Capitu e o Capìtulo e The Long Voyage of the Yellow Bus di Júlio Bressane
Sull’autobus giallo
di Alessandro Cappabianca
Un autobus giallo percorre il cinema di Julio Bressane, a partire da Venezia, per finire, temporaneamente, in Venezuela, sulla scia di Nietzsche. Perché giallo? Non certo perché il giallo sia il colore della nostalgia. Era gialla anche la casa del film di Monteiro, e questo vorrà pur significare qualche cosa. L’autobus giallo è quello che Bressane utilizza per tornare dove non è mai stato. La vertigine a volte pazzesca della macchina da presa, il suo rotolare nello spazio, che sembra senza fine, il suo viaggio durante il quale niente risulta visibile o riconoscibile, operano sempre un salto nel tempo, laddove portano i capricci della memoria.
Capricci inesorabili, peraltro, cui è impossibile sfuggire, per tristi che possano essere i ricordi veicolati. Sono capricci della propria memoria o quelli di Machado De Assis, che in Capitu e o Capìtulo (2021) di Julio Bressane suona il violino, vanamente innamorato di una donna che lo tradisce, e scrive le proprie memorie adottando il suo nickname. Ma che significa scrivere, se siamo nell’ambito del cinema?
Tutto può essere ripreso attraverso uno specchio-macchina da presa, specchio mobile delle mie brame. Oppure osservato attraverso il velo d’una trina. Il microfono del sonoro perlustra le ossa di un cadavere spolpato, ne coglie i sinistri rumori.
Dalle pareti della casa (la propria? quella di Machado?) occhieggiano le pitture, si moltiplicano le citazioni pittoriche. La sua amante tratteggia il suo profilo sul muro, ne resta la traccia flebile, appena accennata, destinata anch’essa a scomparire.
Torino era la città italiana preferita da Nietzsche, quella che più gli ricordava Parigi, con le sue strade armoniche, legate a un senso nascosto di geometria. Eppure è qui che impazzisce. Accarezza un cavallo, inveisce contro il carrettiere che lo maltratta. Poi si imbatte in una disgrazia ulteriore: sua sorella cerca di assimilarlo al nazismo, di farlo diventare quasi un seguace di Hitler.
Non ha un bastone magico, come sosteneva di avere Artaud, non grida. Il silenzio si stende inesorabile sulla sua vita. Lo specchio. La trina. La trina non fa trama. Soprattutto non fa nostalgia, per quanto a volte se ne affacci la tentazione. Solo la tentazione, peraltro, subito evitata, come un pericoloso scivolone. Con sua moglie, studiosa di Nietzsche, Bressane non può assolutamente permetterselo. Al massimo, si balla, prima di morire.
