Occhi di brace (à propos de Herzog et des autres)
dedicato a Sebastian
di Andrea Pastor
Aderendo totalmente al bellissimo mini saggio (più che una recensione) di Daniele Dottorini sul film The Fire Within: A Requiem for Katia and Maurice Krafft, pubblicato su Fata MorganaWeb, mi permetto di aggiungere che, grazie al Requiem di Faurè ritrovato, che sonorizza, e a tratti amplifica e dilata all’estremo il senso e i sensi, geologicamente e filmicamente stratificati, anche e soprattutto quelli depositatisi fuori dal campo visivo, o quelli costeggianti persino il parlato di Herzog, l’Herzog parlato, la sua Soufrière volume secondo, grazie al Faurè Requiem, lo stesso che ammantava ed espandeva l’incipit e il finale del Vecchiali di Corpo a cuore, l’ho vissuta come se fosse, o potesse essere una storia d’amore e di morte, un melodramma negato e imploso, non esploso o eruttante, centrato su una coppia dominata da una magnifica ossessione rivolta a un primissimo amore, la pulsione scopica estrema che li spinge a stare insieme, e ad ‘amarsi ‘ sotto (o ai bordi del) vulcano, a filmare l’inferno di una luce colante che potrebbe portare o porta necessariamente alla morte, anche a quella del loro amore, del loro punto di osservazione sull’amore. Non più Grizzly Man ma A Fire Man and a Woman, che sotto influenza del loro sguardo e di quello di Herzog, non cessano di trasformarsi, a vista, da scientifici e vulcanologi che erano agli esordi, a puramente e “miracolosamente”, rossellinianamente, ottici e sonori. Lui e lei, Katia e Maurice, sempre ancora grazie ad Herzog, nel corso del film, cercano di recuperare il tempo perduto (quello prima di incontrarsi?) inseguendo, fino alla fine del mondo, gli abissi e le eruzioni, per guardare sempre più da vicino la materia incandescente dalla quale sono nati, anche i loro nostri sogni, quella che li ha originati, che ha dato vita al loro riconoscersi, la stessa che li separerà definitivamente. Tramite loro e la loro titanica ricerca di una fiamma che non si spegne, ma incenerisce e distrugge, Herzog si ricongiunge non solo a tutte le fate morgane atte a far risorgere l’Immagine, ma anche al Wenders di Nick’s Movie, al documentario limite, al limite del documentario, là dove l’amore tra due registi si consuma all’ombra di un cut che ne segna la fine. Le ceneri pellicolari di Ray Wenders, quelle che scorrevano sull’acqua alla fine di Lightning Over Water seppelliscono qui, nelle acque profonde di un cinema che, grazie a Herzog, risorge continuamente, un uomo e una donna che fino alla fine del mondo, fino al loro dissolversi come amanti e come esseri viventi, vanno a cercare il cuore di tenebra del loro trapassare da uno stato all’altro, del mutare dei loro sguardi, dei loro “statuti” , del o dal loro nascere e diventare scienziati, fino al loro viversi come agenti di un Amour fou “fuori tempo massimo”, destinati al morire: quando i corpi e i cuori si condensano troppo nello Sguardo non possono che farsi lapilli. L’occhio non può che chiudersi, uccidersi. Una cremazione letteralmente ante litteram è il loro scomparire dal campo della macchina da presa? è la morte della pellicola al momento del (rinascere) del digitale, che, citando il titolo di un incendiario libro di Lorenzo Esposito, ( forse ) non esiste? quanti interrogativi, quanti ricongiungimenti vitali pone l’ennesima morte al lavoro di Herzog… mi sembra, ancora, ricongiungersi ai vulcanici (parafrasando Fabrizio Croce in Close-up, Storie di una visione) egh e Aura e ai loro ultimi giorni dell’umanità (delle immagini home Movies, dell’amato Ronconi, e di quelle sempre troppo fuori orario, riattraversate con Gagliardo, e Fumarola), o, ancora, ritornare, sui passi di Ingrid e Rossellini, in una Stromboli nipponica, in un ultimo viaggio, non più avente come meta finale Napoli Italia, ma, più, infuocatamente, la notte…
Non ci sono risposte probabilmente, o forse, sono sempre, e solo, provvisorie, quasi d’amore…