Qīngchūn di Wang Bing
Fai bene a filmare, qui c’è la vita vera!
di Edoardo Mariani
I cani abbaiano alla Luna,
e intanto la carovana passa.
Qīngchūn, è stato presentato in concorso alla scorsa edizione del Festival di Cannes 2023 con il titolo Jeunesse (Le Printemps). Il sottotitolo Le Printemps si riferisce alla trilogia sulla quale Wang Bing sta lavorando, montando i materiali filmati tra il 2014 e il 2019 e della quale 青春 (Giovinezza) è il primo dei tre film.
Il tempo di un viaggio ci consegna nelle braccia dell’oscurità, attendiamo che le luci si spengano per restare in silenzio, la sala si riempie di anime, individui al servizio della vita, che riaprono gli occhi quando i primi accenni sonori e visivi del film cominciano a presentarsi. Siamo a Zhili, a 150 km da Shangai, in questa città periferica dove ogni anno si ritrovano (da luglio a gennaio) circa 300.000 lavoratori dell’industria tessile per i bambini. Strade grigie come il cielo, nuvole basse che coprono questi edifici rettangolari dove 18.000 laboratori di sartoria si nascondono dietro le infinite porte di ferro. Tra un laboratorio ed un altro le porte che li dividono portano alle camerate dove ragazzi e ragazze tra i 16 e i 30 anni rientrano dopo le svariate ore al lavoro.
Wang Bing segue il mondo di questi giovani a distanza ravvicinata. C’è tutto, la sua ombra c’è, ma quando può, si ferma, si immobilizza, e attiva una sorta di sguardo divino, onnisciente, non giudicante. Ci presenta i personaggi nel loro habitat innaturale, lì dove sono costretti a passare sette mesi di esilio interiore, dove dalla stanchezza nascono amori e amicizie, tra una sigaretta ed uno sbadiglio.
Si sente la solitudine di chi sta filmando, le interminabili notti e i corridoi senza fine, il fumo passivo e il poco sole. Wang Bing condivide le sorti dei suoi personaggi con l’intenzione di trasportare lontano le loro storie, per mostrare altrove le differenze e le contraddizioni sulle quali la società cinese è fondata.
“Amore mio, ti voglio sposare prendere una casa e avere dei bambini con te”, è il sogno di questi ragazzi, in questa Cina alla ricerca del boom delle nascite, dopo che tra il 2015 e il 2016 era stata abolita la politica sul figlio unico, e che nel 2021 ha lanciato una serie di limitazioni sugli aborti per far crescere il tasso di natalità nel paese e rialzato a tre il numero dei figli per famiglie sposate.
“È impossibile sposarsi senza l’aiuto dei propri genitori, quindi io faccio quello che dicono loro”, è spesso la risposta ai sogni di questi ragazzi che vivono ad una velocità disumana le loro giornate. Forse l’amore è l’unica cosa che gli resta, ma anch’esso sembra essere un’arma a doppio taglio. In questi spazi inumani, luoghi nei quali il cinema di Wang Bing cammina a passi lenti sin da Tiě xī qū, in questi agglomerati industriali dove i colori della vita sfumano sul grigio dei palazzi, non si riesce a definire chi sfrutta chi, dato che tutti questi giovani sono sull’orlo di perdersi e di restare vuoti e senza nessuna speranza.
“I cani abbaiano alla Luna, e intanto la carovana passa” ad un certo punto recita uno dei ragazzi nel film, alla fine dell’ennesima giornata passata nel laboratorio. In qualche modo, in tutta la sua semplicità, questo vecchio proverbio orientale ci ricorda quanto il progresso sia un passaggio obbligatorio per la maggior parte degli esseri umani che abitano la Terra. È difficile in certi casi riuscire a comprendere gli eventi che si susseguono durante la nostra vita, fermarsi, estrarsi da essa e carpirne i significati. Nel film di Wang Bing i gesti sono ripetitivi, meccanici, sistematici, e dopo aver cucito un importante numero di capi, il gesto successivo, che in Qīngchūn vediamo continuamente, consiste nel prendere in mano il singolo capo d’abbigliamento e rigirarlo nel verso in cui il pantalone brillante, la giacchetta o il pigiamino di Mickey Mouse verrà poi acquistato dai clienti occidentali e del resto del mondo. Dietro ogni cucitura, che appunto resta poi nascosta all’interno (dietro la luna), si nasconde la speranza persa (rinchiusa nel passaggio della carovana) di una vita diversa.
