Sono finite le tavole: i finali nel cinema di Miyazaki
di Francesco Scognamiglio
Nel culmine delle sfide finali un bacio sorprende il tempo. Gli animi, dispiegati verso orizzonti lontani, viaggiano su aeroplani cullati dal vento delle ultime note del racconto. Il ritorno al gesto umano permette al porco di tornare uomo. Così si conclude Porco Rosso di Hayao Miyazaki. Non c’è più niente da conoscere sulla vita dell’eroe antifascista. Il futuro è avvolto dalle nuvole come il foglio bianco è avvolto dalle chine nere.
Libere dalle cineprese, le mani dell’animatore svelano o nascondono colori fino ad ottenere un’intera tavola ricca di forme. Disegno dopo disegno inventano il senso manovrando il movimento. In fondo non c’è montaggio che non sveli l’istanza fondamentale della creazione: il singolo fotogramma, immagine di razionale disincanto.
Il cinema d’animazione insegna un nuovo universo in cui abbandonarsi. Chi meglio di lui fatica a cominciare e a terminare un’illusione così forte. Spesso nei film di Miyazaki proprio gli adulti e il dovere ci portano via dalle illusioni e dai sogni.
Le tavole del sensei dello studio Ghibli finiscono trascinandosi con sé tutto il mondo animato che magicamente era sullo schermo fino a un momento prima del ritorno alla vita. E i nostri occhi ancora gettati sul nero faticano a rigirarsi per continuare a guardare oltre.
Non vedremo sprecare altre fantasie colorate per il continuo di queste storie.
Così come nel buio del tunnel del finale de La città incantata in cui Chihiro si perde con lo sguardo nel ricordo di qualcosa di assurdo che ha appena vissuto ma che forse ha già dimenticato.
C’è forza e consapevolezza nello sguardo della bambina. Nelle terme incantate ha capito il valore del suo nome ottenendo l’immagine di sé che le servirà per continuare a vivere.
“Per diventare un essere umano è indispensabile che tu rinunci alla magia” dice la Dea della misericordia a Ponyo prima di ristabilire l’equilibrio che era stato perduto tra oceano e terra ferma.
Gli ultimi disegni mostrano il pesce definitivamente umano. Dopo tante onde, un solido fermo immagine conclude il racconto.
Così come in Ponyo sulla scogliera, anche in Kiki – consegne a domicilio e in Il mio vicino Totoro, l’elemento fantastico entra in città tra le persone comuni.
Pochi alzano lo sguardo al cielo per ammirare il singolare volo della ragazzina sulla scopa. I servizi di consegna a domicilio che Kiki svolge vengono accolti dalla comunità cittadina perché rapidi e funzionali. Kiki rischia di perdere il suo potere in una società interessata soltanto alla praticità dell’elemento magico che lei rappresenta. Ma durante una manifestazione aerea la città è in pericolo e Kiki stupisce tutti i presenti con i suoi poteri che le permettono di salvare la vita al suo amico Tombo. Agli applausi della folla seguono rapidamente i titoli di coda in cui continuiamo ad ammirare l’andamento felice della scopa volante della strega. Immersa nelle atmosfere felici della città, Kiki regala alle persone comuni brezze di vento cariche di meraviglia per le loro giornate.
In Il mio vicino Totoro le due bambine protagoniste si interfacciano con i vasti spazi e le nuove abitudini della casa in campagna in cui si sono trasferite. Le apparizioni fantastiche dello spirito Totoro e dei suoi teneri ma allo stesso tempo spaventosi amici del bosco aiutano i protagonisti del racconto a superare un momento difficile che stanno attraversando (la malattia della madre). Nessun adulto verrà a porre fine ai giochi delle fantasie. Così il film non finirà con una partenza bensì con il consolidamento di un equilibrio: la fiaba come vita in bilico tra realtà e fantasia.
C’è stato consegnato un piccolo accesso al bosco da cui attingere un po’ di fantasia quando queste visioni fugaci saranno concluse.
Anche Jirō, il ragazzo giapponese di Si Alza il Vento, conosce l’accesso al mondo dei sogni. I suoi sono legati alla progettazione di areoplani a cui dedica tutte le sue energie. Con le proprie forze cercherà di tenere fede al proprio sogno.
Il vento si alza, dobbiamo vivere. Senza mai affidarci e identificarci del tutto con il presente, bisogna vivere appieno nel proprio tempo e misurare il respiro al suo stesso ritmo.
In uno degli ultimi momenti del film, il signor Caproni e Jirō conversano al di sopra della storia.
“E il tuo decennio come è andato? Hai dato fondo alle tue forze?”, chiede Caproni al ragazzo.
“Sì ma alla fine è andato tutto in pezzi”, risponde Jirō.
