Non dimentichiamoci mai dei bambini
Qualche nota sulla speranza della pace durante le guerre, sui bambini nei film di Roberto Rossellini e sulla retrospettiva integrale a lui dedicata alla Cinémathèque Francaise di Parigi.
di Edoardo Mariani
Persino la prudenza dell’infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell’innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa.
Dal cartello introduttivo di Germania Anno Zero
Sembra che la Storia moderna sia cadenzata da generazioni nate durante le guerre, bloccate in un tragico presente tra le macerie e le sofferenze di chi abita i teatri dei conflitti; e chi invece tenta invano di dimenticare, andando avanti senza guardarsi indietro, accantonando le paure e le stragi del passato. Il cinema di Rossellini, in ogni sua intenzionalità, voleva riferirsi ad entrambi i punti di vista, con la sua idea da Angelo della Storia di « fare del cinema un’arte utile ». Tenendo al centro delle sue narrazioni coloro che soffrivano gli effetti di cause delle quali non erano responsabili, Rossellini faceva in modo che il cammino dei suoi protagonisti procedesse sempre per tappe. In ognuna di queste fermate, il personaggio e lo spettatore aveva modo di contemplare, partecipandovi, le tribolazioni dei popoli colpiti. Come in una sorta di Via Crucis, siamo dolorosamente messi davanti alla cruda realtà della vita vera. Con i suoi zoom, e gli stacchi sulle inquadrature in soggettiva, siamo noi, viaggiatori di questa vita, da qualunque luogo ed in qualunque tempo, ad essere condannati a confrontarci con il mondo di coloro che abbiamo ingiustamente condannato.
Ma le differenze si riscontrano comunque nei rapporti tra due generazioni. Ad esempio in Germania Anno Zero siamo sempre con Edmund mentre cammina nella sua città natale, quella in cui vive, quella in cui salendo le scale di un palazzo illuminato dalla luce del sole che filtra attraverso i buchi dei bombardamenti e dove all’interno degli appartamenti si vive stretti, con limitazioni di gas ed elettricità. « Facile per te parlare. Non è in gioco la tua vita! », dice il giovane fratello di Edmund al padre anziano e allettato, e subito Edmund, che in quelle rovine ci è nato, tenta di prendere in mano la rinascita della sua famiglia, che però non fa che rendergli difficile la sua piccola (e breve) esistenza. Ciò che distrugge il mondo, le speranze e le energie dei più piccoli sono sempre le irremovibili ricerche di potere e di supremazia delle generazioni degli adulti, che si occupano dell’« istruzione dei giovani di oggi », come dice anche il maestro nazista che brama un futuro violento attraverso le azioni del piccolo Edmund. Quando c’è una guerra che porta devastazione, c’è sempre una generazione di bambini che osserva, e che cresce in questo tormento…
È il 10 Gennaio 2024, la sala della Cinémathèque Française è gremita, siamo all’ascolto e impariamo dalle grida di rivoluzione, dai pianti, beviamo le loro lacrime immortali e ne rinasciamo. Abbiamo sempre di più il dovere di essere un pubblico sensibile alle immagini sulla vita, vite di ieri che parlano una lingua universale e che riescono sempre a dirci qualcosa del mondo di oggi.
Lo sparo in soggettiva, la corsa di Marcello, verso la corsa interrotta di Pina. Roma Città Aperta, che rimarrà senza padre, anche dopo averne ritrovato uno, non è mai sola, neanche mentre assiste alla fucilazione di Don Pietro, l’ultimo portatore di sani ideali di rinascita. Marcello è Roma, e fischietta con i suoi amici una vecchia canzone di Alberto Rabagliati che nel testo recita « È primavera, svegliatevi bambine…Quanti ricordi diventeranno i prati in fior ». [1] I bambini nei film di Rossellini sono quelli che si confondono con le rovine della civiltà che non avevano costruito e che saranno costretti a ricostruire, « ti guadagnerai il pane col sudore della fronte ».
Questa in qualche modo è la visione dei bambini di Rossellini: uno spazio aperto, un campo pieno di proiettili e corpi assassinati dai quali, che lo si voglia o no, rinasceranno dei fiori, i più freschi, quelli che fanno venire voglia di fare l’amore, quelli che risplendono la luce del sole nelle giornate di pace.

In Europa ’51, siamo agli inizi del nuovo decennio, il mondo si è rimesso in moto, l’Italia si è ricostruita, i borghesi continuano ad imbandire le loro tavole per gli amici borghesi e i « poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche »[2] si dividono ancora il pane in catapecchie dimenticate. Europa ’51 comincia da dove Germania Anno Zero finisce: una giovane vita salta nel vuoto. Se Edmund saltava dal buco lasciato dalle bombe sul palazzo davanti casa sua sotto gli occhi della sorella e del cielo sopra Berlino; al contrario il piccolo Michel di Europa ’51 salta nel vortice della scalinata del suo palazzo, nascosto agli occhi degli altri, in solitudine, si sacrifica. Rossellini allora, sempre lavorando sulla sua orientazione anti-suspense e sulla serie di micro-eventi nel percorso dei suoi personaggi, fa in modo che questo sacrificio sia l’inizio dell’ascesa della madre (Ingrid Bergman), di un adulto della precedente generazione.
