Venezia 79: Conversazione con Abel Ferrara
A cura di Daniela Turco, in collaborazione con Edoardo Mariani, Francesco Scognamiglio, David Vernaglione
Non è la prima volta che Abel Ferrara si confronta con Padre Pio; lo aveva già fatto nel 2015, con il documentario Searching For Padre Pio, un mosaico insolito e affascinante, composto da materiali tra loro eterogenei – cifra particolarmente congeniale ad Abel Ferrara –, tra cui i filmati sul frate, ripreso nel quotidiano, durante la messa o semplicemente nelle stanze del convento, e montati “in dialogo” con interventi di studiosi come Paolo Apolito, antropologo esperto in fenomeni rituali e religiosi, di storici come Antonio Tedesco e Sergio Luzzatto, e, ancora, di psichiatri come Chris Zois, insieme alle testimonianze delle persone che avevano conosciuto direttamente Padre Pio nel corso della sua vita. Avviene così, dal montaggio di questi materiali che man mano si comincia a disegnare il percorso singolare di padre Pio e del mistero incarnato di una delle figure più carismatiche e nello stesso tempo, più controverse del cattolicesimo. Il film Padre Pio, inspiegabilmente escluso dal concorso della Mostra del Cinema e confinato nelle Giornate degli Autori, rimane – per me, almeno – il film in assoluto più disorientante e potente visto a Venezia, e il suo maggiore punto di forza si gioca nell’aver tracciato un itinerario drammaticamente spirituale e, nello stesso tempo, intensamente politico, che riguarda un periodo particolare della vita del frate, quando ancora giovane, si era appena trasferito all’interno del convento di S. Giovanni Rotondo; la sua vita pastorale inquadrata nello stesso scorcio prospettico della situazione politica e sociale di allora, negli anni difficili dopo la fine della prima guerra mondiale. Pensato in una precisa linea poetica e politica, tracciata tra Rossellini e Godard, il film Padre Pio porta su di sé le stimmate di tutto il lavoro precedente di Abel Ferrara: è da Siberia e da Tommaso che infatti provengono certe visioni allucinate e violente, che si collegano alle tentazioni del demonio che assalgono il corpo del giovane padre Pio (cui Shia La Beouf presta la propria intensa corporeità), e che rimandano concretamente ad alcuni testi di canzoni già usate nei suoi film. Tornano alla mente qui, per esempio, dei frammenti inquietanti come: “I see the eyes of the Devil on the face of the Lord”, oppure “my hands are bleeding”, già ascoltati nel suo magnifico Alive In France (2017), un prolungato happening-concerto-collage di canzoni maledette riprese dai suoi film, che indicano come da molto tempo Ferrara abbia riflettuto profondamente su un mistero legato al sangue, al corpo, a un inferno che si sconta in terra, e sulla fede, sempre miracolosamente possibile, nella grazia. A fare da controcampo a Pio nella vita dentro il convento, fuori ci sono le lotte dei contadini al lavoro nelle terre dei padroni, con la miseria e la fatica delle loro vite, e delle troppe morti, che cerca una nuova strada di riscatto e di lotta con i mezzi della politica, con la forza del socialismo. Ferrara fa coincidere la ferita aperta dalle stimmate di Padre Pio, con l’eccidio di S. Giovanni Rotondo, l’episodio più sanguinoso del biennio rosso nel sud dell’Italia, quando i carabinieri fecero fuoco su tredici socialisti, che dopo aver vinto le elezioni, volevano portare dentro al palazzo del comune come segno di vittoria, e di vita, la bandiera rossa. Fissato tra terra e cielo, lo sguardo di Ferrara si concentra sui corpi, sugli oggetti, scivola sugli spazi tra le cose, ed è qui che la materialità viva, carnale, delle immagini di Rossellini (Atti degli Apostoli, Il Messia, ecc) si fa sentire più profondamente, mentre è dal cielo di Godard (Je vous salue, Marie, Passion) che, forse, discende l’attesa della grazia. Quella mano che, misteriosamente, nell’ultima inquadratura tocca la spalla di Padre Pio raccolto in preghiera, nel corso della conversazione che segue con Abel Ferrara, è rimasta una domanda non formulata e forse è giusto così, che l’appartenenza cioè di quella mano rimanga incerta, perché quello che è veramente importante sta altrove, e consiste nel fatto che Abel Ferrara continua a mostrare, senza dimostrare, come il cinema sia un’arte, una tecnica, un mistero, che continua umanamente, spiritualmente e materialmente a riguardarci, una forma che pensa attraverso le mani. (d.t.)
