Venezia 81: Conversazione con Lav Diaz
A cura di Marco Allegrezza, Edoardo Mariani, Bruno Roberti, Francesco Scognamiglio, daniela turco
Del sangue e de la puzza[1]
Con Phantosmia Lav Diaz aggiunge un’altra “isola” all’arcipelago che film dopo film da molto tempo va costruendo, come se nella sua filmografia si rispecchiasse la geografia del suo paese e, insieme, la sua stessa idea di cinema, teorica, materialistica, poetica, che a ogni singola tappa si va facendo sempre più precisa.
Phantosmia è il nome di una patologia che definisce un’allucinazione olfattiva, ma nello stesso tempo il titolo del film evoca ancora una volta la presenza dei fantasmi della Storia e delle storie, la sostanza invisibile, misteriosa e sensibile che avvolge un intero paese. Malattia come metafora, allora, di una terra splendida e desolata, l’arcipelago delle Filippine, set e luogo di realtà vissuta dove Lav Diaz continua a ritornare per proseguire il suo lavoro di ricerca poetica e politica, che non può fare a meno di confrontarsi con la bellezza di questo paesaggio terribile e real-maravilloso, attraversato dai fiumi come dalle leggende e interamente circondato dal mare.
Nel film l’ex militare Hilarion Zabala, uno dei personaggi prigionieri e ossessionati dal proprio passato molto cari a Lav Diaz, cerca di curare la sua malattia scrivendo un diario, che lentamente diventerà per lui un processo che va verso la verità e la liberazione. Nella colonia di Pulo, che con il racconto di F. Kafka dedicato alla colonia penale intrattiene rapporti remoti ma precisi, continua la scrittura del diario di Zabala che incontra lì altre presenze magiche come la parola poetica di Marlo e il racconto orale e leggendario di Haring Mussang, il gatto selvatico imprendibile, che nessuno ha mai visto e che forse non esiste. Solo attraverso la morte di Brando, una ragazza innocente che l’ha intravisto, prima di cadere in un dirupo, si ha la prova della sua esistenza, al prezzo della vita e di una punizione arcana e maligna che domina in quei luoghi.
La scrittura, la parola, e il racconto, come già in Melancholia, diventano quindi i mezzi ambiguamente anfibi che fanno scivolare nel film come in un fiume tutte le storie di vita, insieme alle leggende, facendo venire fuori il romanzesco dalle pieghe della Storia, anche come segno di una forma di resistenza, di una inesauribile potenza di immaginazione, la forza fantastica e irriducibile di un paese e di un intero popolo, sempre attraversato e occupato nei secoli dai dominatori, spagnoli, americani…
Questa la forma e la forza dei fantasmi scritti e raccontati, visibili e invisibili che entrano nei film di Lav Diaz come presenze, come sogni o come incubi, come immagini persistenti pensate scritte e filmate da uno dei registi contemporanei più tenacemente legati al cinema come pensiero in cammino, nel segno di Roberto Rossellini e di Jean-Luc Godard. (d.t.)
“Più tempo trascorre nel suo passato e meglio sarà per la sua memoria” è l’incipit con il quale comincia l’avventura post-traumatica del Sergente Hilarion Zabala, che ha sempre rifuggito e allontanato i fantasmi del suo passato da sicario per l’esercito corrotto del regime di Marcos. Phantosmia di Lav Diaz è un film di fantasmi, di antiche leggende e di speranze. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare il “gatto selvatico” del cinema Filippino di persona, che ci ha permesso di bagnarci della stessa pioggia fitta che cade torrenziale nei suoi film, e rifugiati in una piccola sala del Palazzo del Casinò, abbiamo condiviso un riparo dalle tragedie di questi tempi. «La foresta può tornare a dormire» decanta il poeta Marlo «la morte è un germoglio, è un grido di un neonato, è la fine, è l’inizio, è un lutto, la morte è la morte». Lav Diaz ci accompagna in una traversata lenta e violenta di un paradiso avvelenato, e insieme tentiamo di ritrovare la via d’uscita da un inferno corrotto e circolare spostando lo sguardo alla ricerca del Bulag Sinag, un lampo di luce improvvisa che ci permetta di riaprire gli occhi in un mondo senza crudeltà e corruzione. (E.M.)
