Omaggio a Kim Novak, Leone d’oro alla carriera alla 82 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

Kim Novak contro-diva di enigmatica voluttà
di Vittorio Giacci
A Hollywood tutti pensano di volere te,
ma in realtà vogliono l’idea
che loro si sono fatti di te.
Kim Novak
Curiosa sorte quella riservata a Marilyn Pauline Novak, in arte Kim Novak, di accedere al Parnaso delle Star di Hollywood lasciando il proprio nome anagrafico a Norma Jeane Mortenson, che aveva assunto invece proprio quello di Marilyn per scalare anch’ella la dimora degli Dei.
Nel paradosso tra essenza e parvenza onomastica, se la prima non usa questo nome pur essendo il suo, la seconda lo utilizza invece pur non essendolo.
Contro-diva di enigmatica voluttà, Kim Novak spinge tale dualità identificativa nella propria carriera di attrice, interpretando spesso, affiancata da partner di prima grandezza, ruoli pulsanti di interiore, elusiva duplicità.
E’ lei stessa a evidenziarlo figurativamente quando, primadonna della “Columbia Pictures”, viene a impersonare il ruolo di giovane interprete alle prime armi in Quando muore una stella soffermandosi proprio dinnanzi alla stella incastonata nella Walk of Fame del Sunset Boulevard dedicata alla Monroe, il più fulgido astro della concorrenziale galassia della “20 Century Fox”
E’ un percorso accennato già nella sua prima partecipazione da protagonista nel lungometraggio Criminale di turno (Pushover, R. Quine, 1954) dove ricopre il ruolo di Lona McLane la quale, dopo l’apparizione dell’inizio da elegante signora abbordata da un gentiluomo che si offre di aiutarla per una panne della sua automobile, Paul Sheridan (Fred McMurray), in realtà un agente di polizia che indaga su una rapina, si rivelerà essere non solo la donna del capo banda ma anche un’abile seduttrice e una ammaliante corruttrice, una Dark Lady che induce l’uomo a tradire il proprio dovere e a uccidere per recuperare la refurtiva e ottenere in cambio denaro e amore.
Nel mezzo della notte (Middle of the Night, D. Mann, 1959), tratto da una pièce di Paddy Chayefsky messa in scena a teatro con Gena Rowlands ed Edward G. Robinson con la regia di Joshua Logan, racconta una complicata relazione sentimentale tra una giovane segretaria, Betty Preisser, e il suo principale molto più anziano di lei, Jerry Kinsley (Fredric March), relazione che, nonostante la contrarietà delle rispettive famiglie, porterà la coppia a unirsi in matrimonio.
Nel personaggio di Betty, combattuta tra la delusione di una precedente e fallimentare unione e la ricerca di stabilità e sicurezza in un uomo maturo, la Novak si distingue per l’inventiva con cui compie gesti d’amore e scatti di disamore, in un marcato conflitto tra opposte personalità.
La modalità interpretativa di apparire altro da come si è si accentua in Una strega in paradiso (Bell, Book and Candle; R. Quine, 1958), dove l’attrice cela, nelle vesti di un’antiquaria di maschere primitive, laureata in antropologia, Gillian Gil Holroy, di essere una strega che ricorre alle arti magiche con l’ausilio del fidato gatto Cagliostro per far innamorare di sé il nuovo vicino di casa, l’editore Sheperd Sherp Henderson (James Stewart), suo partner anche ne La donna che visse due volte, il capolavoro assoluto della doppia identità.
La co-esistenza in Gil di due temperamenti è tracciata lungo un tragitto di situazioni e di affermazioni (“sentirsi un’altra persona”; “non desiderare di non essere quello che si è”; “rinunciare alla possibilità di una vita diversa”; “non svelarsi agli estranei”); sino all’innamoramento autentico della donna che farà svanire d’incanto la sua natura stregonesca.