Intanto vorrei cominciare dicendo che dopo il passaggio veneziano ho rivisto ancora una volta Padre Pio, ieri sera a Villa Medici, e potrei sottoscrivere completamente quanto è stato detto da uno spettatore intervenuto al dibattito dopo il film….
A.F.: Che cosa ha detto, perché parlava in italiano…
Ha detto: “Doveva arrivare un regista come Abel Ferrara per poter finalmente parlare in un film del biennio rosso, cioè degli anni tra il 1919 e il 1920; nessun altro regista italiano avrebbe potuto farlo…”
A. F.: E perché un regista italiano non avrebbe potuto farlo?
Non so, ma credo che esista una certa paura o rimozione, nei confronti di un periodo come quello di un secolo fa, dominato dalle lotte, e difficile da mostrare. Un periodo, tra l’altro, che precede immediatamente l’insorgenza del fascismo. Oggi, esattamente dopo un secolo, ci stiamo trovando in una situazione che ha diversi punti di contatto con il suo film; questo lo si avverte chiaramente vedendo il film, inoltre si sente la sua passione legata alla Storia che lei mette in relazione con la storia di un uomo molto controverso come Padre Pio.
A. F.: Sì, infatti… grazie, per questa osservazione.
Vedendo Padre Pio, mi chiedevo come entrava nel film, il lavoro che lei ha fatto in precedenza con Searching for Padre Pio, il documentario del 2015, che entra in tensione con questo suo ultimo film di fiction; entrambi si occupano dello stesso personaggio, e inoltre il documentario, attraverso un grande lavoro antropologico nel solco della ricerca di Ernesto De Martino, in un certo senso prepara il terreno per Padre Pio. Qual è stato il processo che ha portato a questo film del 2022?
A. F.: Per quanto riguarda il documentario, Searching for Padre Pio, si è trattato di qualcosa di molto immediato, cioè semplicemente abbiamo preso una macchina, e siamo partiti, letteralmente, alla ricerca di Padre Pio. Siamo andati a Pietralcina dove era nato, abbiamo ripercorso la sua vita, in un modo diverso rispetto a quanto ho fatto con il film. Ho realizzato il documentario, comunque avendo in mente che volevo fare un film interamente sulla sua vita. Ne ero affascinato, e questo è stato lo spirito che ci ha mosso dall’inizio alla fine, perché dovevamo sempre trovare qualcosa, da cui muovere per poi realizzare il film. A meno che non si tratti di Citizen Kane non mi piacciono per niente i film biografici, li trovo ridicoli, noi volevamo raccontare la storia di un uomo reale. E basta. Il documentario procede nell’esporre alcuni concetti e poi ho trovato questi eventi di massa di cui, magari, la gran parte delle persone non ne sa niente, mentre per me sono degli eventi estremamente rilevanti. In America lo insegnano proprio a scuola, cioè l’inizio della guerra civile, la rivoluzione americana, ecc., e per me queste uccisioni che si vedono nel film, rappresentano la nascita del fascismo, qualcosa che è accaduta in quella cittadina e in quel preciso momento. Non so perché molte persone ignorino completamente questi fatti, che per me invece sono di grande importanza, anche perché è stata la prima volta che la destra ha cominciato a sparare: hanno fatto fuori tredici persone, si tratta di un crimine politico. C’erano moltissime bande nel Sud, all’epoca, ma nessuna di queste aveva mai compiuto delle uccisioni di stampo politico, subito dopo le prime elezioni libere alla fine della Prima guerra mondiale. E a Padre Pio comparvero per la prima volta le stimmate, precisamente in quello stesso momento. Attraverso il film vengono quindi date anche diverse informazioni. Per esempio, lui è arrivato fino a 83 anni, ma noi ripercorriamo solo due mesi della vita di Padre Pio.
Nel film succede qualcosa di molto interessante, nel senso che lei mostra due cose separate tra loro, nonostante siano legate da qualcosa; da un lato c’è Padre Pio con la sua lotta interiore, gli assalti dei demoni, che per me hanno molto a che fare con i demoni che tormentano anche altri personaggi dei suoi film, penso soprattutto a quella che considero come una trilogia: Siberia, Tommaso, e Sportin’ life, mentre dall’altro lato ci sono i demoni che agitano la lotta politica. E’ come se nel film si riuscisse a mettere in relazione un’istanza politica molto forte con un’altra istanza religiosa, misteriosa, personale.
