Memoria di Apichatpong Weerasethakul
Frequenza sonora: Lasciti spirituali nel RadioPianeta
di Francesco Scognamiglio
Apichatpong Weerasethakul una notte si sveglia, è in Thailandia, nella sua camera, crede di aver sentito un suono. Giorni dopo lo risente, poi ancora. Capisce che è qualcosa che solo lui può sentire. È la “sindrome della testa che esplode”. Decide che è il momento giusto per immergersi nella sua ossessione. Parte.
Memoria nasce, così, dall’esperienza personale del regista nello stato colombiano, durante una residenza artistica di tre mesi. Il film, presentato al festival di Cannes nel 2021, riporta in inquadrature una serie di sguardi turistico-osservativi testimoni dell’integrazione, ma allo stesso tempo dell’astrazione, che ha coinvolto il regista durante il percorso di creazione. Inoltre sono la dimostrazione del rispetto sentito nei confronti dei luoghi autentici di Bogotá (e la sua cultura) in cui il film è ambientato. Come un rituale, il film è stato girato cronologicamente per una comprensione maggiore del senso del racconto. Un’esperienza immersiva nel mondo dei sogni ma comunque restitutiva dell’identità del luogo.
La tradizione colombiana, dunque, lascia spazio ad una ricerca più profonda, nelle radici comuni del mondo. Tema sempre totalizzante nei film del regista tailandese, che trova qui però una chiave più controllata, una visione attenta, non distaccata, perché un suono catalizza la nostra curiosità.
Ed è la chiave sonora che il film sceglie per riecheggiare il suo essere, anche questa volta, verità altra. In un’aula universitaria un professore svolge la sua lezione sulle proprietà fisiche del legno. La materia accoglie le energie propagate dall’esterno e le conserva nel tempo, per poi rilasciarle per chi ha la possibilità di ascoltare.
La protagonista, Jessica Holland (Tilda Swinton), ha sentito un suono, all’alba, nel suo appartamento, mentre dormiva. Si trova in Colombia poiché la sorella sta male in ospedale. Coglie l’occasione per prendere un appuntamento con un tecnico del suono, Hernán, ex studente di Juan, il marito della sorella. Nello studio di mixing, insieme, riescono a riprodurre il suono. Sembra un tonfo propagato dalle viscere della terra.
La strada della capitale è affollata, le persone stanno attraversando le strisce pedonali. Un uomo si accascia a terra, spaventato, dopo aver recepito un forte rumore, simile ad uno sparo. Poi inizia a correre. Le persone rimangono ferme. Apparentemente è stato un colpo secco causato da un malfunzionamento di un bus che si è fermato sull’altro lato della strada. Ma la persona che correva sta continuando a farlo, girandosi impaurito verso tutti gli altri che lo guardano straniti. Lui ha provato terrore. Ha portato fino in fondo, istintivamente, quello che ha sentito, la sua convinzione. Il film sembrerebbe, in questo momento, coinvolgere le dinamiche di guerra civile che il paese per anni ha sofferto. Una restituzione della memoria colombiana macchiata da una costante violenza nelle strade, gli attentati a Bogotá. Ma non è del tutto così.
I riferimenti storici continuano a presentarsi rimanendo però puri dati di osservazione. Ogni immagine del luogo è contenitore di qualcosa di più grande, che detiene il ruolo di collante all’interno del film: Il rumore, che Jessica continua a sentire durante le sue giornate, convinta del suo prossimo distacco dalla vita, dalla ratio. Inizia la sua ricerca verso il moto astratto che l’ha coinvolta.
I cittadini, ignari delle conseguenze di essere vivi, hanno smarrito persino quello che loro stessi hanno seminato. Nessuno è realmente ancorato ai segnali dell’etere, anzi, forse la protagonista infondo è l’unica ad avere una particolare attenzione, una memoria lucida (come lo zio Boonmee che si ricordava e riusciva a richiamare persino le sue vite passate).
Gli abitanti del film sembrano essersi allontanati dalle facoltà primordiali dell’essere viventi (non come gli Anemos della foresta in armonia con il circostante).La sorella di Jessica, ricoverata in ospedale (in una situazione a stretto contatto con la possibilità della morte), dice di un cane, che ha dimenticato di curare, come fanno tutti gli altri che pensano solo a se stessi. Ora lo sogna, furioso, vuole essere cercato. Più tardi, una volta dimessa, a cena con la famiglia, non ricorda più del suo animale guida. Dopo l’insistenza della sorella, sembra ricordare qualcosa, ma comunque si mostra disinteressata. Come gli altri.
