Una riflessione su JLG
di Edoardo Nardi
Vorrei proporre nell’ambito del mosaico di Filmcriticarivista, una riflessione su di una caratteristica particolare ed ai miei occhi fondamentale del cinema di Godard. Ritengo infatti, che egli sia stato il primo autore le cui inquadrature recassero contemporaneamente un duplice movimento: da una parte esprimevano la consapevolezza di come il film rappresentasse ormai un prodotto culturale e, di conseguenza, possedesse una sua storia che lo inscriveva definitivamente nel mondo delle arti. Godard conosceva profondamente l’evoluzione del concetto di inquadratura, del suo evolversi attraverso l’opera dei grandi stilisti del cinema come Bresson o Lang; allo stesso tempo era consapevole che ogni Storia è sospetta e che un prodotto culturale appartiene al sociale, limitando la pura espressione di una forma d’arte. Di conseguenza il secondo movimento presente nelle inquadrature dei suoi film e che riguarderà ogni singola fase della sua opera, è costituito da tentativo di liberare l’inquadratura da questa stessa consapevolezza storica e culturale, che ne avrebbe soffocato la purezza e l’autentica espressione. Dunque, nel caso di Godard non parlerei di inquadratura libera, ma di inquadratura liberata. Ora, vi sono due metodi principali di liberare l’inquadratura dal peso della Storia del cinema e del suo ruolo sociale e sono stati perseguiti da due autori diversi e contemporanei come Godard, come detto e Carmelo Bene. Nel caso di Bene liberare l’inquadratura significa distruggerla, disintegrarla come uno specchio nei mille frammenti di un mosaico frantumato; liberare l’inquadratura dal peso del film, significa per Carmelo Bene affrancarla dal Cinema, dalla sua storia sociale, da un ruolo fondamentale assegnatogli nell’ambito di una definizione ontologica del film; in tal modo, distruggendo l’inquadratura viene minata la più intima essenza del film. Nel caso di Godard invece, il movimento che permette l’affrancamento dell’inquadratura è dovuto ad un passo indietro di natura filosofica, allo spostamento laterale della macchina da presa rispetto ad una frontalità dominante e precostituita. Godard modifica costantemente lo spazio di visione, lottando continuamente con la propria memoria cinefila che tende a proporre modelli amati e perfettamente conosciuti. Anche nei collages delle ultime opere, Godard adotterà soltanto lacerti di inquadrature degli autori che ama, sottraendoli alla completezza asettica della storia dell’Arte. Tuttavia, liberando l’inquadratura e, di conseguenza, la purezza dell’immagine filmica dal peso del ruolo sociale ed artistico del cinema, Godard si specchia con l’autenticità di un dispositivo che reca con sé il proprio fallimento, quello di non aver saputo filmare i campi di concentramento, una incapacità che ai suoi occhi ha impedito al cinema di diventare adulto. Dunque, liberare il film dal suo ruolo sociale, impone anche la presa di coscienza di uno scacco, dell’impossibilità dell’immagine filmica di costituirsi quale testimonianza degli orrori della Storia. L’autentica natura del film, che nasce dall’eliminazione della sua funzione sociale, reca allo stesso tempo la sua incapacità politica di esprimere il senso profondo della storia, limitandolo alla mera narrazione del presente, una macchina che diviene esclusivamente lo specchio delle inquietudini della realtà contemporanea , funzione pur importante, ma che ne determina il confine. Il tono elegiaco costante di tutta la più recente opera godardiana, la sua voce narrante spezzata e dolente sono ad esprimere proprio tale consapevolezza profonda: la vertigine prodotta dalla liberazione dell’inquadratura dal giogo del sociale e della Storia, reca con sé il limite di ogni forma d’arte e relega il cinema in una perenne infanzia.