Marx può aspettare di Marco Bellocchio
Una storia di gemelli
di Alessandro Cappabianca
A partire dal suo primo film (I pugni in tasca), Marco Bellocchio non ha fatto altro che raccontare la storia della sua famiglia, ossia di un inferno familiare. Perfino quando (come in La Cina è vicina) era deciso ad annullarsi in quanto autore.
Inferno familiare. Una madre bigotta, timorosa delle fiamme dell’aldilà e (ancora di più) che i suoi figlioli morissero prima d’essere battezzati, e quindi fossero destinati al Limbo. Un padre ferocemente anti-clericale, fino al delirio. Un fratello pazzo che, urlando, spaventava tutti (ma l’importante, per la madre, era che non bestemmiasse). Due sorelle, di cui una sordomuta (Letizia). Vari fratelli, colti e politicizzati. Marco non nasce solo, ha un gemello, Camillo, che la madre, per paura del Limbo, farà battezzare tre volte. Unica via di salvezza, la fuga. Marco se ne va, lascia Piacenza, lascia Bobbio, viene a Roma, per fare il cinema. Incontra Lou Castel, ed è il successo immediato, che non manca di far piacere a sua madre, ma anche di scandalizzarla: secondo lei, la visione del film dovrebbe essere evitata dalle persone “troppo sensibili”.
Ogni film di Marco contiene quindi elementi di confessione, tanto che padre Fantuzzi può dirgli: potevo darti l’assoluzione, e magari fare una penitenza al posto tuo.
Camillo, a 24 anni, si suicida. Perché? Di chi la colpa, se esiste una colpa? Certo, nessuno in famiglia si aspettava una cosa simile, tanto meno Marco, che apprenderà solo in seguito l’esistenza d’una lettera a lui indirizzata, e mai pervenutagli, da cui traspariva una richiesta di aiuto. Ma in che senso? Forse Camillo pensava che il fratello potesse aiutarlo a fare l’attore, come già avvenuto per PierGiorgio, figlio di Marco, da non confondersi con Piergiorgio, fondatore dei “Quaderni piacentini”. Chissà.
So che alcuni (pochi) anche tra di noi hanno considerato Marx può aspettare come un tentativo non richiesto di autodifesa, mirante a lenire il senso di colpa. Non lo escludo, ma credo che l’approccio giusto debba essere diverso. Ammesso che Marco volesse fare un documentario sulle ragioni d’un suicidio, il film gli si è trasformato in altro sotto le mani, quasi per magia. Le ragioni d’un suicidio, di quel suicidio, rimangono imperscrutabili e comunque distribuite in famiglia, ma Marco ha finito per imbattersi nel mistero ancora più profondo del gemellaggio. Marx può aspettare. E’ urgente capire cosa significhi essere gemelli, cosa significhi avere un doppio, cosa significhi avere un doppio da cui a malapena ci si distingue e che a un certo punto decide il proprio annullamento.
Ossessione di gemellaggio. Non sembri una provocazione, ma quasi ci sembra di capire Mengele. Mistero della differenza nell’identico, che poi sfuma con la crescita. Marco diventa Marco, o rimane Camillo almeno in parte? Suicidandosi, Camillo uccide solo se stesso? Come distinguere due creature vive da due bambolotti? Forse solo il cinema può alimentare quest’ambiguità, renderla produttiva.
A parte ridono due gemelli Rigoletto.