Daniela Turco: Siamo rimasti molto colpiti dal titolo, Phantosmia, che è anche il nome di una malattia precisa, un’allucinazione olfattiva e ci sembra un po’come se lentamente le malattie entrassero sempre di più a far parte dei tuoi film. Ricordiamo ancora ad esempio del detective Hermes affetto da psoriasi in When the Waves Are Gone (2022). Qui racconti una storia vera, e ci piacerebbe sapere come è iniziato il progetto basato su questo diario.
Lav Diaz: In realtà ho inventato io il diario, ma il film è tutto basato su storie vere di soldati. Diversi anni fa una mia parente era stata male e venne ricoverata in un ospedale militare, dove le cure sono gratuite. Era la fine degli anni ’70, durante un periodo in cui avvennero molti scontri tra l’esercito e i comunisti ribelli, gran parte dei ribelli si trovavano nel sud del paese …In questo ospedale ho scoperto un mondo, venivano adoperati dei nomi diversi ma c’erano molti casi psichiatrici.
Bruno Roberti: Il discorso della fantosmia è un fatto di sensi. Nel film c’è una certa ricorrenza e ossessione sui sensi, l’olfatto chiaramente, poi, la vista, nel personaggio di Reina che sta diventando cieca, l’udito, con gli altoparlanti della prigione che si possono udire ovunque, e poi il gusto, con la presenza del cibo, un elemento che nel film è molto insistito. I quattro sensi. Penso nel film ci sia proprio una sorta di topografia dei sensi.
L.D.: Si, certo, è verissimo. Io credo che i sensi siano alla base dell’esperienza del cinema. Tutti i sensi lavorano: sentiamo, vediamo, gli odori, il gusto. Hai visto il mio film nella sua essenza, nella sua forza creatrice di senso, attraverso i sensi.
D.T.: La prima scena, è impressionante, ci si trova davanti ad una sorta di Eden, e si sente la voce fuori campo che parla proprio di un paradiso, e si parla della gentilezza di una donna che abita in quel luogo…
B.R.: (intervenendo) Sì, il paradiso perduto! E alla fine del film c’è un paradiso ritrovato, riguadagnato…
L.D.: Si con Reina che torna alla vita, c’è come una specie di redenzione.
D.T.: Forse possiamo ritornare sulla storia dell’ospedale che ci stavi raccontando…
L.D.: Sì, ricominciamo dal principio, da dove è partita la storia. Come dicevo, anni fa una mia parente era stata ricoverata in un ospedale militare dove scoprii un universo straniante. Era pieno di soldati sotto shock per la guerra, venivano da una serie di combattimenti in cui avevano sperimentato il sangue e tanta violenza. Gli scontri con i ribelli comunisti che allora erano la maggior parte dei ribelli nel paese li avevano traumatizzati tanto che alcuni di loro si tolsero la vita. Ci sono stati molti suicidi fra i soldati…E così allora cercai di raccogliere tutte queste storie, ho fatto delle ricerche, allora facevo il giornalista, e quindi ho parlato con loro chiedendogli di raccontarmi le loro esperienze di PTSD (Disturbo da stress post-traumatico). E a distanza di anni, mi sono servito di queste storie per creare la storia di Phantosmia, le ho combinate insieme e lavorandoci per il film è diventata una storia diversa.
Tre giorni prima dell’inizio delle riprese l’attore principale ha abbandonato il progetto, poi anche il produttore ha lasciato il film. E io mi sono detto: che faccio adesso… Allora ho chiesto al mio amico Paul Soriano di prestarmi un po’ di soldi, ho cambiato la storia ed è diventato questo.
B.R.: L’utopia di un paesaggio perduto e di una salvezza. C’è un momento nel film in cui Zabala fischietta il motivetto di Somewhere over the rainbow, ma è appena un accenno…
L.D.: Veramente? E quando?
B.R.: Il giovane ad un certo punto esce dall’inquadratura e si sente questo fischiettare mentre si allontana…
L.D.: Non l’avevo realizzata questa cosa! Sei capace di sentire delle cose!
B.R.: Ma l’ho sentito solo io? Allucinazioni uditive! Mi è sembrato di sentirlo, anche perché in The Woman Who Left avevi invece usato a un certo punto Somewhere, preso da West Side Story.
L.D.: Si, quella c’era sicuramente!