Come scritto nei Quaderni di Simone Weil, alla quale il personaggio di Irene/Bergman è ispirato:
Sfuggire alla necessità? Come i bambini? Ma ci si perderebbe questa vita preziosa — e ciò si paga con una schiavitù di altro tipo — innanzitutto di fronte alle passioni — poi di fronte alla potenza collettiva della società.[3]
Il suicidio di Michel è l’unica (e l’ultima) arma rimasta nelle mani dei bambini per farsi ascoltare, per farsi giustizia, per insegnare la giusta prospettiva e indirizzare lo sguardo dei più grandi verso un’idea di futuro comune. È atroce, ma è reale.
E allora fuggi, fuggi piccolo Messia, lontano da ogni scopo per il quale i tuoi genitori ti avevano programmato, e urla verso un nuovo mondo, e costruiscilo da zero, un ailleurs dove « chi ha due tuniche le divida con chi non ne ha, e chi non ha da mangiare faccia altrettanto…» e dove « voi esattori delle tasse non esigerete niente più del giusto » e voi soldati « non molestate alcuno, e non denunziate alcuno falsamente e contentatevi della vostra paga »[4].
Quando il soldato americano Joe vede lo stato in cui è ridotta la vita del piccolo Pasquale, « Mamma e Papà so’ morti. Le bombe. Bum Bum »[5], impaurito dalle colpe e tormentato dagli incubi del futuro (il suo, e quello del piccolo), scappa annichilito, lasciando la speranza negli occhi dell’innocenza.
Oggi stiamo vivendo un veloce riavvicinamento dei conflitti internazionali, e nuove generazioni di bambini stanno morendo, soffrendo e perdendo tutto a causa di queste “vecchie storie”. Come sempre, chi ci rimette, sono i bambini. Incolpevoli e ignari, imparano a nascondersi dai bombardamenti e dai soldati, e presto ne conosceranno le prassi, e in quella quotidianità saranno comproprietari di un mondo che li ha sofferti e che li ha fatti solo soffrire. « Più di 10.000 bambini sono stati uccisi dagli attacchi aerei e dalle operazioni di terra israeliane nella Striscia in quasi 100 giorni di violenza, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Sanità di Gaza, e altre migliaia risultano dispersi, presumibilmente sepolti sotto le macerie »[6].
La storia della Palestina arriva oggi attualmente a questo culmine, del quale siamo spettatori attraverso le tragiche immagini che circolano e che ci mostrano giornalmente questo flagello della società, un ammasso di rovine del contemporaneo. Di recente, in seguito alle accuse dell’intelligence di Israele di collaborazionismo con Hamas, quindici paesi dell’Onu hanno sospeso i finanziamenti all’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi), l’unica che dal 1950 tiene conto di tutte le perdite di vite umane e le condizioni inumane nelle quali sopravvivono coloro che restano in questa terra della discordia.
Alla fine di Film annonce du film qui n’existera jamais: “Drôles de Guerres”, Jean-Luc Godard lascia in qualche modo un messaggio di speranza, di qualcuno che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva vissuto lontano dalla sua famiglia, e che durante tutta la sua carriera cinematografica (in un certo senso dando una continuità all’ideale rosselliniano) ha voluto parlare dei più afflitti con la voce del cinema. Tra una Storia ed un’altra, la Carlotta innamorata del romanzo Faux Passeports di Charles Plisnier, è l’ultima protagonista dell’ultimo montaggio cinematografico di JLG, e recita:
« È una lettera di mio nonno, ma non è per l’ambasciatore francese, ma per l’uomo […] Perché Sarajevo ? Perché la Palestina ? Perché abito a Tel Aviv ? Spero di vedere un luogo dove la riconciliazione sembra possibile […] Chi è quella giovane donna nel suo ufficio, accanto a Kafka ? Qualcuno come lei immagino. Hannah Arendt. La sua amica Solène diceva che lei somigliava a dodici sinagoghe…»

[1] Mattinata Fiorentina, Alberto Rabagliati: https://youtu.be/A68d0HwW3Bo?si=M0lTiWIR1nXrFbJK
[2] Pier Paolo Pasolini, Contro i capelli lunghi dal « Corriere della Sera », 7 gennaio 1973
[3] Simone Weil, Quaderni VOL. 1, Adelphi, p.132.
[4] Grida Giovanni Battista nel Messia di Roberto Rossellini (1975).
[5] Sussurra il piccolo Pasquale in Paisà di Roberto Rossellini (1946).
[6] https://www.savethechildren.it/blog-notizie/gaza-10000-bambini-uccisi-100-giorni