A. F.: Credo che sia la stessa cosa. Pio sostanzialmente vive in quella cittadina, e sente quale può essere il suo servizio; questa è la chiave: la comunione, la confessione. Egli presta servizio in quella comunità, e nello stesso tempo vive isolato, e le altre persone, ognuna delle quali è coinvolta in quella situazione, ne sono sicuro, non venivano per incontrare un prete fra gli altri, ma per incontrare lui, è questa l’esplosione che avviene, perché il cattolicesimo era centrale nelle loro vite. E lui era una persona centrale. Nel film si vedono alcune di queste confessioni, si è mostrato il miracolo dell’uomo che riprende a camminare, e un paio di volte si vede Pio che dice messa; ma erano cose che faceva ogni giorno, insieme a persone che andavano a incontrarlo ogni giorno, e questo avveniva perché era un frate molto carismatico. Quanto alla sua battaglia con il diavolo, è stata mostrata nel film, perché è un tema presente nelle lettere che Pio scriveva, che io ho usato per il film. Pio per me ha delle grandi affinità con Pasolini. Entrambi scrivevano. E quello che ho mostrato nel film in ogni caso non è frutto di una mia semplice supposizione su quello che poteva pensare padre Pio, perché l’ho trovato nelle sue lettere, è qualcosa che aveva proprio scritto. Io non ho fatto altro che prelevarlo e metterlo nel film. Non ho cercato di immaginare che cosa stesse pensando, se si hanno due personalità come quelle di Pasolini e di Padre Pio con un grande fuoco interno, il loro cuore è dentro le loro pagine, ed esplode in quelle pagine, non si tratta semplicemente di lettere, avviene qualcosa come nel caso di Baudelaire, che era un poeta e la poesia era una parte costituente della sua vita e di chi egli era.
Sono completamente d’accordo. Trovo splendido il film Pasolini e lo considero anche una sorta di snodo essenziale per i suoi film successivi. Da questo punto di vista Pasolini è un film-segno, perché tratta di un uomo che a sua volta aveva un dissidio interno, tra le tante contraddizioni era diviso tra cattolicesimo e marxismo, una dicotomia destinata a non ricomporsi.
A. F.: Sì, esatto.
Avevo una curiosità rispetto all’inizio di Padre Pio, che si apre con una immagine meravigliosa del cielo, che mi ha ricordato l’inizio di Passion di Jean-Luc Godard, purtroppo morto da poco. Tra l’altro secondo me il suo lavoro ha molto a che fare con Rossellini da un lato, e con Godard dall’altro. Mi chiedevo se questo inizio, così godardiano, era voluto…
A. F.: Mah, non saprei, certo Godard è nel DNA, e in un certo senso è qualcosa di divertente, perché Rossellini ha proprio guidato quei ragazzi a filmare in un certo modo, e quindi per quanto mi riguarda, Godard sta insieme a Pasolini, entrambi fanno parte del mio DNA, per cui certe mie scelte di stile che rimandano a loro sono abbastanza automatiche, inconsce.
In questa splendida sequenza del cielo con cui inizia il film, si vede un puntino blu che si muove sulla superficie dell’immagine…
A. F.: Sì, certo, perché l’ho filmata con il cellulare…
È un’immagine splendida perché è come se questo cielo desse un po’ la direzione a tutto il film…. In Padre Pio viene usata una canzone molto particolare: Midnight, the Stars and You, che mi ha colpito, perché l’avevo già sentita, ma all’inizio non mi ricordavo dove, poi dopo un po’ ho realizzato che l’avevo già ascoltata in Shining, di Stanley Kubrick.
A. F.: Sì, infatti. Ma per noi, dal punto di vista della musica si tratta solo di lavoro…In questo caso si tratta di una canzone composta negli anni Trenta, mentre il film si svolge negli anni Venti, e abbiamo dovuto rifarla, abbiamo usato Karen Scudieri che l’ha cantata, i musicisti ci hanno raggiunto in Puglia e si sono uniti a noi… È una canzone magica e posso capire perché Kubrick l’abbia usata in Shining, dato che mette in moto emozioni molto intense.
