Padre Pio di Abel Ferrara
Il corpo offerto in sacrificio
di Alessandro Cappabianca
Cominciamo dalla fine. Un braccio si posa sulla spalla di Padre Pio in preghiera. Di chi è questo braccio? Non si sa, ma possiamo benissimo immaginare che sia il braccio di Cristo. Noi possiamo immaginarlo, Francesco Forgione da Pietralcina ne è sicuro (o quasi). Nascono qui, proprio quando finiscono, quelle che Bruno Roberti ha chiamato le immagini ardenti del film di Abel Ferrara su Padre Pio. Immagini attinenti non alla religione, a quelle che Freud chiamò le sue illusioni, ma alla religiosità popolare. Se la religione (scusate la rima) è un’illusione, la religiosità non vuole sapere di prenderne atto. I poveri credono nei Santi, nei miracoli, negli effluvi miracolosi, nelle stimmate, nell’interposizione delle mani. Padre Pio compie un miracolo quasi involontario, toccando le gambe d’uno storpio lo fa camminare, per quanto senza scarpe.
Il bianco, il rosso.
Il bianco.
Ci sono nuvole, all’inizio, e un pallido sole anemico. A cavallo d’un mulo, il frate (Shia LaBeouf) si dirige verso il convento, a S. Giovanni Rotondo . “Benché indegno, sono stato scelto”, dice (pensa) Pio. L’indegnità è quasi una condizione privilegiata, qualcosa che assilla, che impedisce soddisfazione e pace. L’indegnità si paga col proprio corpo, con i dolori, le ferite, le stimmate, alle mani, ai piedi. Da dove vengono queste misteriose ferite? Sono auto inferte? Sono un inganno? Ma un inganno di chi? Del frate nei confronti dei fedeli e dello scetticismo della Chiesa ufficiale?
Intanto, al paese sono tornati i reduci dal fronte, i superstiti pieni di rabbia d’una carneficina senza senso. Sventolano le bandiere rosse del socialismo, tra la rabbia (opposta) dei potenti locali, che non solo si armano, ma fanno benedire (anche da padre Pio) le loro armi. Padre Pio benedice: non è un rivoluzionario, è un corpo dolorante e delirante, alle prese con le proprie afflizioni.
Il rosso.
Padre Pio, nella sua cella, litiga col Demonio, che l’accusa di vigliaccheria, per aver evitato, con la scusa delle malattie, il servizio militare. Pio nega risolutamente che questo fosse il suo intento, lotta col diavolo, lo caccia in malo modo. Parallelamente, i possidenti locali organizzano squadracce che malmenano un anziano compagno venuto da fuori a galvanizzare i socialisti del posto. Lo cacciano dal paese, quasi lo uccidono, mentre padre Pio somministra la comunione ai fedeli. L’ostia è posata, ogni volta con un segno di croce, sulla lingua di ricchi e poveri, vecchi e bambine, per essere religiosamente inghiottita. C’è qualche esitazione, da parte di padre Pio, nel porgerla a qualcuno? Sembra proprio di no, anche se lo vorremmo. Forse qui Abel Ferrara in parte tradisce Maurizio Braucci, co-sceneggiatore. Il versante intellettuale si piega a qualcosa d’altro, a un bisogno di credere, quel bisogno che s’era già manifestato prepotentemente in Searching for Padre Pio (2015).
Le tentazioni di Cristo, ricordo di Scorsese, diventano tentazioni di Francesco Forgione, in perenne lotta col Demonio. Un’Asia Argento androgina va da lui a confessarsi, ma confessa di non credere: “Per me, Dio non esiste”. Parole inaccettabili per padre Pio, che la (lo) scaccia in malo modo, ma poi, solo, nudo, urla “Aiutatemi!”. Chi può aiutarlo, se non l’autore di quel misterioso abbraccio finale? Abbraccio onirico, che non impedisce la strage, i morti, il ribaltamento del risultato elettorale, il sacrificio delle bandiere rosse.
Mani, piedi, costato. Autolesionismo? Ferite auto inferte? Può darsi. Per Braucci non so, ma per Ferrara il corpo di padre Pio corrisponde al corpo di tanti suoi personaggi tormentati, odiatori del proprio corpo e delle pulsioni che lo attraversano. Per imitare Cristo, si può anche barare.