D.T.: La presenza della scrittura, è sempre un elemento molto importante nei tuoi film, ricordo di averti già detto anni fa che penso a te non solo come a un cineasta ma anche come a uno scrittore. Credo che per quanto riguarda questo diario, c’è inizialmente la giovane dottoressa che spinge Zabala a scrivere, e questa pratica diventa per lui un profondo processo di cura. Durante il film si sente molto questa forte connessione tra la scrittura e le immagini.
L.D.: Ah certo, sicuramente. Ho scritto la sceneggiatura ogni giorno, di notte, prima di girare, il mio è un po’ un processo analogo a quello di un romanziere, e qualche volta di un poeta, mi lascio andare, almeno 2/3 ore al giorno, ogni giorno. È come se scrivessi una specie di diario, e in questo caso per questo mi sento completamente connesso a quest’uomo che scrive nel film. Per me è molto importante la scrittura…
D.T.: E in questo film la poesia entra in una maniera incredibile, quando ci sono i cacciatori e la giovane muore, vediamo sorgere la figura di questo poeta che fa un lungo discorso con delle dichiarazioni molto forti. Come hai lavorato su questo personaggio del poeta?
L.D.: Questa idea del personaggio di Marlo il poeta si è sviluppata durante le riprese perché avevo deciso di inserire diverse poesie e canzoni all’interno del film, e quelle poesie sono un po’ venute da sole durante le riprese. Westdon Martin Abay (conosciuto come Dong Abay), l’attore che interpreta Marlo, è un poeta ed è anche un musicista molto importante nel nostro paese.
D.T.: E tu stai continuando con la musica? Mi ricordo in Melancholia la scena incredibile del concerto…
L.D.: Si, suono sempre, e Dong Abay è veramente attivo nella scena musicale filippina. Non posso mai sfuggire a queste cose: la poesia, la musica, certe canzoni antiche. Penso comunque che la mia messa in scena sia in un certo senso più primaria, ma voglio sempre tornare a questo, alla forza della musica e alla poesia.
Edoardo Mariani: Il giovane ragazzo che suona la chitarra, lui è completamente immerso nella poesia, suona, ma distrugge la sua arma, perché sente la musica da dentro…
L.D.: Si, lui distrugge la sua chitarra come gesto simbolico, politico.
E.M.: Ed è l’ultima volta che lo vediamo. Va via dall’inquadratura e non lo vedremo più. Ma lui era già pienamente libero. Chissà, magari va a comprarsi un’altra chitarra. Tra l’altro è l’unico momento del film in cui sentiamo della musica.
L.D.: Sono io che ho suonato quegli sfoghi. Io amo le chitarre elettriche, è la prima cosa che faccio ogni mattina: prendere la chitarra e suonare. È sempre il suono che cerco come prima cosa la mattina. Non cerco il caffè, o altro…Voglio solo sentire il suono della mia chitarra.
B.R.: In che formato hai girato il film…
L.D.: Il film è stato girato in digitale
B. R..: E l’hai anche girato materialmente, eri tu stesso l’operatore, vero?
L.D.: Sì, in realtà sto sempre più lavorando da solo ai miei film. E’ comunque qualcosa di più di un semplice bisogno. Certo, in partenza è anche una questione economica, non mi posso permettere di affittare una grande macchina da presa, e spesso non mi posso permettere di pagare un DOP, per fare le riprese e quindi mi sono adattato e cerco di imparare a fare sempre meglio, come con la chitarra.
B.R.: You play the camera!
L.D.: Sì, ho sempre bisogno di avere una relazione personale con questi strumenti. Non noleggio l’attrezzatura, non ho mai abbastanza soldi, e lavoro con quello che ho.
B.R.: Io vedo nel tuo lavoro anche un grande lavoro di memoria sul cinema classico: Murnau, Von Stroheim, Flaherty. Per me i tuoi film attingono a questa memoria del cinema…
L.D.: Il cinema è memoria. Von Stroheim mette tanta arte nel suo cinema, lo vedi nei suoi film.
