THE MIDNIGHT SKY di George Clooney
Una bambina abbandonata nel cosmo
di Francesco Salina
Fuoco, fumo, fiamme, il pianeta Terra brucia. Devastato, inquinato da esplosioni atomiche. I terrestri superstiti in fuga vengono trasferiti in aree non ancora contaminate. Solo un uomo decide di restare, Augustine Krause, un anziano scienziato. È collocato in un punto di osservazione su un polo terrestre, in una base attrezzata con strumentazioni adeguate e approntata come ampia abitazione. Ha scelto di rimanere sacrificandosi, segnalare lo stato e il procedere delle invasive, letali radiazioni.
All’interno della base osserva immagini e dati del disastro. Una nave spaziale con a bordo cinque esperti astronauti, tre uomini e due donne, naviga verso la Terra. Rientra da una missione, una ricognizione sulla luna di Giove. Un pianeta scoperto e studiato dallo stesso Augustine al tempo in cui, giovane, geniale scienziato, lo aveva scoperto e descritto come abitabile. Nello spazio smisurato i cinque astronauti fanno ritorno, determinati a scongiurare l’estinzione del genere umano. Il sofisticato dispositivo che gli ingegneri informatici cineasti hanno creato, e che si intreccerà con quanto filmato dal regista George Clooney, sembra mimare un apparato fisiologico, un organismo senziente, sorprendente e convincente.
Nello spazio infinito l’astronave aumenta velocità, rischiando, ma l’energia propulsiva non manca. Gli ingegneri informatici approntano gli effetti speciali, ‘campi’ cinematografici, primipiani, medi e totali, che saranno intrecciati con i ‘piani’ propriamente filmici, girati da Clooney, big-close-up, primipiani, piani medi, figure intere. Il tutto sarà montato da Clooney, che si cimenta da par suo anche nel ruolo dell’anziano scienziato. Nello spazio infinito naviga l’astronave, che presenta tuttavia alcuni inconvenienti. Così come l’umano, la sofisticata tecnologia spaziale non è perfetta. Nell’apparato esterno il radar presenta dei danni.
È necessario uscire dall’astronave. Maya si attrezza ed esce, ma la tuta, colpita da un frammento vagante, si lacera. La donna muore. Dolore e lacrime sciolgono l’algida freddezza macchinica. Sul pianeta Terra, minacciato dalle radiazioni, Augustine, lo scienziato, ad un tratto, sorpreso e incredulo, scorge nella base la figura di una bambina. Ѐ sola, sperduta, abbandonata sulla Terra in rovina. Ripresosi dallo stupore, la interroga. Lei non risponde, non parla. Lui prontamente comunica via radio. ‘Qui base Barbo…base Barbo…mi ricevete?…mi ricevete?…C’è una bambina lasciata qui…non identificata…non parla…avrà sette, otto anni…non parla…venite…venite a prenderla… venite a prenderla!’. Nessuno è in ascolto. Nessuno arriva. Augustine si prende cura della bambina. Tra il vecchio claudicante e la bambina mutace si stabilisce un legame. Dal momento di questo strano incontro, il film decolla, prende quota e vola. La bambina si ambienta. Ѐ curiosa, tocca tutto. ‘Non toccare niente’ la rimprovera dolcemente l’anziano ospite. Lei disegna un fiore, un iris. ‘Iris?’ le chiede il vecchio, lei fa cenno di sì. Iris è il suo nome. Augustine le racconta qualcosa di sé, dei propri affetti. Lei lo guarda, pronuncia la sua prima parola, l’unica frase. ‘Ma tu, le volevi bene?’.
Tra loro si rinforza il legame figlia-padre. Si adombra un vincolo familiare. Calore umano, al freddo e al gelo della base polare. In quel luogo sperduto, un legame Unheimlich. L’astronave avvista la Terra. Atterrare equivarrebbe a morire. Augustine dal suo punto di osservazione avverte. ‘Tutto è avvolto da nubi radioattive…tornate indietro…tornate indietro!’. L’astronave inverte la rotta verso la luna di Giove. Nella base terrestre nessuno è arrivato a prelevare la bambina. Nessuno mai arriverà. Lei porta il suo cuscino nella stanza di Augustine, lo sistema in un angolo, si addormenta. Solo lì si sente protetta. Il vecchio, la bambina e il reciproco amore. Umani, residuali di una specie votata a una prematura, autogenerata estinzione. Friedrich Nietzsche, in Su verità e menzogna nel senso extramorale, nel 1873 aveva scritto: In un remoto angolo dell’universo scintillante, diffuso in innumerevoli sistemi solari, c’era una volta un astro sul quale animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu l’attimo più superbo e menzognero della storia universale ma fu solo un attimo. Dopo pochi respiri della natura l’astro si raggelò e gli animali intelligenti dovettero morire. Solamente negli ultimi minuti il film disvela l’arcano. Augustine è il padre di Iris. Lei non lo sa, non lo saprà.
Una sola volta il padre ha potuto vedere il volto di sua figlia. Mai più dimenticato. Tutto quello che il film ha mostrato sulla base polare, l’apparizione, il legame con la bambina, non sono altro che il frutto dell’immaginazione del vecchio scienziato. Ha solo immaginato! Ѐ questo l’autentico, il ‘vero’ effetto speciale del film di Clooney. Ormai morente il vecchio comunicherà con Iris, sua figlia adulta. Anche lei naviga con gli altri astronauti. Anche lei è astronauta, diretta verso la luna di Giove. La luna scoperta da suo padre. Lo spettatore, incantato, ingannato dalla duplice finzione, sulle orme del vecchio scienziato è autorizzato a immaginare. Forse si chiederà: Decollerà verso il nuovo pianeta quella base? Il vecchio claudicante e la bambina mutace resteranno così? Lui vecchio, lei bambina? L’amore vincerà il tempo, vincerà la morte? Il narratore ha filmato una storia avvincente di fantascienza mentale, l’ha conclusa. Non può più immaginare, narrare. Anche i bei film colorati non sono perfetti.