La musica a tutto volume nei diversi laboratori non copre il rumore delle macchine da cucire, ma fa dimenticare l’assordante grido del lavoro, che con l’abitudine asciuga ogni fatica con il compenso. Ogni pezzo cucito ha un costo, e più se ne fanno e più si guadagna, e più il capo è difficile e più è alto il suo valore. Più si cuce e più tempo si vende, dato che a fine giornata sono tutti e tutte troppo stanchi per vivere, e non gli restano che poche ore per dormire. I ragazzi di Zhili chiudono gli occhi e quando li riaprono sono rientrati nel loop giornaliero, i loro discorsi dipendono spesso dal tipo di vestito che si sta lavorando, e stando vicini ci si parla, in altre stanze, si fuma e si lavora in silenzio nel rumore assordante delle macchine…
Riporto qui di seguito una serie di risposte, prese dal dibattito alla quale ho partecipato dopo la proiezione di Qīngchūn durante la serata d’epilogo del Festival Rencontres du Cinéma Documentaire, a Montreuil (Parigi, domenica 7 gennaio 2024). Wang Bing era presente e ha lasciato alcuni chiarimenti sulle sue intenzioni tecniche e sul pensiero critico verso il suo paese d’origine.
Wang Bing : Il digitale permette al documentario di avvicinarsi con le riprese infinite al tempo della vita, ma poi ci si ritrova con questa infinità di minuti al montaggio. Ho girato a Zhili per circa cinque anni, tra il 2014 e il 2019, ed ora sto montando una trilogia di circa 10 ore partendo da un archivio di 2.600 ore.
Io non ho nessuna strategia. Prendo la camera e filmo le persone che voglio filmare. Non faccio nessun tipo di riflessione a riguardo, nessun tipo di interruzione delle cose… Mi ritrovo nel cuore delle azioni e le lascio sviluppare come esse sono.
Per questo ci vuole sempre molto tempo e molta costanza per far sì che ci sia uno sviluppo nelle immagini filmate.
Io normalmente lavoro da solo, o con una piccola squadra, e mi qualifico come lavoratore indipendente, senza bisogno di prendere contatti con le autorità. Giro i miei film in piena indipendenza, sono dei film indipendenti. Non mi riconosco nelle logiche dei film mainstream, e per realizzare i miei film non credo che sia una possibilità quella di ricevere il sostegno di quel sistema.
Alla fine la Cina è così grande che se partite per girare qualcosa nessuno ne sarà al corrente fino a quando, ed è lì che arrivano i problemi, il montaggio è terminato e le immagini iniziano a girare.
Il termine “giovinezza” è molto usato nella Cina di oggi come sinonimo di progresso politico. Ma la realtà dei fatti è che la maggior parte della gioventù cinese è costretta a lavorare nell’industria tessile, nelle costruzioni o nell’elettronica. In tutto questo però, malgrado tutto, continuano a desiderare e sognare un futuro migliore.
Oggi la vita in Cina è così. È un anello, un ciclo che si ripete, anno dopo anno, stagione dopo stagione, e la ripetizione del ritmo del lavoro guida la vita degli operai.
Tutti gli atelier che vedete nel film producono vestiti per bambini. C’è molta richiesta e funziona così in queste piccole aziende. Un mercato da cento milioni di euro al giorno, ma i salari restano bassi, a partire dai guadagni dei piccoli capi delle aziende, e di conseguenza ancora più basso è quello degli operai. Chiaramente questa modalità di lavoro stagionale non prevede nessun tipo di pensione o di indennità per i lavoratori, che una volta sfiniti, tornano a casa con un piccolo gruzzolo di contanti e nient’altro.
In Cina siamo molto lontani dalla maniera nella quale si è sviluppata la società in occidente…Penso che nessuno oggi possa dire quale sia il futuro di questo paese…
