VENEZIA 2014: 3 COEURS di Benoît Jacquot
L’Eros e Psiche di Jacquot
di Bruno Roberti e Daniela Turco
In 3 Coeurs, come sempre Jacquot filma ambienti borghesi, entra nei salotti, si sofferma sui dettagli, le foto di famiglia, gli specchi, senza chiudervisi mai dentro, sono solo porte che si aprono su spazi molto più segreti e nascosti, che mostrano la carne viva dei sentimenti. È un terreno che ha molti punti di incontro con il mondo di Chabrol e di Resnais: il mondo borghese di provincia aperto e sfogliato come un romanzo, da cui qui si parte per un esercizio rigoroso e libero sul melodramma come dimensione intima e senza tempo presente nel cinema, che prende qui corpo nella tensione tra luce e ombra, tra campo e fuori campo, nello spazio geometrico degli sguardi che regolano un’economia politica precisa dei sentimenti e delle vite. Charlotte Gainsbourg spinge il gioco verso un limite che sarà oltrepassato, con lei si entra nel buio di un giardino e di una grotta nel bosco, di lei resta l’ombra che si disegna contro un vetro opaco, un accendino, il suo sguardo insostenibili, difficile da incontrare.
L’incontro, l’appuntamento mancato, il sottacere le identità, il buio entro cui, come nella favola di Apuleio, si nasconde Eros, e insieme i palpiti e le prove entro cui Psiche deve inoltrarsi, la lontananza/prossimità dei corpi che ne accendono il desiderio, la biforcazione (come per Borges) delle linee dei destini e l’aprirsi di tempi paralleli, gli sguardi incrociati e gli amori spostati (come in Cortazar), le ombre del non detto eppure dissimulato in un arabesco di rimandi specchianti, cornici interiori, cifre nei tappeti, e “bestie nella giungla” improvvisamente balzanti soprassalti d’amore (come in Henry James, e nella variazione di Jacquot sulla Bestia nella giungla): tutto ciò smerigliato e diffratto, abbagliato e fantasmizzato nel sentire il film di Benoît Jacquot, visibile nel suo invisibile, lettera d’amore sottratta e rubata (e Lacan e De Oliveira nelle due lettre ne sono i de-cifratori), abbracciato a tre donne “venute intorno al cor: Chiara, Charlotte, Catherine, tutte Sophie (che significa Saggezza si dice nel film, oppure, simbioticamente, Silvie, come la ninfa veggente di Nerval), tutte ineffabilmente non so che, tutte, lacanianamente, non-sapere, tutte non-tutte.