Venezia 80: Korine e Bonello
Video-giocare al Cinema con nuovi film
di Edoardo Mariani
“Ho un posto segreto dove andare, quando la mia mente corre, poi ci resto. La mia terra, lontana dal mondo. È una sensazione bellissima“.
Una voce che non si direbbe fuori campo, e che forse sarebbe meglio definire semplicemente “fuori” (in tutti i sensi) si domanda se è questo il mondo a cui eravamo destinati. Dovevamo incontrarci (qui) prima o poi.
Ci accorgiamo presto che questa straniante costruzione audiovisuale in cui siamo finiti è un video-gioco di Harmony Korine. E come in ogni videogame che si rispetti cerchiamo di immedesimarci nelle avventure di questo improbabile protagonista. Tutto è fuso, come dopo un lungo processo di allucinazione solitario, in queste tonalità termodinamiche, con le quali non abbiamo mai avuto la possibilità di guardare gli alberi, i diavoli, i glutei bagnati dall’acqua della jacuzzi o gli occhi di un depresso che vuole vincere, raggiungere l’obiettivo della missione. Mission Complete.
“Sono solo un eroe solitario…” dice ripetutamente durante le visioni questa voce-oltre, “non stavo cercando di fare un film, e infatti questo non è un film come un altro”[1] ha detto Harmony Korine alla presentazione di Aggro Dr1ft a New York. Durante la visione di questa breve ma sgargiante ricerca visiva, virtuale, dove si respirano tutte le atmosfere di Grand Theft Auto: San Andreas e si scalano le classifiche come in un’arena di Fortnite, restiamo soli con il nostro scopo sacro, ovvero quello di sopravvivere.
Il corpo: si sente sempre più parlare di telecamere termiche ad infrarossi, soprattutto nel campo della sicurezza e della videosorveglianza. Questo tipo di telecamera è nato per scopi militari, poiché permette di identificare con assoluta precisione e nitidezza un corpo in movimento anche a grande distanza, ma oggi il suo uso si è diffuso anche nella vita quotidiana. Aggro Dr1ft racconta la storia di un sicario che durante la sua ultima missione si perde, ragiona sulla vita, ripensa ai suoi percorsi e agli incontri che lo hanno reso un uomo solo, pieno di malinconia e di rimpianti. Tutto però è reso fluido e instabile dall’estetica, che dal segnale ad infrarossi viene ritoccata e ripassata in postproduzione con sistemi di intelligenza artificiale e di computer grafica. Una telecamera termica (o termocamera ad infrarossi) è un dispositivo senza contatto che rileva l’energia all’infrarosso (calore) emessa da un oggetto e la converte in un segnale elettronico che viene successivamente elaborato per produrre una mappa di calore su un display[2]. Così le anime infuocate di questa odissea fosforescente sono demoni mascherati, personaggi armati ma che non sparano mai veramente, sono gli NPC (Non-Player Character, o personaggio non giocabile) di questa avventura interiore, visuale che ruota sui binari di un cinema che non è più. Che sarà? Il senso sta proprio nel trovare una crepa nelle disposizioni per le quali il mondo di oggi sembra essere disegnato, prenderne i dispositivi di controllo e usarli per uno scopo di luce. Nessuna termocamera si sarebbe mai immaginata di filmare tutto questo, ma dato che alle videocamere non è dato pensare, allora si può fare così tanto con così poco…
L’anima: ” Tutto quello di cui abbiamo bisogno è l’amore dei nostri bambini.
Only Love, pure love, love is good, forever…”
Come in una normalissima fuga dal cinema, La Bête di Bertrand Bonello è un altro film-gioco dove l’immagine si disintegra continuamente, il montaggio la separa dalla trama che non riesce a trasparire, i pixel si riformulano, dopo il nero, “il montaggio è la resurrezione della vita”, ma la vita è anche ansia di sapere, di capire. Lasciarsi andare però è lo scopo di un cinema liberato, che insegue l’être et le neant,dove non c’è niente di cui preoccuparsi. Le ansie di una giovane ragazza (Léa Seydoux) si trascinano da un luogo ad un altro in modo completamente virtuale, come, appunto, accade nella realtà virtuale. Non luoghi quindi si succedono, dove invece i sentimenti della ragazza si affermano.
La prima scena svela subito le regole del gioco, forse sarebbe giusto dire (anche se qui a giocare saranno solo in due) la regle du jeu. Un green screen, come non siamo abituati a vederlo, color verde acido, si staglia su un piccolo set cinematografico dove su un tavolo c’è un coltello. Da fuori campo (di nuovo la voce dell’unico vero narratore, la voce da “fuori” il film, la voce dal limbo) qualcuno sta spiegando alla giovane che a breve dovrà guardarsi attorno, recitando impaurita l’arrivo di un mostro, di una bestia selvaggia che è riuscita a penetrare in casa sua, e che dopo qualche secondo, alla sua sinistra avrebbe visto l’ombra di questo mostro. In quel momento avrebbe dovuto urlare. Ma come abbiamo imparato sul muro monocolore di Anthony Perkins, “(s)he wouldn’t even harm a fly”, quella voce esterna può vedere ciò che c’è dietro allo sfondo, cosa ci sarà al posto dello schermo verde, cosa si nasconde dietro a quello sguardo. Ma noi vediamo solo il verde, restiamo immobili e sentiamo l’urlo, percepiamo l’ansia, ma non vediamo il resto, quella rottura del film, dove sorge la luce del cinema. Proprio quando ci ritroviamo davanti alla realtà, non riusciamo ad andare fino in fondo, e come un’altra protagonista destinata soltanto ad urlare, tutto svanisce in una stanca passeggiata solitaria. Game Over. Ma si potrà sempre riprovare domani, nella scena successiva.
Try again you will be luckier.
Fine: “Lei non dovrebbe crollare davanti a quest’immagine, è l’immagine della sua propria morte.”
[1] https://www.youtube.com/watch?v=xP6I5LlJ6tY&ab_channel=FilmatLincolnCenter
[2] https://www.teleimpianti.it/telecamera-termica-cose-perche-sceglierla/