D.T.: Bruno ha riconosciuto nel film lo stesso cortocircuito che appartiene a Von Stroheim: sesso, soldi e sfruttamento, violenza. E la fisicità forte che si vede nelle immagini dei film di Von Stroheim, nei corpi, specialmente nella violenza dei corpi. Come quando in Phantosmia vediamo Hazel Orencio (Narda) colpire violentemente suo figlio, un gesto che mi fa sentire una certa contraddizione fertile, ripenso a quando Hazel aveva interpretato Florentina Hubaldo²⁰¹²… E’ bello ritrovare nel tempo il tuo gruppo di attori… Anche Ronnie Lazzaro era in When the Waves are Gone²⁰²².
L.D.: Sì e Ronnie Lazzaro era anche in Heremias…Qui Hazel è diventata un diavolo! Il male. Certe volte le cose cambiano in peggio e diventano cattive.
B.R.: La catena della colpevolezza che il personaggio di Hilarion Zabala (Ronnie Lazzaro) affronta va verso una progressiva liberazione, e infatti verso la fine il disturbo degli odori scompare.
L.D.: È qualcosa che si articola durante tutto il film, ma dopo che Zabala uccide il Maggior Lukas il disturbo è per un attimo completamente svanito. Forse è già redento…Lui nel finale toglie il bavaglio, la maschera che aveva tenuto durante tutto il film. Ho cercato di far capire che tutti i suoi peccati erano andati, facendo del bene liberando Reyna e distruggendo alla fine qualcosa di diabolico.
B.R.: È paradossale che la sua liberazione avvenga proprio grazie ad uno sparo. Lui vuole liberarsi dal senso della colpevolezza degli assassinii compiuti, con un altro assassinio.
L.D.: Certo, è un discorso di dualità del suo atto, distruggere qualcosa di diabolico per restaurare l’essenza della sua anima. Mi sta venendo ora in mente che l’altro giorno stavo discutendo sul fatto che la migliore versione di Somewhere è quella cantata da Tom Waits. È assurdo, ne parlavo proprio qualche giorno fa…Tutto si connette, vedete…
D.T.: Mi piacerebbe sapere qualcosa della leggenda del gatto selvatico e anche di tutte queste altre storie e leggende che vengono nominate nel film.
Francesco Scognamiglio: Come il Caso Eagle in Essential Truths of the Lake²⁰²³.
L.D.: Esatto. Quasi in ogni mio film c’è sempre un discorso sugli animali leggendari, in questo caso si tratta di un gatto selvatico, ma ce ne sono sempre nei miei film specialmente quelli conosciuti e venerati un tempo nelle Filippine. Qui ho raccontato il gatto selvatico. Oggi si stanno estinguendo sempre più specie nel paese, e vedere il gatto selvatico è come il Sacro Graal dei cacciatori, è sempre importante avere qualcosa in cui credere, qualcosa da inseguire.
B.R.: Tutto questo parla di questo senso di speranza che comunque sentiamo durante il film. Phantosmia non è un film disperato, anzi è un messaggio di speranza.
D.T.: Quando Reyna si sente veramente liberata, e sulla barchetta fa questo gesto verso l’alto che ci ricorda tantissimo anche Century of Birthing²⁰¹¹.
L.D.: Un gesto di emancipazione e di liberazione.
B.R.: E invece il bagliore di luce appartiene ad una leggenda vera?
L.D.: Ho sentito questa leggenda da un americano che diceva che molte leggende di questo genere venivano messe in giro tra le persone per controllarle, creare dei miti significa controllare la gente, le cose… Gli Americani parlavano di questa “luce accecante” prima di arrivare nelle Filippine e hanno continuato a parlarne anche qui, e poi queste storie sono diventate parte della cultura.
E.M.: Immagino che tu giri sempre con la luce naturale, ed è come se tu prendessi la luce delle Filippine, dei suoi paesaggi, di casa tua, e quando ho visto la prima immagine del film mi sono sentito subito a casa, in casa di Lav. Più le immagini procedevano e più trovavo dei punti di riferimento, dei ripari, e nelle quattro ore di durata ho potuto sperimentare, assaporare, sentire le Filippine. Storicamente, per tutto il lavoro di ricerca e di storiografia che c’è dietro ad ogni tuo film, e fisicamente, attraverso l’alternanza di paesaggi e persone, la prigione e l’intimità di condividere del buon cibo. In tutto ciò noi siamo con Zabala, che non mangia, che è spesso osservatore, sentinella di queste Filippine.
