La fiera delle illusioni di Edmund Goulding
Sogni e fantasmi
di Alessandro Cappabianca
I cosiddetti illusionisti conoscono vari trucchi per “leggere nel pensiero”. Basta concordare un codice abbastanza elastico tra chi riceve le domande scritte dal pubblico e chi deve dare le risposte, basta l’intuito della “veggente” o del “veggente”, per mettere su uno spettacolo capace di sorprendere anche gli scettici.
Le domande del pubblico, cui il codice permette di rispondere, in genere sono futili, ma l’affare è buono. In Nightmare Alley (La fiera delle illusioni, diretto da Edmund Goulding nel 1947, il giovane Stanton ( Tyrone Power), uomo piacente e spregiudicato, non esita a far ubriacare a morte un amico, pur di prendere il suo posto nella coppia che formava con la moglie Zeena (Joan Blondell, la “veggente”).
Nel circo inventato dallo sceneggiatore Furthman, non troviamo tanto ricordi di Freaks, quanto del Liliom di F. Lang (anche se non c’è Artaud) e perfino del Liliom di Borzage. Charles Boyer (in Lang) e Charles Farrell (in Borzage) portano a quattro anni di distanza, secondo le indicazioni del romanzo di Molnar, una quasi identica maglia a strisce orizzontali, mentre quella di Power è bianca, almeno finché non assume l’elegante smoking, segnale del suo grande successo. Il successo, però, è stranamente contraddetto dai tarocchi, le antiche carte che gli zingari importarono dall’Egitto.
Ricordiamo che l’anno prima, nel 1946, Tyrone Power aveva girato con Goulding Il filo del rasoio, dal romanzo di Maugham, in un ruolo di romantico idealista. Tanto più coraggioso, dunque, il tentativo di calarsi nei panni d’un cinico pronto a qualunque bassezza per affermarsi.
Stanton comincia con l’ammorbidire uno sceriffo intransigente, indovinando i suoi problemi familiari. La sua, fama cresce. Cresce al punto di richiamare l’attenzione d’una psicologa di pochi scrupoli, con la quale si forma un’altra coppia truffaldina – ma qui i nodi vengono al pettine: vecchie signore gli chiedono se rivedranno mai la loro figlia o il loro figlio morto, e Stanton le rassicura in proposito, recando loro un grande conforto. E’ la comunicazione con i morti a rivelarsi l’ultima frontiera dello spiritismo, ma i morti non si lasciano impunemente evocare, devastano poco a poco la psiche di colui che pretenderebbe di condurre il gioco. Perfino il procuratore distrettuale prima apre un’inchiesta su Stanton, poi si lascia convincere dalla promessa di rivedere la ragazza che amava, morta trentacinque anni prima.
Occorre mettere in scena l’apparizione della ragazza. Il fantasma, in un bosco di notte, è impersonato da Molly, una donna che a Stanton ha sempre voluto bene. Il procuratore si getta in ginocchio, vorrebbe avvicinarsi, Stanton lo trattiene, ma Molly non riesce a sostenere la farsa e svela il trucco.
Stanton deve fuggire, inseguito dai suoi stessi fantasmi, degradato e ridotto a fare il “fenomeno” (uomo selvaggio) nel circo, finché un lieto fine imposto dalla produzione ne prospetterà la redenzione tra le braccia di Molly.
Ma Goulding e Furthman sapevano in realtà che i morti non perdonano, che il regno dei fantasmi non si lascia mai impunemente evocare. “Dormire, forse sognare. Si, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possono intervenire?”.