LE BEAUX JOURS D’ARANJUEZ di Wim Wenders
Il giardino dei sentieri che si biforcano
di Bruno Roberti
Sono tragitti di incarnazione in prossimità e in lontananza quelli dei Beaux Jours di Wenders che dalle strade vuote della Parigi lumieriana fatta solo di luce danno luogo ai corpi-anime di una scena originaria laggiù, ce jour las, a mezzaestate, nella dimora perduta e ritrovata di Sarah Bernhard. Una folata di vento apre la finestra, fa muovere le altalene della partie de campagne, introduce il gran dio Pan come in Pic Nic alla francese, allestisce le affinità elettive come già nel Falso Movimento dove Mignon passeggiava sul filo di luce e sussurrava “Conosci il paese dove fioriscono i limoni”. Un giardiniere in lontananza, come il corpo levatosi dal sepolcro dischiuso sotto gli occhi della Maddalena, del Noli Me Tangere, nome anche di un fiore panspermico che si spande nell’aria, scrive e taglia le aiuole come fotogrammi aperti, mentre quelle parole che lo stesso Handke giardiniere deposita sul set-tavola di montaggio che dalla miniatura dove è posata la mela di Cezanne, si espandono e si innalzano sui picchi dei frame, dei pixel, dei tratti disegnati dalle veute cezanniane, disponendo la visione labirintica in cui la felicità sembra non avere tempo e distendersi nei luoghi che nous appartiens, inerpicandosi e inoltrandosi in un territorio sconosciuto e sorprendente, che viene percorso ancora laddove si perdono e si ritrovano i passi percorsi già da Rivette e Ruiz. E l’altalena ci fa venire incontro quel femminino ninfico e primigenio, quell’origine du monde, che si chiamava e ancora si chiama, come per Nerval e per Renoir, Sylvia. Giardini di Ermeninville, di Aranjouez, dimore dei lavoratori regali, dove il “lavoro” è il desiderio e l’incarnazione della materia: Unio Chymica, combaciare e danzare nel cerchii fatato delle streghe, lavorare la luce generata da se stessa dalle tenebre, come suona il titolo di un trattato alchemico. Lavoro d’amore. Giardini del cinema perduto e ritrovato, che si biforcano e si fondono dandoci un posto nel mondo insieme, entrando nello schermo aperto del palazzo chiuso del Re, e della Regina.