L.D.: Il cibo che vedete nel film è anch’esso collegato alla cultura e alle leggende del mio paese. Tutte le ricette in Phantosmia sono ricette in via d’estinzione, certe volte a causa di ingredienti che non si trovano più. Come quel pesce bellissimo che vedete, e ormai non c’è più sulle tavole. Come avevo fatto in From What Is Before²⁰¹⁴, il cinema è una fonte di immaginazione che può essere messa al servizio di cose che stanno sparendo. Quando vedete quel pesce nel film potete in qualche modo averne un’immagine anche se il pesce non esiste più, anche soltanto per celebrarlo. Per fissarne la memoria.
D.T.: Ci sono diversi fantasmi nel film, introdotti attraverso la scena del sogno, quando Zabala sogna il suo addestramento militare e lo mescola con la presenza della sua famiglia, un’altra grande contraddizione…Mi chiedevo da dove proviene in te la necessità di raccontare tutto questo: i fantasmi come parte della memoria, e parte del passato.
L.D.: Phantosmia è veramente un film di fantasmi, dove costantemente si sente odore di fantasmi e di spiriti. E in tutto il film si avverte anche questa presenza di un fantasma più grande che è quello di una natura ancestrale, che è dominante con i suoi venti, il suono delle foglie sugli alberi, l’acqua…I suoni che sentite sono i suoni reali, sono spiriti potentissimi, specialmente nella cultura Malay, che prima della venuta degli spagnoli venerava gli alberi come dei, il vento come un dio, il fiume come un dio. Il film attua il risorgimento di questi dei della cultura Malay.
B.R.: Quando Zabala parla con questi fantasmi sono sempre momenti di guarigione, come se riconoscesse la sua colpevolezza nella visione di questi fantasmi.
L.D.: Il veleno di questi fantasmi è dentro di lui, ogni fantasma è una sua colpa, e sono tutte storie piene di violenza, ma arriva il momento di portarli fuori e di liberarsene.
B.R.: Un altro fantasma è sua moglie, e anche la seconda moglie che purtroppo muore a sua volta, e mi sembra che la relazione con suo figlio Nelson, che ha la faccia pitturata di bianco sia un altro fantasma. Nelson non parla con suo padre. E dall’incontro tra i fantasmi e con gli dei della natura scaturisce sempre la guarigione, come nel momento in cui Reyna si può liberare. Quando i fantasmi diventano di nuovo gli dei della natura, è allora che Reyna diventa libera.
L.D.: Sì, hai completamente ragione, grazie per come hai espresso la tua visione. Grazie, davvero.
F.S.: Io penso che il concetto di speranza che trasmettono questi personaggi nella ricerca della redenzione dalle colpe, si esprima attraverso il Sergente Zabala che cerca di mettere del buono nella malvagità e infatti cerca di far capire a Setong che quello che sta accadendo a sua sorella è sbagliato, è male. Lo spinge a fare qualcosa, e Setong deve scegliere. La storia è fatta di persone che scelgono di fare qualcosa, verso il bene o verso il male. In questo film si sente molto questo dualismo.
L.D.: È sempre una questione di scelte. Setong, neanche lui si esprime sulle cose, ha sempre agito da codardo, ma alla fine non rivela alla madre dove si trova sua sorella Reyna. Questo resta un atto di grande coraggio da parte sua, ma sfortunatamente viene punito e quasi ucciso.
B.R.: Il personaggio di Reyna rappresenta l’anima dell’isola, con il suo corpo fragile e sensibile.
L.D.: Qualcosa di fragile di cui prendersi cura…
D.T.: Come una piccola pianta…
L.D.: Anche per questo quando questa piccola anima torna alla vita si sente fortissima la sua liberazione dai fantasmi, forse era lei quella rinchiusa nella gabbia più difficile. La liberazione di Reyna avviene proprio perché qualcuno comincia a prendersene cura, a pensare a lei.
D.T.: Per concludere volevo dirti che questo film ci è sembrato il tuo film più pieno di speranza, e durante quest’anno orrendo, pieno di violenza e di guerre in tante parti del mondo…
L.D.:….certo, Gaza….
D.T.. …ti volevamo ringraziare perché in questo momento così terribile e folle nel tuo film c’è tanta speranza…
L.D.: Grazie a voi, per me è importantissimo che il film vi sia arrivato come un messaggio di speranza verso il mondo.
[1] Dante, Inferno XXVII, 25-26