Shining è un film che ha molto a che fare con le visioni, così come Padre Pio, così ho immaginato che questa fosse la ragione del contatto…Vedendo i tuoi film, per esempio, Tommaso, non si sa mai con precisione se in alcune sequenze hi ha a che fare con delle allucinazioni o se ciò che si vede è reale. Se, cioè, si tratta di un sogno oppure un incubo o se siamo nella realtà…Lavorare su questo livello di ambiguità è molto potente e anche molto difficile…
A. F.: Ciò che hai detto è perfetto. In un certo senso ogni film è un sogno, perché vedendo un film ci si trova nello stesso stato di quando si sogna, c’è proprio la logica del sogno e Shining è un film assolutamente brillante, e ti prende…
Shining è anche un film sulla follia, un film angosciante, pieno di sangue….
A. F.: Sì ed è un film sul matrimonio, sopra quel parco, sull’avere dei figli…Non sono mai riuscito a capire come mai non sia piaciuto a Stephen King.
Sul serio?
A. F.: Sì, a Stephen King non è piaciuto, non so che cosa si aspettava…
Secondo me comunque il film di Kubrick supera di gran lunga il libro.
C’è del sangue in Shining e c’è del sangue anche in Padre Pio. Il sangue è un tema molto forte per lei, e vedere Padre Pio mi ha fatto ripensare a Mary, il suo film del 2005, soprattutto per la presenza del Crocifisso, della croce: una presenza molto densa. In Mary, tra l’altro, il film dentro il film, aveva per titolo This Is My Blood. Anche Padre Pio è una storia di sangue in un certo senso, perché questa fascinazione….
A. F.: Non si tratta di fascinazione, non è che la realtà, se ti sparano, sei morto, e c’è del sangue, in ogni immagine del Crocifisso la chiave sta proprio nel sangue, nella visione delle piaghe, la ferita al fianco, ogni cosa, ha a che fare con il sacrificio finale. La gente in San Giovanni Rotondo, compresi i carabinieri, a sua volta ha a che fare con il sacrificio delle loro vite, per la croce, per la bandiera, per qualsiasi cosa, Pio stesso rappresenta il senso del sacrificio attraverso le stimmate, non si tratta solo di qualcuno che sta servendo messa, ma di qualcuno che sta come esplodendo…
Per me il suo film è di estremo interesse perché mette in campo due modi diversi di credere fortemente in qualcosa: da un lato nella politica, cioè nel socialismo, dall’altro in Dio. E si ha la sensazione che questo bisogno sia un po’ la stessa cosa, il film sembra suggerire che c’è bisogno di avere fede…
A. F.: Si, si deve credere in qualcosa. Il giovane Luigi crede nel comunismo, ma anche lì si può trovare una specie di spiritualità. Non ho mai creduto alla negatività del dover negare la Chiesa: il ciabattino nel film, per esempio, è più potente perché è comunista, e nello stesso tempo crede in Dio. Perché poi, alla fine, Gesù era un comunista, no?
È una scelta molto forte, che nel film sia proprio una donna a guidare la rivolta, l’attrice che la interpreta è sua moglie, la bellissima Cristina Chiriac.
A. F.: Sì, Cristina è bellissima, anche se non è mia moglie. Il personaggio che interpreta è molto forte, e quel personaggio è realmente esistito è un fatto accertato, storico. E voi, ragazzi, (rivolgendosi a E. Mariani, F. Scognamiglio, D. Vernaglione) anche voi avete visto il film, che cosa ne pensate? Vi piace?
Sì, Moltissimo.
A. F.: Quello che è fondamentale è che tutto quello che viene mostrato nel film è vero, è realmente accaduto, storicamente accaduto. Il punto interessante è che abbiamo fatto delle ricerche storiche nel documentario e nel film c’è esattamente quello che era successo allora. L’energia delle donne, che ribellandosi avevano dato inizio alla rivolta.
C’è un punto interessante quando si vede il prete, che sta dalla parte dei padroni, benedire le armi (la domanda è di E. Mariani)
A. F.: E’ quanto è accaduto veramente, è tutto storicamente documentato. Tra l’altro, a proposito della benedizione delle armi, in questo preciso momento è proprio quanto sta accadendo in Russia.