Hernán è scomparso, nessuno si ricorda di lui, sembra non essere mai esistito. In giro per la città, l’europea straniera si perde nelle varie sonorità per ritrovare, sempre di più, la sua. Il corpo conduttore del personaggio esiste nella linea spaziotemporale del film, comparso in tale dimensione grazie allo scatenarsi di un evento.
Si entra, con l’incontro di un nuovo Hernán, personaggio solitario, distante dalle distrazioni cittadine, in una dimensione di morte (o di vita superiore). Hernán dorme a comando e non sogna. Non gli serve. Da sveglio, è in connessione continua con tutto ciò che gli giunge. E ora gli si è presentata Jessica, portatrice di un suono. Un qualcosa di fantascientifico, che richiama ancora una volta il legame con la cultura precolombiana: Gli alieni, il loro legame con il divino, le dimensioni allucinatorie. E quindi il sogno, che ancora una volta torna come tema centrale di Weerasethakul. La spiritualità del sogno, la spiritualità del cinema. Akritchalerm Kalayanamitr, ex alunno, come Weerasethakul, del “Chicago Art Institute”, è il sound designer del film. Sin da Tropical Malady (2004) hanno lavorato spesso insieme.
Il loro primo lavoro aveva un tappeto sonoro rumoroso e acerbo. Ma tratteneva ancora la forza mistica dell’imperfezione. Con Memoria la qualità tecnica è molto migliorata, le tracce audio restituiscono una verosimiglianza terrificante con il mondo percettivo del film.
Quello che rimane comune, come obiettivo, in tutti i loro lavori, nonostante le differenze tecniche ed economiche, è la predominanza dell’ambiente sul soggetto. Lo spettatore viene catturato dalla ripetizione dei suoni o rumori percepiti così spesso da creare un’ossessione, in modo da connettersi finalmente con lo stato di coscienza del film. Il battito sonoro, in sala, ci ha fatto entrare in questa dimensione sogno (questo film). Tilda Swinton dormiva e il suono l’ha svegliata, noi pian piano ci siamo addormentati. Il tempo della sala ha lasciato spazio ai suoni che compongono il film permettendoci di ascoltare un nuovo piano del mondo e di noi stessi: le componenti della memoria del mondo, il radio pianeta, composto di lasciti emotivi apparentemente casuali.
Hernán, ci accompagna, in maniera discorsiva, a questo tipo di lettura, dividendosi in due entità:
La prima, con un ruolo terreno, accompagna con artificialità umana la creazione logica del suono e la sua comprensione. La seconda invece cura l’aspetto immateriale del suono permettendoci di attraversare i confini. Il film è, per questo, visibilmente diviso in due. Il primo Hernan è coinvolto con la prima parte del film che si dirige verso un’osservazione della realtà fisica e sonora del luogo. Il film ci mostra infatti le piazze di Bogotá e i lavori in corso nelle gallerie sotto terra in cui i suoni sono tanti e qualcuno potrebbe aver raggiunto la nostra protagonista. Inoltre anche i ritrovamenti archeologici degli scheletri con un buco in testa fanno parte della sfera reale del racconto. Il secondo Hernan è il rappresentante del finale, e ci fa scoprire nuove immagini sonore rappresentative dell’esoterismo autoctono e della fantasia della fantascienza (come l’apparizione di una navicella aliena che millenni prima è partita dal pianeta terra emettendo un boato).
Ma Il film non termina con gli alieni, bensì con tutto il resto, sempre presente sopra e sotto di noi, ancora in attesa di essere percepito o ascoltato. È l’eterno atemporale che non possiamo fare a meno di confondere con lo scorrere naturale del tempo del nostro pianeta. La soluzione è Il raggiungimento di tutti i suoni del mondo, quindi il silenzio, quello che fa dormire davvero. Il suono che ossessiona le notti del regista e del suo personaggio e la sua ricostruzione in studio è un’idea di suono e per questo interiore.
L’esercizio spirituale è l’unico mezzo di transizione che ci suggeriscono le opere d’arte, per superare questa distanza conoscitiva che abbiamo nei confronti dell’universo. L’atto artistico e l’atto di creazione aprono le porte della fantasia e quindi della memoria.