Venezia 82: Conversazione con Aleksander Sokurov
A cura di Bruno Roberti e Daniela Turco
Come prima cosa desideriamo dirle che siamo particolarmente commossi ed emozionati dopo la visione del suo Director’s diary, un film appunto emozionante ed entusiasmante, e anche ipnotico…
- S. …. e a me entusiasma saperlo, e nello stesso tempo mi stupisce, perché ciò dimostra che siete disposti ad avvicinarvi davvero alla vita di un altro paese, di un’altra società, di un’altra vita, al punto di farla entrare nel vostro cuore, e questa è una cosa rara…
Riteniamo il suo film molto importante perché ci appare come un palinsesto, che ha all’interno molti punti di vista diversi; nel film certamente vediamo la Russia, ma vediamo anche il resto del mondo, e inoltre vediamo il cinema, la pittura, in altre parole ci sono molti “volti” diversi nel suo film, e soprattutto vediamo il tempo…All’inizio del film c’è una frase che viene scritta sul diario: “Angelo mio, resta con me, io sono dietro di te” e questo mi ha fatto pensare all’angelo della storia di Walter Benjamin, che guarda le rovine del passato, ma viene sospinto da un vento tempestoso verso il futuro; quindi, che rapporto c’è tra tempo della Storia e tempo interiore, spirituale all’interno del film?
- S. Io direi che il tempo spirituale si è già fermato, mentre la Storia va avanti, come nel Cristianesimo, le direzioni e le posizioni principali sono già state determinate e noi sappiamo come e dove, ma il movimento delle società e delle persone va avanti e crea le situazioni, sempre più complicate, che noi dobbiamo in qualche modo relativizzare rispetto alla Storia, e questa è la cosa più difficile, perché le circostanze della vita a volte sono complicatissime, e un imperativo etico non può essere applicato alle circostanze date. Noi sappiamo che non si deve uccidere perché è uno dei peccati capitali, eppure è un peccato che Caino compie, è così che ha ucciso Abele. Si tratta di una questione molto delicata, avete toccato un punto fondamentale con la vostra domanda, perché è questa la questione che si pone ogni artista contemporaneo, ma forse vale anche per gli artisti di cento anni fa. Tolstoj l’affrontava di sicuro, e non parliamo di Dante, l’autore della Divina Commedia…Cosa posso dire di noi, comuni mortali? Noi vediamo che ogni madre deve continuamente porsi questa domanda per prendere in considerazione il comportamento del proprio figlio e anche del proprio marito, o compagno, e come possiamo valutare il comportamento dello Stato in cui viviamo e quello che fanno i politici? Dove sono queste categorie di correlazione …perché la gente le infrange in continuazione, e in tutti i tempi è stato così…
A un certo punto nel film si parla di Freud, di politica, di inconscio, e ci è sembrato che anche il montaggio del film lavorasse molto sulle suggestioni inconsce e che grazie a questo si liberassero delle forze nascoste…
- S. Senz’altro. Vorrei precisare, aggiungendo qualche parola, che parliamo del caos, e nella scienza il caos è una circostanza benefica…I fisici sostengono che è il caos a gestire molte cose, e nel caos è racchiusa una grande logica, ma nell’arte no…Nell’arte questa forza è spesso distruttrice, per i fisici il tempo è una categoria talmente estesa e il cosmo, l’universo, i pianeti, e noi con la nostra dimensione umana della vita…Uno vive vent’anni e viene ucciso in guerra, un altro vive molto più a lungo… l’uno in pochi anni della sua vita riesce a essere felice e l’altro invece vive molti lunghi anni di infelicità…il tempo vissuto da una persona quando è infelice dura molto più a lungo rispetto al tempo di chi è felice, e il tempo della felicità è talmente breve…totalmente breve…
Parlavamo prima della presenza nel film di un ritratto della Russia cui si sovrappone un ritratto del resto del mondo, e anche un autoritratto di un autore, di un regista, che è lei, e del suo metodo di lavoro.
Sì, perché è il mio primo film, dopo tanti che ho realizzato, in cui io stesso divento un personaggio: è il mio primo film in cui io racconto delle cose di cui sono stato testimone, il tempo in cui ho vissuto e di cui ho fatto parte. Allo stesso modo, parlo del tempo in cui hanno vissuto moltissimi miei compatrioti che abitavano, ad esempio, a Leningrado, ma a Leningrado noi capivamo benissimo che la vita non accadeva soltanto lì, ma che scorreva anche altrove, per esempio in Europa, ed essenzialmente se parliamo degli aspetti sociali della vita e della società, in realtà, alla fine, abbiamo gli stessi problemi che esistono in Europa. Che si parli di socialismo, o di assenza di socialismo, i problemi delle persone sono sempre uguali. Come trovare lavoro, come non ammalarsi, come lavorare bene, come eseguire bene un compito complicato, per esempio, come andare nello spazio, e come morire in un aereo tutti insieme…
A proposito, perché questa insistenza nel film sugli incidenti aerei? Probabilmente gliela avranno già fatta questa domanda, ma nel film è molto reiterato l’elenco degli incidenti aerei…
- S. : Non si tratta tanto di insistenza, ma il fatto è che ne cascavano molti di più di adesso, statisticamente…
Quindi si tratta di statistica…
- S.: Ne cascavano molti, molti di più di adesso, in Unione Sovietica, in Italia, negli Stati Uniti, in molti paesi… E’ il prezzo che noi paghiamo per il nostro progresso, per lo sviluppo… Il prezzo del progresso non è pagabile in denaro, o in qualche altra piccola incombenza, no…la vita è sacrificio…
E questo spiega anche l’insistenza nel film sugli altri incidenti, come quelli nucleari…Ma, passando al cinema il film si apre con una sequenza tratta da un vecchio musical sovietico in cui un ragazzo canta una canzone in cui dice di aver incontrato la sua ragazza in un cinema in cui davano Il ladro di Bagdad. Questo dettaglio mi ha commosso perché il primo film che ho visto da bambino era proprio Il ladro di Bagdad.
