L’arte memoria per domani in alchimia con la scienza
L’arte memoria per domani in alchimia con la scienza
di Anna Imponente
Nel rapporto tra arte e scienza, con la generosa ubiquità della prima ad allinearsi alle frequenze dell’altra, resiste una profonda dicotomia. Il modello sistematico del mondo scientifico è un continuum spazio temporale carico di futuro che segue la freccia del tempo verso l’ignoto. L’universo invecchia in direzione irreversibile con una corsa coinvolgente, e la ricerca metodica, razionale è rivolta a fenomeni che relegano le acquisizioni fatte tra le scoperte obsolete.
L’Inestinguibile moto non lineare dell’arte attinge vitalità nella storia e nel passato individuale. Le intuizioni del futuro sono attimi da preservare di cui a ritroso, ci si rende conto. Frammenti di passato intrisi di significato, istanti sottratti all’oblio con l’esercizio della memoria su cui l’immaginazione modifica la propria struttura. Guardare indietro è una condizione per rinnovare la visione artistica, immergersi nel tempo vissuto con lo scatto volontario di un tuffo nella vertigine dei ricordi, per aggirare l’inerzia e l’oppressione del presente, realtà insufficiente a colmare i desideri.
Affiorano felicità remote e accantonati in un angolo i traumi. Ci immunizziamo con l’arte, il cinema, la letteratura, i versi poetici, che soccorrono con l’anestetico della bellezza, il velo di parole pietose, di cromie armoniche o paradossali. Quando gli intenti e le capacità espressive coincidono, la creatività può raggiungere vertici estatici.
Per carpire i segreti delle forze oscure nella natura, al passo con il fluire del tempo, eliminando le barriere che annebbiano la conoscenza, l’ansia può sprigionare adrenalina più forte del pericolo e ostinazione vagamente infantili. Nel film-verità Fire of love, di Sara Dosa, uscito alla fine di un agosto riarso, il tema del coraggio estremo nella sfida alle montagne ostili, si carica di travolgente tensione romantica.
Il montaggio serrato ricuce la trama di filmati originali girati dai protagonisti, una coppia di vulcanologi francesi che aveva familiarizzato con i vulcani iconici italiani e, tra gli anni settanta e ottanta, in una missione titanica, con le catastrofiche esplosioni dei vulcani attivi sul pianeta. Li anima l’ossessione di una presenza pericolosa, e la comprensione dei dati monitorizzati, grumi di tempo e di nero assoluti nella quiete dopo la tempesta. A partire dal Seicento si sono misurati con il Vesuvio e la sua temibile potenza, generazioni di pittori e vedutisti[1].Le incisioni pubblicate da Athanasius Kircher, gesuita e maestro dagli sconfinati interessi, nel Mundus subterraneus (1665) mostravano l’Etna e il vulcano campano in sezione attraverso l’inaccessibile cono. Per avvicinarsi davvero all’abisso di fuoco e acquisire una dimestichezza radicale con le leggi dell’incandescenza, protocollo di rito è equipaggiarsi di caschi e tute speciali argentate.
L’essenza del film Fire of love sembra racchiusa nella metafora di un procedimento di trasmutazione alchemica, la materia alimentata dal fuoco e la sperimentazione che accresce attraverso l’unione degli opposti. Compimento dell’opera è alla fine la liberazione spirituale di chi l’ha condotta. Nelle vicende documentate, l’esperienza del fuoco è intervallata dal guado di un lago dall’acqua corrosiva, mentre la passione incondizionata per la conoscenza è doppiamente legata dal “fuoco d’amore” e la protagonista è un’esperta in chimica, che ha sostituito l’alchimia. Le riprese regalano visioni spettrali strappate sull’orlo delle voragini, tra gigantesche fontane di lapilli e pietre ardenti verso cui, in controluce, si addentra la snella silhouette femminile. Con una classificazione approssimativa, il segnale di pericolo è indicato dal colore rigurgitato dalle bocche del vulcano. Se divampa il rosso, concederà tregua e salvezza, mentre la nube gassosa grigia sarà fumo temibile distruttivo, come i dragoni mostruosi della visionarietà pittorica cinese. Nel contatto con la natura intima del fiume rosso magmatico, la coppia di vulcanologi gioca con la fragilità dei corpi. Senza balsami per la paura, delusi da una civiltà estranea da cui dipendono per pubblicizzare al ritorno, i resoconti dei viaggi.
Questo film è un report dall’apocalisse, la visione allucinata di masse colorate crepitanti fosforescenza ipnotica. Il tentativo di superare con ardimento i limiti umani, emulato nelle leggendarie spedizioni filmiche di Werner Herzog, cede alle incognite del caso.
Il discorso su un’esistenza poetica preannuncia l’epilogo dello struggente duello contro la morte. Un mito epico si consumerà in un’esplosione di grigio cenere filmata dinanzi a un monte del Giappone e quella dei loro corpi sarà accolta lì in un tempio.
La bellezza, per certi aspetti, sublime di Fire of love sta nella saldatura tra verità scientifica e parabola vitale che nonostante la tragica caduta, porta ancora una volta sempre più avanti, la sfida all’eternità degli dei.

[1] Vesuvio quotidiano Vesuvio universale, Museo della Certosa di San Martino, Napoli, 2019, mostra e catalogo (ed. Arte’m, Napoli) a cura di Anna Imponente