Ma Mère di Cristophe Honoré
Corpo, luce, tenebre a dismisura
di Francesco Salina

Mia madre si tolse davanti a me la camicia e gli ultimi indumenti. Si sdraiò nuda. Ero nudo, mi stesi accanto a lei. -Ora so, disse, che tu sopravviverai a me e che tradirai una madre abominevole
Il manoscritto di Ma Mère, straordinario romanzo di Georges Bataille da cui il film è tratto, fu ritrovato tra le sue carte dopo il 1962 anno della sua morte:
Questo accecante capovolgimento del cielo è il capovolgimento della morte. La mia testa turbina nel cielo. Ma la testa turbina meglio che nella sua morte
Il manoscritto era corretto e pronto per la stampa. Le sole pagine conclusive presentavano chiose, correzioni, differenti versioni di alcuni brani. Fu pubblicato nel 1967:
Lasciami vacillare con te in questa gioia che è la certezza di un abisso più profondo, più violento di ogni desiderio. La voluttà in cui sprofondi è già tanto grande che posso parlarti, ad essa seguirà il tuo cedimento. In quell’istante io me ne andrò, e tu non rivedrai mai più colei che ti attese, per darti il suo ultimo respiro
Il film di Christophe Honoré segue il decorso del romanzo ma, in alcuni eventi lo anticipa o lo insegue. Muta il ritmo della scrittura, mima il suono del pianto, l’orrore nostalgico assaporato, perseguito e confessato dalla madre:
Sei tenero, diceva, non ti meritavo. Tua madre è se stessa solo nel fango. Tu non saprai mai di quali orrori io sia capace. Mi avvolgo nel mio fango. Toccherei il fondo davanti a te e sarei pura ai tuoi occhi. Disse, ebbe allora quel riso osceno che ancora mi lascia spezzato
Il film non sconvolge il sorprendente montaggio del romanzo. Velocizzando forme e formati ne rende la medesima perversa promiscuità, filmandola. Sconvolge la successione degli eventi, accentuandoli. Fedelmente trattiene e mantiene il significato, ne esalta il senso nel bilico ondivago tra innocenza e malvagità. Non forza e non rinforza la voluttà perversa di una madre che, dalla violenza subita da fanciulla nell’atto infertole nel concepimento, rivolge il proprio erotismo tragico verso il frutto dell’offesa subìta, verso il figlio. Il regista ne accentua il lesbismo, non tradisce la dolce malvagità che la scrittura di Bataille ha tracciato nel romanzo. Che la sottile interpretazione di Isabelle Huppert, dell’inesausta, vorace, inappagata impulsione del desiderio, esalta nel film:
L’orrore di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà è così tremendo, che dovrei ad ogni costo negarlo, e gridare con tutte le mie forze, che nego quel che è stato, quel che è o quel che sarà, ma mentirò
Quattro sono i momenti-sequenza, i movimenti nei quali la narrazione visuale si articola e precipita verso la sospesa e attesa conclusione. Verso l’amplesso appassionato, dolce e tenero, violento e condiviso tra madre e figlio. Verso la penetrazione, dentro a quel ‘luogo’ profondo e misterioso, l’interno del ventre materno. Ripenetrando interamente nell’oscurità del ventre stesso che lo aveva dato alla luce. Dentro, interamente, anima e corpo, in un cerimoniale, in un liturgico accoppiamento originario. Con una madre dedita agli Dei degl’inferi, nel dominio interdetto del Sakròs, tanto demònico quanto sacro:
Mai, nemmeno per un istante, immaginai, nella violenta passione che mia madre mi ispirava, che potesse, anche nel periodo di maggior sbandamento, divenire la mia amante
Nel primo movimento Pierre decanta la propria devozione e ammirazione nei confronti di sua madre Helène. Poi sospetta e in seguito viene invitato ad assistere agli incontri d’amore tra sua madre e Rea, lesbo delle sue brame. Sarà coinvolto negli amplessi tra le due donne, prima con stupore, poi coralmente, tra grida di giubilo, di svelamento, di esaltazione dei corpi avvinti, intrecciati, insaziati, tra grida di piacere e di dolore:
Ma quando ti ricorderai della stretta che ora ti unisce a me, non dimenticare la ragione che mi spingeva a fare l’amore con le donne
Nel movimento successivo la madre si allontana, viaggia e si abbandona ai piaceri tanto goduti quanto perversi. Nasce un amore irresistibile tra Pierre e Rea, alla cui promiscuità la madre lo aveva affidato. Non bastava una vita a Rea per sedare, soddisfare la propria libidine. Pierre non riuscì a condurla all’estrema perversità di sua madre, né alla propria. L’erotismo di Rea era troppo innocente, troppo arcaico, inappagabile, istintuale, troppo generoso. Nell’ultimo movimento la madre torna dal figlio. Il tenero, feroce, reciproco desiderio si compie. Un amplesso travolgente, nell’eccesso tanto acuto e profondo da risultare per lei fatale. La madre, nell’ultimo orgasmo gode, unitamente, della propria distruzione sacrificale. Gode l’estremo, tragico piacere di sprofondare nell’ignoto, nel silente annientamento, nell’abisso desiderato della morte:
Baciami, mi disse, per non pensare più. Metti la tua bocca nella mia. Sii felice di questo istante, come se non fossi distrutta. Ho voluto farti entrare in questo mondo di morte e di corruzione che sapevo avresti amato. Ti ho dato quello che avevo di più puro e di più violento, il desiderio di non amare altro che strapparmi via le vesti. La tua corruzione è stata il mio capolavoro. Vorrei trascinarti nella mia morte
Nella sala algida di una morgue il corpo della madre viene deterso, dislavato come un corpo sacro, deposto su di una branda, avvolto in un bianco sudario. Solo il volto pallido appare. Il figlio si accosta alla madre. Lungamente ne fissa il volto. Si inginocchia ai piedi del corpo inerte. Con tremore e timore furiosamente adempie l’atto onanistico, compulsivamente autoerotico. Prostrato dinanzi al corpo materno come in una blasfema preghiera, in un’atto selvaggio di masturbazione, come in un rituale disperato. Sakròs: immolato e rivolto tam diabolo quam sacro.
Ma Mère, con gesto impropriamente scandalizzato, fu rifiutato dal Festival di Cannes. Tra tutti i rari film sulla tematica dell’incesto è il più assonante, il più esplicito, il meglio interpretato, il più inquietante, ispirato dalla prestigiosa fonte letteraria. Narrazione tanto verace quanto ‘immaginata’ del rapporto carnale consumato tra una madre e il proprio figlio:
Solo il linguaggio tenero, e sempre tragico, di mia madre era all’altezza di un dramma, di un mistero non meno accecante di Dio stesso. Mi sembrava che la mostruosa impurità di mia madre, e la mia, sfidassero il cielo, simili a Dio. Come solo le più profonde tenebre sono simili alla luce.
