Venezia 80: Il male non esiste di Ryûsuke Hamaguchi
I cervi non attaccano
di Francesco Scognamiglio
Spesso la natura ostruisce lo sguardo in Evil does not exist, film diretto da Ryûsuke Hamaguchi e vincitore del Gran Premio della giuria all’80esima edizione del festival di Venezia.
Mentre avanzano in nome della chiarezza, le immagini di interesse narrativo si impigliano nei rami secchi di un inverno inoltrato.
Lunghe carrellate accompagnano lente azioni umane mostrando l’onnipresenza degli elementi naturali. In una di esse, un padre inizialmente solo, dopo essere scomparso per qualche secondo dietro cumuli di neve e cespugli appassiti, riappare nell’inquadratura in compagnia di sua figlia che sta portando in spalle.
La soffice neve innocente nascondeva i cadaveri degli animali uccisi dai cacciatori.
Testimoni dei passaggi di vita e di morte, gli alberi della foresta vivono di un tempo circolare: Il tempo del film. Una sinfonia a loro dedicata (la musica di Eiko Ishibashi ha ispirato l’intero progetto).
Un uomo e una donna sono giunti dalla città per aprire un dialogo con gli abitanti del villaggio montano di Mizubiki. Il loro compito è quello di informarli e sapere come vedono l’imminente costruzione del Glamping. La società per cui lavorano vuole infatti costruire un campeggio di lusso in questo paradiso naturale. Sperano quindi di ottenere consensi tra i membri della comunità augurandosi una costante attività turistica che possa giovare a tutti.
Seduti dinanzi ai funzionari dell’azienda, gli abitanti esprimono numerose lamentele e dubbi poiché molte azioni che la società prevede di svolgere non sembrano assicurare la salvaguardia della natura che li circonda.
L’inquinamento minaccia l’intera foresta ma soprattutto la sanità della falda acquifera, fonte di vita e quindi di rispetto da parte dell’intera comunità.
Ogni abitante si mostra interessato a mantenere intatto un certo equilibrio di cui il luogo ha bisogno, tenendo sempre a mente che ogni elemento naturale esiste prima di ogni altra presenza umana. Ognuno di loro, dunque, si sente costantemente ospite di questa terra.
Al termine dell’incontro si oppongono con determinazione ad alcuni punti del progetto chiedendo ai nuovi arrivati di procedere con cautela, nel rispetto del luogo e delle necessità di tutte le persone che ci vivono.
“In montagna, chi è in cima deve sviluppare un senso di responsabilità per chi è più in basso”.
Attraverso la riflessione e il dibattito, i membri della comunità del villaggio ci illustrano le loro convinzioni mentre gli estranei mostrano la loro impreparazione e fragilità.
Hamaguchi non manca mai di donare ad ogni personaggio uno spettro emotivo reale, variegato e tangibile.
Una volta informato il direttore della società, i due rappresentanti vengono invitati a non considerare la maggior parte delle richieste avanzate dalla comunità di montagna. I finanziamenti sono già stati erogati e la macchina non si può più fermare.
Vengono poi mandati nuovamente sul luogo soltanto per addolcire gli abitanti con un finto spirito di collaborazione. Uno dei loro obiettivi è quello di provare a convincere il signor Takumi, padre di Hana e “tuttofare” della comunità, a farsi assumere come guardiano del campeggio di lusso.
Durante il viaggio in macchina i due rappresentanti, un po’ delusi dal loro lavoro, cominciano una conversazione sempre più informale che fa emergere il loro passato e i loro desideri.
Spesso nei film di Hamaguchi sono presenti momenti dilatati come questo grazie ai quali abbiamo la possibilità di comprendere le vite dei personaggi che vivono il film.
All’inizio del film Happy Hours (2015), il regista in questione mette in scena due lunghe sequenze. Nella prima viene rappresentata una lezione di prova di un corso esplorativo sperimentale finalizzato alla ricerca del centro di equilibrio psicofisico di ogni partecipante. L’insegnante fa eseguire una serie di esercizi finalizzati alla rottura e alla riacquisizione di un equilibrio energetico comune a tutti i membri del corso. Vediamo i partecipanti affrontare in modo diverso l’esercizio e il contatto fisico mentre cercano di calibrare il proprio ritmo con quello degli altri.
La scena successiva porta lo stesso gruppo di persone in un ristorante in cui li vediamo cenare subito dopo il corso.
Gli organizzatori del corso ne approfittano per ascoltare il punto di vista di ognuno di loro, compreso quello dell’insegnante, sulla riuscita della lezione appena svolta.