Gli aeroplani, frutto del lungo lavoro, sono andati in pezzi ottenendo come per Nahoko, l’amata di Jirō morta di malattia, trasparenza nella storia.
Gli spiriti dai disegni opachi assumono immaterialità viaggiando verso la scomparsa del colore.
È la presenza del dolore per la morte della madre, bruciata viva durante il bombardamento di Tokyo del 1944, che infiamma di forza vitale l’animo e la curiosità dell’ultimo dei protagonisti di questi film. Mahito de Il ragazzo e l’airone cerca di fronteggiare le manifestazioni dello spirito infuocato della madre che lo ossessionano durante il sonno.
Per la prima metà del film seguiamo le giornate del giovane nella tenuta della zia che lo ospita dopo la recente tragedia mentre il padre si impegna nel suo incessante lavoro nell’industria bellica. La ferraglia disposta in fila giace in una delle stanze della villa. Come lapidi, anche in questo film appaiono gli aerei, anche se in maniera più marginale.
La meraviglia e la mostruosità degli oggetti volanti coincide con quella dell’elemento perturbante del film: l’airone. Dai ritmi dilatati, la narrazione procede lentamente girando attorno al mistero dell’uccello stregato che il ragazzo orgogliosamente sfida.
Mahito, poi, decide di entrare nel mondo dei morti per salvare la zia. L’airone come Virgilio con Dante guida l’eroe nei meandri di un universo gerarchico.
Le cose si muovono come il mare. Tutto fuoriesce, sguscia via. La materia non contiene lo spirito. Le tavole di cui è composto il film danzano come il fuoco e il ritmo incalza animando le gesta.
Il film animato si frammenta in personaggi sfuggenti, luoghi di passaggio e azioni imprevedibili. Il lirismo del viaggio nell’oltretomba si dissolve sempre più velocemente. Inizia quindi il collasso dell’intero mondo magico perché Mahito ha deciso di non voler ereditare il ruolo da demiurgo che il suo prozio ha svolto con fatica fino ad oggi. Così come il ragazzo abbandona il controllo sul mondo, il cinema abbandona il controllo sull’opera. L’animatore lascia spazio alla musica nelle tavole da disegno conclusive sempre più cariche di ammirazione per l’illusione che sta per svanire.
Fuori dal mondo magico tutto tace. Tanta fatica per nulla. Anche Mahito non sembra più interessarsi a cosa è andato perduto durante il viaggio. Da quel giorno inizierà lentamente a impilare i tasselli per costruire il suo mondo. Da questo luogo magico il ragazzo ha conservato delle pietre comuni che gli serviranno per erigere nel tempo il suo personale castello con cui dovrà trovare ogni giorno un equilibrio tutto personale.
La voce fuori campo ci informa che dopo qualche anno Mahito lascerà la casa della zia e così il film bruscamente finisce. Un finale più doloroso rispetto ai capolavori passati dell’autore. Fa male vedere spegnersi per l’ultima volta il soffice movimento e i dolci colori del film, giacché probabilmente Il ragazzo è l’airone sarà l’ultimo per l’autore. Con il trauma di quello che è stato, saremo costretti a vivere lasciandoci alle spalle tutto un universo di emozioni, passioni e sacrifici. Elementi cardine del processo creativo del team di animazione che ha contribuito alla creazione di queste fantastiche avventure cinematografiche lasciate in eredità dall’autore affinché cullino le coscienze di adulti e bambini. L’eredità, pietra da cui iniziare a costruire la nostra vita, non conserva limiti bensì radici invisibili ai nostri occhi inconsapevoli, rivolti al futuro.
I personaggi di questi film abbandonano le città incantate perché costretti a vivere il loro tempo.
Crollano le rovine di Laputa, la potente città fluttuante (Il castello nel cielo). Le radici liberano l’isola dalle armi letali. Vola via la terra utopica ancora più in alto nel cielo per non farsi prendere mai più da coloro che vogliono riattivare gli ingranaggi stanchi di un tempo così remoto.
L’autore ci consiglia di dimenticarci di Laputa e dei suoi robot felici e in pace con la natura circostante dell’isola. Diventata un puntino nel cielo, ci giriamo per tornare a casa.
Quanto a lungo ha sofferto il bosco di La Principessa Mononoke? Così il Dio bestia muore nella trasparenza per ricoprire di verde nuovamente le colline del tempo che offrono agli esseri umani una nuova occasione per continuare a vivere.
Ashitaka sorveglierà la città, San la foresta, per continuare a vivere nonostante tutto il dolore e gli errori che infuriano sul destino dell’uomo. L’eterno ritorno del cinema di Miyazaki è l’ultima tavola prima di iniziare a vivere.