In L’affittacamere (The Notorious Landlady; R. Quine, 1962) in compagnia di Jack Lemmon e Fred Astaire, rispettivamente l’affittuario e il titolare d’ambasciata, sua è la parte di Carla Hardwicke, una proprietaria di casa che affitta stanze a occasionali richiedenti ma che è sospettata da Scotland Yard di condurre una doppia vita e di avere addirittura ucciso il proprio coniuge.
La sua duplicità recitativa la si riscontra persino in un film biografico – per definizione monodico – Un solo grande amore (Jeanne Eagels, G. Sidney, 1957) in cui incarna le vere vicende di un’attrice di teatro e di cinema degli anni Venti, Jeanne Eagels, della quale ripropone la vita, dal periodo luminoso della fama e della celebrità agli oscuri sviluppi della depressione, dell’abuso di alcool, sostanze stupefacenti e tranquillanti che la condurranno al suicidio, con una decisa bivalenza di atteggiamenti tra le due fasi.
Ideale per la Novak è poi un personaggio come quello di Mildred Rogers in Schiavo d’amore (Of Human Bondage, H. Hathaway, 1964), ricavato dal romanzo di Somerset Maugham e già portato sullo schermo da Bette Davis in un film del 1934 diretto da John Cromwell, una figura femminile di Fine Ottocento dal carattere volubile e sentimentalmente mutevole che trascina Phil Casey (Lawrence Harvey), studente di medicina dopo un tentativo irrisolto di diventare pittore, in un folle innamoramento e alla disperazione.
L’attrice è superlativa nel dare corpo a due indoli contrapposte ma conviventi in una medesima persona, come preannunciato dalla stessa protagonista in una delle sue prime asserzioni: (“sono una cameriera ma sono anche una signora”): quella di una giovane e bella inserviente con la quale instaurare una delicata storia d’amore, e quella di una donna tanto incostante, imprevedibile e impulsiva da coinvolgere inevitabilmente entrambi in una tumultuosa relazione di “servitù umana”(come indica più appropriatamente il titolo originale), di passione e disprezzo, ardore e risentimento, in una dimensione progressivamente distruttiva e auto-distruttiva di degrado morale, rovina e morte.
E se nella Mildred del romanzo convivevano gli antitetici sentimenti di chi soffre e di chi fa soffrire, qui la performance della Novak la vivifica con crescente intensità emotiva.
Il suo dualismo interpretativo si esplicita ancor più nella frizzante “commedia degli equivoci” Venere in pigiama (Boys Night Out, M. Gordon, 1962), nel bi-valente personaggio di Cathy, una giovane e attraente laureanda in sociologia che sta preparando una tesi sulle fantasie sessuali dei maschi sposati che vivono in periferia, la quale viene scambiata per una ragazza disponibile a intrattenersi a turno, un giorno alla settimana ciascuno, con un gruppo di amici sposati in una garçonnière affittata per le loro evasioni dal talamo domestico.
La duplicità del ruolo, reso con versatile ironia, è sottolineata anch’essa nei dialoghi, sia del suo professore Prokosch (Oskar Homolka) quando enuncia che “ci sono due lati in ogni donna”, sia di Fred William (James Garner), l’unico scapolo della compagnia che si innamorerà, ricambiato, di lei, quando le chiede: “ma tu che tipo di persona sei?”
Il film in costume Le avventure e gli amori di Moll Flanders (The Amorous Adventures of Moll Flanders, T. Young. 1965), basato sul romanzo di Daniel Defoe Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, che descrive le alterne vicende di una giovane di povere origini che tenta la scalata sociale nella Londra del Settecento grazie alla propria avvenenza, è una sfavillante “commedia di travestimenti” che permette alla Novak di esprimere, con battute che ribadiscono quanto avviene in scena (“travestirsi da signora”; “io non sono quella che lei pensa”; “non ho mai detto di essere quella che non sono”), la doppia parte di serva popolana e di nobildonna, in un “crescendo” di camuffamenti che la fanno incontrare con Jerry (Richard Johnson), un ladro senza un quattrino che si spaccia anch’egli per un benestante signorotto.
Solo quando si confesseranno a vicenda i loro travisamenti potrà finalmente sbocciare un amore sincero, unitamente a una insperata eredità tale da garantire loro anche quello status sino ad allora soltanto vagheggiato e simulato.

Nel suo ultimo lungometraggio da protagonista, Quel fantastico assalto alla banca (The Great BankRobbery, H. Averback, 1969), l’attrice veste addirittura i panni di una falsa suora, sorella Lyda, in verità complice di una banda di rapinatori camuffati da religiosi, la quale ha anche compiti aggiuntivi di “falsificatrice” e “adescatrice, che sveste il saio per fingersi una sorta di Lady Godiva in sella a un bianco destriero e completamente spogliata, allo scopo di distrarre le guardie della banca dove i suoi compagni di malaffare stanno effettuando una rapina.

