualmente infinito, simile alle descrizioni di Worringer sul gotico: sono queste, le strade di Blue Velvet e Lost Higway, e quella dove fuggono i protagonisti di Wild At Heart. In quest’ultimo caso si tratta di una linea di fuga con valore positivo, dove le figure abbandonano la spirale violenta della peripezia per precipitare nel proprio destino.
Panorami
Lynch è un maestro non solo del labirinto, ma anche della visione panoramitica, soprattutto urbana. La città cessa di essere establishing shot, panorama e vue (il cineasta partecipò al film collettivo Lumière and Company), per divenire “sipario strappato”, che invece di fornire delle coordinate è uno schermo di proiezione che può addirittura contrarsi fino ad assumere la forma di un imbuto dove le forme, come i corpi celesti in Ascesa all’empireo di Hieronymus Bosch, trapassano per incarnarsi. Pensiamo a Los Angeles vista da Mulholland, dove davvero, oggi, il fuoco non smette di “camminare”; New York osservata attraverso la camera-scatola-visore all’inizio di Twin Peaks 3; Shangai lisergica in Lady Blue Shanghai; fino alla city di Inland empire, lungo nastro labirintico di spazi comunicanti, millepiani di una realtà che possiede infinite entrate, ma nessuna uscita.
Stanze
La stanza in Lynch diventa spazio di confino, luogo che permette l’apparizione di qualcosa di irrefutabile. Lynch trasforma il piano cinematografico, soggetto ad “artificiali leggi prospettiche” in una specie di ottagono (o comunque in qualsiasi figura che nella geometria piana suggerisca il maggior numero di lati possibili rispetto al semplice “quadrato”; 8 è anche il simbolo dell’infinito) collegandolo ad altri ottagoni sia sopra che sotto ogni lato (e su ciascun lato c’è una superficie riflettente). Questo è, più o meno, il diagramma semplificato e rivisto di quella grande costruzione immaginaria che è la Biblioteca di Babele di Borges, composta da un numero infinito di gallerie esagonali in successione e sovrapposizione. Ma è anche la struttura delle prigioni di Piranesi. Interieur stratificati sono il teatrino di Eraserhead e quello di Mulholland Drive, la capanna nel deserto dove si consuma il secondo transfert di personalità di Lost Higways e il vagone nel bosco dove viene uccisa Laura Palmer; e, naturalmente, la Black Lodge (che ritorna in Fire walks with me e Mulholland Drive), con le sue connessioni multiple con altri piani di realtà grazie alle superfici riflettenti (specchi, stagni); ma, anche, la misteriosa stanza di Twin Peaks 3, con la cassaforte che è, nello stesso tempo, uno schermo che il giovane è costretto ad osservare tutto il tempo, una cella che ritiene qualcosa, e un luogo di transito che permette il passaggio ora della Cosa che uccide brutalmente il guardiano-spettatore e la sua ragazza, ora il ritorno del corpo fantasma dell’Agente Cooper. Ma le stanze sono anche i luoghi qualsiasi della vita quotidiana di provincia, con i suoi rituali di superficie, i suoi segreti e il suo decoro rallentato: spazi come la stanza di Laura Palmer o la stanza d’albergo dell’Agente Cooper, in Twin Peaks; la sala da pranzo di Eraserhead; la stanza da letto di John Merrick e la sala dove i medici compiono il crudele scrutinio sul suo corpo deforme in Elephant Man; il salotto dove Fred e Renée guardano la videocassetta che mostra l’esterno e l’interno, in bianco e nero, della loro villa; la stanza della Madre di Laura, dove la signora cerca di distruggere il ritratto di sua figlia con un coltello, riuscendo però a danneggiare solo il vetro e la cornice; la stanza di hotel dove la Lost girl piange guardando la sitcom Rabbits alla tv e il salone di Nikki Grace in Inland Empire; la stanza di Dorothy Vallens nel cui armadio il giovane Jeffrey osserva, non visto, la scena di sesso fra lo psicopatico Frank Booth e la cantante; sono, anche, tutti i set cinematografici, di Inland Empire e Mulholland Drive e il bar Roadhouse dove, come accade alla fine del capitolo 7 della seconda stagione di Twin Peaks, Julee Cruise canta The World Spins e Cooper, che stava bevendo insieme alla signora del tronco e allo sceriffo, vede apparire il Gigante che gli rivela “it happenes again”: la cugina di Laura è appena stata uccisa e appare, in sovraimpressione, il sipario della Black Lodge.