Certamente. Tra l’altro, lei ha dedicato il tuo film alla popolazione ucraina…
A. F.: Sì, certo, sono appena stato a Kiev, dove ho filmato, sì… ho lavorato a un documentario…
Penso che quanto lei sta dicendo sia molto importante, perché in questo periodo stiamo assistendo ad un cambiamento dell’assetto mondiale…
A. F.: Ci stiamo trovando potenzialmente di fronte alla possibilità di una terza guerra mondiale. Per come la vedo io, quello che allora, agli inizi degli anni Venti, è accaduto a S. Giovanni Rotondo è stata la prima battaglia della Seconda guerra mondiale. Ed è uno strazio che in quell’evento morirono tredici persone, ma non era che l’inizio, perché alla fine del conflitto mondiale sono morte una settantina di milioni di persone. Proprio così, sparate, gasate, in una parola, massacrate.
E adesso tutto questo sta per capitare di nuovo. Ora si parla di nuovo di armi nucleari, e i cinesi ovviamente giocano a loro volta un ruolo e anche l’Europa gioca un ruolo, supportando gli ucraini…che si dovrebbe fare? Appoggiare la Russia? Non è possibile…Forse lo si vorrebbe anche fare, per via del gas, ma non è possibile…Ci troviamo in un incubo. Quella gente non vuole smettere di combattere, sono stato là per due settimane, e quella gente continuerà a combattere fino alla morte. E sono assolutamente convinti che non perderanno, che finiranno per vincere, e le donne ne sono altrettanto convinte degli uomini, se non di più, è come una lotta di strada, nessuno fa le valigie per andarsene.
E’ così, ma nello stesso tempo, si spera, comunque, di riuscire a fermare quanto sta avvenendo…
A. F.: Ma come si fa a fermarlo? Se nessuno parla della pace come opzione. Letteralmente nessuno. Il mio paese, gli Stati Uniti, continua a inviare armi…
L’Onu che è l’istituzione preposta a livello internazionale per affrontare queste problematiche, dovrebbe pesare e intervenire con molta più forza…
A. F.: Gli unici a dire una parola diversa sono il Dalai Lama e Papa Francesco. Il mio paese invia sempre più armi, l’Europa non sta cercando una strada diversa…
Certo è così, l’Europa si è purtroppo appiattita sulle posizioni della Nato, a guida USA…
A. F.: Potete protestare, però, davanti a queste scelte. Dovreste iniziare a parlare della necessità assoluta della pace. Al presidente ucraino Zelensky non gliene frega assolutamente niente della pace. Nessuno soprattutto cerca di parlare di una soluzione spirituale al conflitto. Di nuovo, anche i preti sono schierati, in Russia, per esempio, prendono posizione a favore dei combattimenti…
Sì, è così, ed è molto triste, perché nelle guerre sono i popoli a pagare il prezzo più alto e a morire.
A. F.: E c’è di nuovo il pericolo reale di un conflitto mondiale, in cui nell’ultimo, il mio paese gli Stati Uniti, ha lanciato ben due bombe nucleari, non una. E non è che allora l’avessero lanciata su un’isola deserta, a titolo dimostrativo: guardate qui cosa possiamo fare…No, l’hanno sganciata sulle popolazioni civili, uccidendo anche donne e bambini.
Sì è triste realizzare come la Storia non ci abbia insegnato niente
A. F.: Assolutamente. Ed è assurdo parlare oggi di una minaccia delle armi nucleari. Non bisogna costruire delle bombe nucleari, punto. Perché è la natura stessa delle armi, di essere un’arma, e le armi vengono prodotte per essere usate. Non verrebbero costruite se non si pensasse di usarle in una guerra.
Ritornando a Padre Pio ho trovato straordinaria la presenza di Asia Argento nel film.
A. F.: Sì, quel punto del film è completamente fedele alle lettere che Padre Pio scriveva, viene da lì. Padre Pio ha descritto quella confessione in una sua lettera.
La sequenza in cui c’è Asia colpisce molto, anche perché lei a un certo punto parla della morte di sua madre, ed è un momento vertiginoso, perché si avverte che sta parlando della sua reale esperienza di lutto…La presenza di Asia nei suoi film, penso a New Rose Hotel, o a Go Go Tales, è sempre stata molto intensa, ma qui la sua visione fa veramente paura, ha una forza straordinaria. Come siete arrivati a questo?
