L’AQUARIUM ET LA NATION di Jean Marie Straub
UN FILM FILOSOFICO
Alessandro Cappabianca
Un acquario, in cui nuotano pesci rossi, a lungo inquadrati a macchina fissa da Jean-Marie Straub: non si direbbe, ma forse non c’è miglior metafora filmica dello spazio umano d’esistenza, malgrado che i pesci sembrino non aver memoria, percorrano infinite volte il tacito regno del loro acquario, ripetano gli stessi tragitti, con variazioni infinitesimali, senza scambiarsi messaggi né mostrare varianti nel comportamento. Nuotano, tacciono, intenti solo a un muto respirare. A volte, casualmente, si incrociano, ma un semplice colpo di coda (o di pinne) basta a cambiare direzione. A volte vanno incontro al cristallo delle pareti, da cui passa la luce proveniente dall’esterno, come se intendessero ripetere l’antico gesto inaugurale dell’evoluzione, del pesce che esce dall’acqua, acquisterà stazione verticale ecc. Se il corpo umano, secondo Deleuze, è il prodotto di lenti, concomitanti processi di deterritorializzazione, si può anche dire che il gesto inaugurale della sua esistenza terrena sia consistito nell’abbandono dell’acqua. Ma i pesci dell’acquario filmato da Straub invece tornano indietro, lo farebbero anche se non ci fosse il cristallo a impedire l’uscita.
Dopo il silenzio profondo dell’universo ittico, le parole, i brani tratti da “Les noyers de l’Altenburg” di André Malraux, letti dallo psicanalista (junghiano) Aimé Agnel. Scrittura tormentata, più volte ripresa e modificata dall’autore nel corso degli anni. Agnel legge seduto davanti a un tavolo, sullo sfondo di un’ampia finestra, al di là della quale si scorge un giardino. La luce è simile a quella dell’acquario.
Prima domanda: la nozione d’uomo ha un senso?
Malraux cercava di darsi una risposta ricorrendo allo scenario del dilemma cosmico che gli archeologi hanno prospettato come avvenuto in un tempo immemoriale, anteriore alla nascita delle religioni, e perfino della mitologia.
Invenzione del Doppio. Negazione della morte. Il Doppio sta al cadavere, come lo spirito che sogna sta al corpo addormentato. Ma poi Malraux visita il Museo del Cairo, si imbatte nell’Armadio delle Anime. Nelle tombe, accanto ai corpi mummificati (dei quali si sa che la decomposizione sarà molto più lenta, ma avverrà comunque), ora non si trovano Doppi, ma statuette alate, che non somigliano affatto ai defunti.
Non è facile per un pesce prendere coscienza dell’acquario in cui si trova.
Una voce femminile, dal fuori-campo, interroga Agnel, che a questo punto si alza, avviandosi in direzione della Voce. Subentrano le immagini in bianco e nero della Marsigliese di Renoir. Si parla di liberazione: lasciare la vasca in cui non si sapeva d’essere costretti a nuotare.
Film come elaborazione e commento di concetti filosofici? Non solo elaborazione, non solo commento. Dovremmo riflettere sul fatto che questo si rende possibile con altrettanta efficacia durante una sequenza muta, a macchina fissa, in cui si vedono solo pesci rossi che nuotano, rispetto alle parti consacrate al logos o all’azione drammatica, come se la parte muta, puramente visiva, del film, fosse tanto filosoficamente eloquente quanto le altre. Forse addirittura di più.
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