La conversazione continua a prolungarsi fino a che ogni personaggio si mostra per quello che è. Assaporiamo ogni sguardo cominciando ad intendere sempre qualcosa di più sul loro modo di essere. Jun, una delle protagoniste, confessa di stare divorziando.
La regia ci culla magicamente verso inquadrature sempre più strette e intime.
L’insegnante mostra interesse nei confronti di Jun e le pone diversi quesiti e suggestioni sulla sua relazione. I primi piani dei due vengono alternati sempre più spesso verso il finale della scena, ma rispetto ai campi e controcampi in cui vengono raffigurati tutti gli altri, i loro due sguardi sono quasi allineati con l’asse dell’inquadratura.
Jun non riesce a spiegare fino in fondo ai presenti quali sentimenti sta provando. Sembra però, in qualche modo, in contatto e in armonia con l’insegnante.
“Non capisco. È ok. È ciò che penso”, dice lui avendo forse compreso tutto di lei.
Gli esercizi fisici a pari passo con l’esercizio film sono serviti per arrivare fino a questo istante in cui i due personaggi si sentono fortemente connessi. Anche noi sentiamo il tutto che li sta circondando e che circonda anche noi allo stesso tempo.
In Evil does not exist l’equilibrio è stato infranto con l’avvento dei due cittadini. Il film avanza quindi per ristabilire la connessione perduta. Anche la foresta parla lo stesso linguaggio e non rimarrà in silenzio. E così come lo sguardo di Jun, saremo stupiti dal rito finale del film in cui capiremo senza davvero capire.
Takumi incontra i due rappresentanti e rifiuta l’incarico di guardiano.
Ora i nuovi arrivati sono interessati alle sorprendenti capacità e conoscenze che il tuttofare dimostra di avere. Takahashi, tra i due quello più preso da sé, esordisce con una nuova proposta: vorrebbe poter imparare tutto ciò che bisogna sapere sulla montagna per riuscire a diventare un giorno lui stesso il guardiano del Glamping.
Takahashi ha percepito una verità più profonda in uno stile di vita montano che ora invidia. Ha pensato di poter cambiare vita, ma il suo sembra essere un desiderio estemporaneo. I cittadini, vittime della nevrosi, spesso cambiano idea e nascondono i propri sentimenti. L’abbiamo imparato anche in altri film di Hamaguchi.
Così come era stato per la scena dell’assemblea cittadina, attraverso il dialogo, il regista Hamaguchi riesce a restituire maggiore tridimensionalità ai suoi personaggi, andando oltre la loro funzione logica, risvegliando in noi spettatori una rinnovata empatia pedagogica.
Oltre a tagliare la legna, da Takumi i due rappresentanti imparano che quando un cucciolo di cervo è ferito, la madre potrebbe attaccare per difenderlo. Questa è l’unica condizione in cui i cervi aggrediscono gli esseri umani. Ed è proprio in questo contesto che si dispiegherà il finale.
Quando Hana, la figlia di Takumi, scompare, tutti iniziano a cercarla.
All’alba, nella nebbia fitta della foresta, viene trovata proprio dal padre e da Takahashi, ferma, dinanzi a due cervi. Il più piccolo tra i due è proprio il cucciolo ferito di cui parlava Takumi.
È stato ferito da un cacciatore e ora la sua ferita sanguina. La civiltà rappresentata dall’intruso viene fermata perché nessuno può interferire durante il rito del riequilibrio. Il rappresentante viene infatti strangolato improvvisamente, come se fosse la vittima di un atto sacrificale. Takumi lo soffoca mentre sua figlia sta probabilmente per essere aggradita dal cervo. Nonostante questo gesto così assurdo, in tutta questa faccenda resta un sentimento di inevitabilità.
Il sangue ora cade dalla narice di Hana. È la conclusione di un delirio sinfonico.
Il rapporto stretto con la morte determina l’equilibrio tra le vite. Gli alberi si diramano verso il cielo.
In un’altra pellicola del regista, Asako I e II (2018), il fiume, altro elemento naturale, viene inquadrato nel finale. È sporco ma comunque bello a detta della protagonista Asako, tornata a casa dal suo compagno dopo anni in cui era scomparsa. Lo aveva abbandonato fuggendo improvvisamente con il suo primo amore.
L’equilibrio in un ambiente malsano è predestinato a stabilire distorti concetti di sanità.
Qui invece i desideri degli esseri umani vengono messi da parte per non inquinare l’equilibrio naturale. Il male non esiste se c’è stabilità nel ciclo vitale.