Questa dicotomia caratteriale Kim Novak la trasmette spesso anche nelle pellicole in cui non ricopre ruoli di primo piano.
In 5 contro il casino (5 Against the House, P. Karlson, 1955), ad es., al fidanzato che la chiede in sposa, replica: “non so che cosa rispondere. Da un lato vorrei abbracciarti e piangere di felicità; e dall’altro penso che farei meglio a fuggire”.
Altrettanto avviene in Gigolò (Just a gigolò, D. Hamming, 1978) in cui interpreta il personaggio di Helga Von Kasselring, una nobile tedesca che, per sopravvivere nella Berlino del post prima guerra mondiale si prostituisce e così evoca quelle che erano state le aspirazioni della sua vita anteriore: “avevo anch’io speranze, ambizioni. Ero convinta di valere qualcosa, di diventare qualcuno”.
E’ una tipologia che si rinviene anche nei film a una sola dimensione interpretativa come Picnic (id., J. Logan, 1955), accanto a William Holden; Incantesimo (The Eddy Duchin Story, G. Sidney, 1956), con Tyrone Power; Pal Joey (id., G. Sidney, 1957), insieme a Frank Sinatra e Rita Hayworth; Noi due sconosciuti (Strangers When We Meet, R. Quine, 1960); in coppia con Kirk Douglas; dove scorrono sovente sul suo volto le ombre inquiete di una sofferenza remota; indizi di un dolore introiettato; barlumi di un enigma sospeso; avvisaglie di un travisamento non percepito; sentori di un indicibile non rivelato.
Un’eccezione a tale diarchia attoriale è il ruolo di Molly (che la Novak accetta dopo il rifiuto di Rita Hayworth) in L’uomo dal braccio d’oro (The Man with the Golden Arm, O. Preminger, 1955), dall’omonimo romanzo di Nelson Algren, una giovane donna che compie ogni sforzo per far uscire l’uomo che ama, il cartaio di bisca clandestina Frankie Machine (Frank Sinatra), dall’illegalità e dalla tossicodipendenza, una figura lineare e affidabile che può significare per lui la speranza di un ritorno alla normalità e l’inizio di una nuova vita insieme a lei.
La sua talentuosa duttilità nel gestire aspetti, comportamenti e profili di personaggi duplici, l’attrice li rivela mirabilmente in due interpretazioni che sono tra le sue più importanti oltre che agli antipodi per genere, il comico Baciami stupido (Kiss me, Stupid; B. Wilder, 1964) e il drammatico La donna che visse due volte (Vertigo; A. Hitchcock, 1958).
Nel primo, la storia di un compositore di provincia, Orville J. Spooner (Ray Walston) il quale, per non perdere l’occasione di sfruttare l’ accidentale presenza in paese del famoso cantante Dino (Dean Martin nel ruolo di se stesso), noto anche per la sua fama di tombeur de femmes, si lascia convincere dal suo socio in canzoni, il paroliere, benzinaio e meccanico Barney Millsap (Cliff Osmond), a ordire uno stratagemma per non far ripartire l’automobile del cantante, fargli trascorrere la notte in casa sua e fargli ascoltare e acquistare le loro composizioni, rifiutate fino ad allora da tutti gli editori discografici, e, per agevolare la vendita, gettandogli tra le braccia una cameriera ed entreneuse del “bar dell’ombelico”, un locale malfamato della zona, la ben disposta Polly la bomba, Kim Novak, appunto, spacciandola per la propria moglie Zelda (Felicia Farr) di cui è invece gelosissimo.
Le vicende di questa brillante “commedia degli inganni”, tratta dalla pièce di Anna Bonacci L’ora della fantasia e portata sullo schermo con il pertinente titolo Moglie per una notte (M. Camerini, 1932), faranno sì che Polly si sentirà attratta dal suo inconsueto ruolo di moglie mentre la vera consorte si troverà ad andare a letto proprio con Dino, coronando in tal modo sia l’intento di Zelda di fargli eseguire le canzoni del coniuge sia quello di Polly di lasciare il paese per rifarsi una nuova esistenza.
Ricca di sfumature è l’interpretazione della Novak che passa dalla comportamentistica di seduttivi ammiccamenti consoni alla maschera di donna facile al convincimento sempre più sentito di incarnare, forse per la prima volta, nel calore confortevole di una casa, di un affetto, di un ritrovato rispetto, una inedita dignità da riscattare e non tradire, fosse anche soltanto per una notte.
La completa reversibilità dei ruoli che porterà Polly “a fare l’amore con Orvill come se fosse la legittima consorte e Zelda a farlo con Dino come se fosse Polly, “la bomba più esplosiva del West”, è trapunta in un reiterato ordito dialogico: “Io sono Zelda, non ricordi?”; “Polly, voglio dire Zelda”; “che diritto ha di trattare così tua moglie? Per fortuna non sei mia moglie”; “Tua moglie, ma che sei diventato pazzo? Non è tua moglie! “; “”io sono Polly la bomba, rammenti? Tu non sei Polly, stanotte siamo la signora e il signor Orville G. Spooner”;”se io fossi in lei, e lo sono stata”; “lei ha preso il mio posto stanotte e io ho preso il suo; “ è stato divertente fare la moglie per una notte”.

