VENEZIA 2014: BELLUSCONE. UNA STORIA SICILIANA di Franco Maresco
La mistica del basso spettacolo
di Luigi Abiusi
Arrivato dopo un’incubazione d’anni, e nato dai bassifondi, uscito dal fondaco di cose vili che prima facevano l’oscura, abbagliante trasparenza di cinicotv (e ovviamente dello Zio di Brooklyn e Totò che visse due volte); o semplicemente formicolanti nella loro ineluttabilità, nel loro essere pervicacemente ruvido, idiota, cinico; Belluscone appare come uno degli esempi più alti visti negli ultimi anni di film anfibio, ibrido, neppure concluso, mentre sembra germinare e girare (ancora) nei suburbi palermitani (anche dopo i titoli di coda: in effetti non vuole finire e si riproduce in appendici, frammenti, per una specie di partenogenesi immaginale, di scarti audio-video), alla ricerca di Erik, o sfuggendo alla morsa di Puma che sfoggia la sua tracimante nomenclatura cinematografica di fronte a un Sanguineti impassibile, così straordinariamente comico.
Riprendendo l’esperienza di Come inguaiammo il cinema italiano, ed esaltandola al massimo (manipolando i termini della commedia, del grottesco), Maresco lavora con materiali disparati: video di risulta, in bassa definizione (per lo più vhs), che mostrano le bassezze televisive di un popolino ludico e politico (nel senso dell’appoggio e del sussiego verso la mafia); sezioni documentarie di Erik e Ricciardi al lavoro; interviste di Maresco a cantanti neomelodici e ai loro parenti o a Dell’Utri; il dialogo costante e intimo con Ciccio Mira; la biforcazione imboccata grazie ai sondaggi di un giornalista indigeno che aiuta a ricostruire la genealogia mafiosa; la cronaca di viaggio e l’investigazione di Sanguineti alla ricerca di Maresco; e in filigrana a questa testura eterogenea, ovviamente il discorso politico, le ipotesi – mai così persuasive – sulle origini mafiose del potere berlusconiano. Potere non sondato dentro l’articolazione di teorie finanziarie, sociologiche, storiche alte (nazionali), ma nella beffarda vischiosità e comicità della sfera ludica, intrattenitiva che riguarda certi quartieri palermitani (in primo luogo Brancaccio), dove la passione per la canzone neomelodica napoletana e gli spettacoli di piazza (con freaks bramanti i movimenti di bacino di Ricciardi) sutura il rapporto di questi ceti popolari con i boss e, di lì, con Berlusconi. È da questa congerie bassamente pop, proprio dal materiale audio-video deteriore (di canzoni a tema carcerario, balletti televisivi espletati da ballerine in carne, goffe), che nasce il personaggio Berlusconi (in una maniera simile a quella in cui Harmony Korine sembra fondare le sue sozze marionette in Trash Humplers); la stessa riprodotta, perpetuata da Mediaset, divenuta in breve fucina di falangi di soldati (ballerine, veline, cantanti, cabarettisti, ecc.) di un esercito al servizio della dittatura (della bassa fedeltà) dell’immagine pubblicitaria (di propaganda). Meccanismo simile a quello che innerva la copia Renzi, ripreso, in una parentesi laconica e folgorante del film, nella sua apparizione in uno dei programmi di Maria De Filippi, definendo e rafforzando una specie di mistica del basso, ottuso Spettacolo (anticipata da Pasolini) che muove la politica del terzo millennio.