- S. : Questo testimonia il fatto che siamo tutti contemporanei, e pur abitando in luoghi distanti del mondo, il cinema ci unisce, è così. Il cinema è una costante che ci unisce e poi ci fa anche ritornare alla nostra gioventù, alla nostra adolescenza. E’ curioso che questo film, Il ladro di Bagdad, sia rimasto legato alla gioventù.
Lei nel film seleziona in prevalenza degli estratti da musical sovietici dove si ascoltano delle canzoni. Che cosa l’ha spinta a fare questo tipo di scelta?
- S. : Non ho scelto solo degli estratti musicali, ma la scelta è stata operata a partire dalle melodie, o da un gesto improvvisato, perché, ad esempio, il jazz non comunica nulla, e ci porta chissà dove…ma una canzone ha una parte di lirica, e avrete notato che delle canzoni che sono molto melodiche, sono anche eseguite con un certo trasporto. Bisogna dire che nell’Unione Sovietica sono esistiti dei compositori di canzoni, veramente eccezionali, assolutamente allo stesso livello di quelli che lavoravano in Francia. E’ un fatto curioso che tantissimi autori di queste canzoni venivano in Italia, in Francia, e in Unione Sovietica c’è stato un periodo in cui nonostante la diversità della qualità della vita, prevaleva questa attenzione per le canzoni, per il loro lirismo…
Di che anni parliamo? Anni 30, 40?
- S. : No, direi, anni 50, anni 60… Dopo la morte di Stalin…molte cose cambiarono dopo la morte di Stalin.
Tornando alla struttura del film ciò che ha in gran parte determinato la nostra emozione nel vederlo (anche se non era la prima volta, avevamo già visto Fairy Tale, che già presentava un lavoro straordinario sugli archivi di cui lei si è servito in modo creativo), è il fatto che in questo film il lavoro di archivio diventa centrale, e allora soprattutto ci chiedevamo quanto tempo ha impiegato in questo senso per realizzare il film…
Il materiale l’ho raccolto per decenni, perché io ho diversi taccuini, dei taccuini “storici”, o dei diari dove scrivo le mie impressioni sulle mie letture. Adesso per esempio sto rileggendo Francoise Sagan e noto che la mia reazione rispetto alla prima volta che l’avevo letta circa vent’anni fa quando ne avevo allora trascritto le mie impressioni, oggi diverge molto…Il sentimento che provo, rileggendola oggi, è enormemente differente. Quindi bisogna sempre saper setacciare attraverso il filtro del tempo. Diventiamo più calmi dal punto di vista emotivo e senz’altro più intelligenti. Perché è vero che si diventa più saggi. Rispetto a delle cose che all’epoca mi suscitavano determinati sentimenti, oggi vedo che sono molto più calmo su molti fronti…Leggendo oggi Francoise Sagan mi domando: “ Ma perché scriveva di questo? Lo so già…” Vent’anni fa lo leggevo scoprendolo per la prima volta e mi emozionavo – perché anche vent’anni fa lo sapevo -, e così adesso mi dico “ Ma perché lo scrivo? Lo sapevo già…” Devo dire che però quando leggo William Faulkner non mi pongo questa domanda. Con questo non voglio dire che Faulkner sia più profondo di Sagan, no…non so perché, è un fatto emotivo. E quindi da questo punto di vista posso affermare che Il taccuino del regista (questo è il titolo italiano), è un’anti-elegia.