Insuperabile e Indimenticabile, naturalmente, il duplice personaggio di Madeleine Elster /Judy Barton che Kim Novak interpreta in La donna che visse due volte (Vertigo, A. Hitchcock, 1958) e che Truffaut omaggia in Farhneheit 451 (id., 1964), nel doppio ruolo di Linda/Clarisse affidato a Julie Christie. E’ un’ enigmaticità al massimo grado e sottesa a tutto il film ma che raggiunge il culmine nella sequenza in cui Judy riappare a Scottie dal mondo dei morti nei panni di Madeleine nella stanza d’albergo immersa in una spettrale luce verde.
“Se mi lascio trasformare come vuole, se faccio quello che dice, riuscirà ad amarmi? – implora nel trasferimento identitario di amarla non come la Judy che è, ma come la Madeleine che acconsente di essere – Allora lo farò. Non mi importa più niente di me”.
E’ una voluttà che sfida la necrofilia, una passione per la vita oltre la morte al di là di ogni limite umano che l’attrice sa splendidamente manifestare e mantenere anche quando Hitchcock rivela allo spettatore – ma non al protagonista – la verità, e tutto avrebbe potuto ridursi nella portata di un “giallo”.
In questa vertigine della duplicazione, il regista diventa invece un affabulatore esoterico, e l’interprete la sua chiave ermeneutica.

Kim Novak supera sé stessa, infine, in Quando muore una stella (The Legend of Lylan Clare, R. Aldrich, 1968) dove riveste tre parti, quella di Elsa Brinkmann, giovane aspirante attrice chiamata, a causa della sua somiglianza, a impersonificare una famosa Star di Hollywood scomparsa: Lylan Clare, poi quella che, con il nome d’arte di Elsa Campbell, ne acquisisce sempre più le sembianze, e poi ancora quella della stessa Clare, nelle immagini all’inizio del film.
La vicenda in cui il regista Lewis Zarken (Peter Finch), che era stato il precedente marito della diva e che pertanto vuol plasmare Elsa a sua immagine, dopo le sue iniziali resistenze (“intendo recitare come me stessa”; “sono fuori ruolo, non saprei essere lei”; “non deve essere lei ma solo imitare lei”), facendola identificare sempre più con lei fino a farla morire come era accaduto a Lylan, fa affiorare una sorprendente assonanza con il tema dell’identificazione trattato ne La donna che visse due volte.

Ed è forse proprio in virtù dell’attitudine di Kim Novak a mettere in scena non un’identità di come è ma di come si vorrebbe che fosse, dunque di interrogarsi sulla natura stessa dell’arte della recitazione, e di riproporsi essa stessa come archetipo narrativo in una straordinaria soggettività inter-testuale riversata di film in film, che La donna che visse due volte, il film/vertigine quant’altri mai sull’aura della vita a(i)nteriore, opera tra le più labirintiche e inquietanti della storia del cinema grazie anche all’enigmatica voluttà della sua protagonista, viene considerato, in un sondaggio del 2012 da parte del British Film Institute, “il miglior film di tutti i tempi”.