A. F.: Mah, le ho dato le lettere di Padre Pio, lei è arrivata e non si è mai sentita intimidita dal fatto di lavorare insieme… abbiamo provato la scena più volte, ma neppure poi tante, e poi l’abbiamo girata. C’era in gioco una grande consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, e anche un rapporto diretto con il proprio intelletto; in questo specifico caso gioca anche il fatto che sia Asia che Shia avevano entrambi una lunga esperienza legata al fatto di aver recitato fin da quando erano dei ragazzini. E’ stata una combinazione di tutto questo…
Sì, il personaggio di Asia in Padre Pio, è fantastico e nello stesso tempo molto disturbante per lo spettatore…Questa grande fisicità che appare nel film – a un certo punto si vede una statua della Madonna, che diventa una donna reale, in carne e ossa -, mi ha fatto pensare molto alla fisicità del cinema di Rossellini, al suo modo di filmare, di avvicinare i corpi, e Padre Pio in un certo senso è anche un film di corpi… Come ha lavorato su questo?
A. F.: In Puglia, dove abbiamo girato, abbiamo lavorato con persone vere, del posto, abbiamo girato in Monte S. Angelo, su nel Gargano, ogni cosa là era bellissima, un po’ come è avvenuto con Pasolini, dove ogni cosa era là, la sua casa, la sua macchina da scrivere, i suoi vestiti, il ristorante Pomodoro, il ristorante Biondo Tevere, e qui è stato un po’ lo stesso. La gente che ho incontrato in quella parte della Puglia è veramente speciale, e ha una parte nel film, e quello che si vede nel film fa parte di questa autenticità. Poi, certo, abbiamo anche preso degli attori professionisti, ma il principio di base del film è la realtà. Che si basa su quanto è effettivamente accaduto, sulle sue lettere; il film è stato girato precisamente negli stessi luoghi in cui avvennero i fatti. Shia LaBeouf ha dormito precisamente nello stesso letto di Padre Pio.
E’ molto interessante il contrasto tra la sua stanza illuminata dalle candele…
A. F.: Sì, ci sono due punti nel film illuminati dalle candele dove c’è solo quella luce, non è stata usata la luce elettrica, come era già avvenuto con Barry Lindon.
Sia nel documentario Searching for Padre Pio che nel film Padre Pio lei in un certo senso si mantiene sulla soglia: Padre Pio potrebbe essere un impostore, ma potrebbe anche essere un santo; il fatto per me affascinante è proprio dato dal mantenere questo in sospeso.
A. F.: Non si tratta di prendere una posizione, il punto è che ci credevano e in quel periodo i miracoli avvenivano, è molto difficile perfino immaginare nel Sud negli anni Venti l’unica autorità nei confronti dei miracoli e della religione poteva perfino essere la magìa nera, e con questo intendo dire che non era neppure contemplato il fatto di non credere, non esistevano atei. Era qualcosa che andava oltre la Chiesa.Tutto questo faceva parte del credere. Anche gli attori sono dei credenti, Shia è un credente, anche quando sta recitando e io l’ho colto proprio nel primo momento delle stimmate. E questo fatto non è in questione.
Ho sempre considerato il suo lavoro di grande interesse per la forza che trasmette, e, in particolare, questo suo ultimo film Padre Pio per me era il più intenso della Mostra; per questo ho trovato abbastanza inspiegabile e scandaloso che abbia trovato uno spazio solo nelle Giornate degli Autori e non in concorso, come avrebbe dovuto…
A. F.: Domandalo ad Alberto Barbera il perché…
Sì, per me rimane un fatto incomprensibile. Ho sempre considerato molto importante il suo lavoro perché dietro il filmaker vedo qualcuno che svolge delle ricerche con molta cura, un antropologo al lavoro, e questa è una cosa che colpisce…
A. F.: Maurizio Braucci che ha lavorato con me al film, ha scritto con me anche per Padre Pio, e in precedenza aveva fatto le ricerche per Pasolini.
Sì, ma per esempio vedendo il suo Siberia ci sono delle immagini precise che colpiscono molto: lei ha chiaramente lavorato sul Libro Rosso di Carl G. Jung, e questo è abbastanza evidente nella visione del film, nel senso che c’è un rapporto diretto tra le immagini del libro e quelle del film.
A. F.: Sì certo. E’ un libro su cui ho certamente lavorato, l’ho usato, non lo nego, non siamo timidi.
Quindi lei non è affatto il filmaker fisico, istintivo come è stato tante volte descritto, o almeno, non soltanto, nel senso che c’è sempre un lavoro intellettuale molto preciso e denso dentro i suoi film.
A. F.: Sì….lavoro con degli intellettuali, ma io non lo sono.