Definendolo un’anti- elegia lo mette in rapporto con le sue diverse elegie realizzate da lei precedentemente…
- S. : Sì, perché l’elegia come genere è poesia pura ed è un ricordo di qualcosa che non ricordiamo e che vorremmo ricordare con affetto, ma quando penso al Novecento avrei preferito non sapere alcune cose e non ricordarne delle altre. Perché per esempio non vorrei sapere perché le trattative sul disarmo mondiale iniziate anni fa non sono state portate avanti…
Oggi purtroppo avviene tutto il contrario, si pensa a riarmarsi, altro che disarmo…
A.S. : La questione palestinese era già posta, nel 1958…
Oggi ci troviamo di fronte a un disastro a una tragedia senza precedenti…
A.S. : Una cosa la spero comunque, spero cioè che i test delle bombe nucleari siano finiti per sempre. Perché i primi che avevano elaborato il concetto della bomba atomica in Unione Sovietica, tra cui Andrej Sacharov, già nel 1957 avevano detto che si dovevano arrestare i test, e alla fine questo coincidere della volontà dei politici con il parere degli scienziati ha fatto sì che si concludesse questa prassi. Ma ciò non significa che questa esperienza, che in questo caso si è conclusa positivamente, non possa ripetersi. Comunque, tutti gli inventori della bomba atomica sono morti da anni e non possono fermare i nuovi politici, che hanno di tutto nella loro testa…
Nel film abbiamo sentito per questo modo di leggere la Storia, la pittura, la musica, orchestrata in un grande lavoro di montaggio e di archivio, un certo rapporto con le Histoire(s) du Cinèma di Jean Luc Godard…
- S. : Purtroppo non ho mai visto le Histoire(s). Ma facciamo lo stesso mestiere. Cerchiamo di pensare e quindi camminiamo, non uno accanto all’altro, ma forse su strade parallele…
A proposito del lavoro sulle immagini, sull’archivio; intanto quanto tempo ci ha messo a “lavorarle”…
- S. : Circa quindici anni. Ovvero, il film l’ho realizzato in un anno e mezzo circa, ma il lavoro di preparazione è durato quindici anni. Tutto l’archivio su cui ho lavorato va fatto risalire a un unico ente: Cinestudi Documentari di Leningrado che ogni anno produceva del materiale documentario. Da giovane, io stesso ho lavorato per questo ente, e ho potuto avere libero accesso per visionare i materiali periodicamente.
Lei ogni tanto interviene sulle immagini, si vedono come delle erosioni, delle distorsioni…
- S. : Ah, non l’ho mica notato …(ridendo)
Ci sono dei momenti in cui le immagini graficamente vengono come “re-impaginate”…
A.S.: Ah certo la composizione ha un ruolo, a volte non prendo tutte le inquadrature, ma una parte, oppure cambio il formato…
Oppure interviene con il colore rosso…
- S. : Sì ho introdotto degli elementi grafici, ma tutto questo, il colore rosso, ecc., sono tutti presi dai segni grafici dell’epoca, e nella versione russa del film abbiamo lavorato moltissimo con font diversi, russi, usati all’epoca, sulle scritte in cirillico. Quando abbiamo fatto la versione per l’estero abbiamo capito che alcuni fattori grafici divergono e quindi abbiamo scelto necessariamente di semplificare; la versione russa è più pensata.
Quello che volevo dire è che nel film c’è una riflessione proprio sullo statuto delle immagini, perché a un certo punto si vedono le forature della pellicola, è un po’ come se quelle immagini che appartengono alla Storia fossero rigenerate e ogni volta è come se ci fosse un’epifania al presente delle immagini passate, davanti a noi.
A.S.: Sì, è così. C’è di lato una timeline che dà allo spettatore l’idea della direzione in cui si procede e che può vedere, e se io come autore ero trasportato dalla fantasia come è accaduto, vedevo questa fascia che segna il tempo, e mi dicevo “Oh mio Dio, l’anno è quello…”; ecco che così si nota il flusso del tempo in cui si è immersi, che è dato da quella scaletta…
Nel film a un certo punto compare il quadro di un interno, con colori molto vividi, sembra quasi un Pierre Bonnard, ci chiedevamo che cos’è quel quadro…
- S.: Ah sì, è un’immagine che ho preso da Internet, conosco questo pittore, non è molto famoso, ma io l’ho preso perché si vede bene che nel quadro ci sono molti lillà, e i lillà erano i fiori preferiti di mia madre. Sì: è una sorta di messaggio alla mamma, oggi mia madre non c’è più, e quindi, è vero, per me non è abituale soffermarmi tanto sull’immagine di un quadro così colorato, pieno di sole, così estivo, in contrasto con la musica di Penderecki, la Passione secondo Matteo, come dice il cartello… Penderecki a modo suo cercava di competere con Shostakovich, ma era una lotta di due direzioni musicali molto interessanti e distanti, e il lillà ci riunisce tutti, ed è eterno, c’è quella finestra che dà sul giardino, spalancata sulla natura, c’è qualcosa di calmo e di domestico in questo quadro…
E Tintoretto? Nel film viene definito come “il primo regista”… un’idea meravigliosa…
- S. : I suoi soggetti visuali sono incredibili, nessun altro ha dipinto certe visioni…
Lei come regista si sente vicino al Manierismo di Tintoretto, così estremo?
- S. : Ah senz’altro, senz’altro. Grazie per lo sforzo della comprensione.
Prima di salutarci Aleksander Sokurov ci mostra una serie di foglietti su cui sono scritte a penna delle annotazioni, che compaiono nel film e che il regista porta sempre con sé, diario e allo stesso tempo metodo di lavoro, da lui continuamente aggiornate. Vere e proprie whispering pages, per usare il titolo di un suo film, che pur essendo radicate nel tempo, contemporaneamente ne sono slegate, si muovono libere, come singole unità poetiche a metà strada tra la pagina e il fotogramma.

