SULLY di Clint Eastwood
Una poetica del fare
di Edoardo Bruno
Guardando[1] il film di Clint Eastwood Sully, osservandone la messa in scena, attraverso l’atto e i ricordi di un ‘incidente’ evitato, il puntiglio rigoroso e preciso di una regia consapevole, senza inutili formalismi, quasi in una ricostruzione del vero, punto su punto – atterraggio sulle acque dell’Hudson, passaggio trasversale tra stretti grattacieli investiti, tra impossibili scelte dettate dalla ragione, intesa quasi come meccanismo ‘scientifico’ dell’inconscio, mi veniva in mente la ‘poetica dell’agire’, la poetica del fare (poièin) con i suoi ritmi, la sue scansioni, i suoi suoni che risuonano nella testa di chi ne è stato protagonista – eroe o impostore – e che ossessionano le sue corse notturne in una città meravigliosa, senza respiro, nelle notti delle torri illuminate e delle acque gelide che riguardano impassibili, come raffrenate, in un silenzio metafisico, fatto, sulle prime, dagli incroci atterriti dell’imprevisto.
Messa in scena, coup de théatre, sguardo sull’inverosimile, che diviene possibile: così, ancora una volta, Eastwood richiama nel vero la finzione, richiama Shakespeare, richiama l’amaro e duro parlare dei Sonetti, luoghi poetici di vita, spudorate forme di verità, dove il dramma è ricondotto sulla terra, come nel film A Perfect World, dove la favola del mondo perfetto è in quella breve parentesi in cui l’uomo e il bambino rivivono la loro stagione – Love is a babe – simile a un bimbo è amore: meglio forse non dirlo, per non chiamare adulto quel che oggi ancora cresce, dal Sonetto CXV, dove “un che di ineffabile, un certo alone allusivo permane a confrontarci, a sfidarci di lontano”[2].
[1] J. L. Nancy, Il ritratto e il suo sguardo, Raffaello Cortina Editore, 2002: “Guardare significa anzitutto badare [garder], warden o warten, sorvegliare, custodire [prendre en garde] e fare attenzione [prendre garde]. Avere cura e preoccuparsi. Guardando veglio e (mi) sorveglio: sono in rapporto con il mondo, non con l’oggetto.”
[2] W. Shakespeare, Sonetti, Introduzione, traduzione e note di Alberto Rossi, Einaudi, 1952