The Canyons
Per “Filmcritica” il film di tendenza per eccellenza del 2013.
The Canyons di Paul Schrader
Un articolo di Edoardo Bruno
Paul Schrader con The Canyons entra nello sguardo geometrico di una città fantasma, lungo tutto il Sunset Boulevard di Los Angeles, dove cinema chiusi e invecchiati, sedie e poltrone vuote, muri scrostati nella polvere, lasciano una ‘indifferenza’ come le tante facce di una città non-esistente e disseminata.
Case moderne, ambienti vuoti di un bianco accecante, Los Angeles appare ancor più una monotonia ricorsiva e seriale, nello sguardo freddo di Schrader, luogo metafisico e immaginario, terreno vago di un gruppo di attori e produttori minori, in cerca di trame impossibili e di provini utili solo a scaricare tensioni, tra uomini e donne, candidati a un inizio sempre rimandato; e nelle pieghe di gelosie e falsi amori, che nella frustrazione creano violente nevrosi e disarmonie solitarie.
Pronti a tutto, anche ad uccidere, nella dimensione impossibile di falsi amori e false illusioni, i personaggi di The Canyons ricordano, a tratti, Effetti collaterali di Soderbergh, nello squilibrio neocapitalistico del rapido guadagno, nella desolazione di uomini soli e negli artifici per riempire il vuoto; ma sono sopratutto il ‘segno semantico’ del ‘trascendente materialistico’ di Schrader, il falso romanticismo di gesti e canzoni, (un ottimo dj per la colonna sonora) e la impietosa denuncia della crisi della modernità, nella identità formale dei luoghi abitativi e del loro potere di condizionare i pensieri e i gesti.
Un piego anche politico, una rappresentazione del disagio e del vuoto che conclude lo sguardo finale, fuori campo, di Ryan. Avventura negli spazi identificati di un cinema che riguarda se stesso ma sopratutto che avverte, come Habermas, “il nuovo valore attribuito al transitorio, all’elusivo, all’effimero”.