Kinèma e Cinema
Trecento anni di Cinema. Mille e mille di Kinèma
di Francesco Salina
Kinèma-tos significa movimento. Le immagini luccicano sotto le stelle, per gli spettatori incantati serena è la notte. Mille anni fa, tesorizzate nella memoria, nel teatro delle ombre di Giava, alla tenue luce di una lampada a olio, il dalang, l’animatore-narratore proiettava immagini in movimento nelle strade, nelle piazze popolari e nei palazzi nobiliari per la delizia di poveri e ricchi. Dal tramonto fino all’alba, nei giorni di festa, sui muri scalcinati dei borghi e su una bianca parete dei palazzi ombre nere e tremule si succedevano, illustravano figure dell’epica, delle leggende dell’Isola e della mitologia indonesiana. Re su troni d’oro incastonati di diamanti, grandi dame di corte, amori contesi, guerre cruente, eroi valorosi, duelli all’ultimo sangue, castelli fatati, fortezze assediate, dèi benevoli e orchi malvagi
Come una matrioska l’una nell’altra all’infinito, come en abyme figure riflesse su due specchi che si fronteggiano, come in uno specchio a due vie che da un lato rifrange e dall’altro traspare, ogni buon film si rivolge agli spettatori e unitamente a tutto il cinema. A tutto il futuribile, a tutto il già avvenuto. Così come il primo filmato della storia del cinema contiene e si rivolge a trecento anni di immagini-movimento. Da migliaia di anni le immagini raccontano, visionano e animano ancora storie mirabolanti e storie vere.
Nelle ombre cinesi, alla luce di una candela, sulla parete si configurano un lupo, un cervo, un coniglio, una capretta, un cigno, un orsetto, un gallo, un cammello, un elefante. Muovente e mosso, la mano dell’animatore non si nasconde, appare in campo. Le ombre cinesi non celano il trucco, le abili dita del proiezionista si mostrano. Non c’è trucco nelle ombre cinesi. La mano in campo fa parte del gioco
Qualcuno iniziò a dipingere forse prima che ciascuno iniziasse a sognare. Trentacinquemila anni fa un uomo preistorico dipinse le pareti e le volte di una caverna sotterranea nel sud de l’Ardèche, regione Rodano-Alpi della Francia. Dipinse a colori le sale della caverna Chauvet. Lasciò la propria firma, l’impronta della mano in vari punti dell’opera. Dipinse mammouth, grandi orsi, rinoceronti, leoni, figure umane stilizzate. Il cranio di un orso posato su di un blocco di pietra è al centro di una delle sale della caverna, al suolo centinaia di ossa di animali. La caverna, fu scoperta il 18 dicembre 1994 da tre amici speleologi, Jean-Marie Chauvet, Eliette Brunel Deschamps e Christian Hillaire. Avevano scoperto una delle più straordinarie caverne dipinte del mondo, inviolata da migliaia di anni. La scoperta stupì e inquietò. Speleologi e curiosi da ovunque accorsero a visionare la maestria di uomini della preistoria.
Nelle cerimonie collettive e rituali quel popolo celebrava e sacrificava alle proprie divinità. I sacerdoti officianti impugnavano e agitavano torce di legno illuminando le immagini e l’oscurità della caverna, le sue sale e le numerose gallerie sotterranee. Le fiamme tremule delle torce muovevano, animavano quell’universo di immagini colorate. Cavalli, criniere al vento, si profilano l’uno all’altro accostati galoppano mossi dalla fiamma serpentina delle torce. Grande, sorprendente cinematografo, trentacinquemila anni prima della sua invenzione. A un cineasta è stato concesso di accedere alle sale della caverna Chauvet con una équipe, Werner Herzog ha filmato Cave of Forgotten Dreams nel 2010
Agli albori dell’umanità tribù cavernicole possedevano già una propria arcaica, efficiente tecnologia. La caverna di Lascaux, ‘la Cappella Sistina del paleolitico’, fu dipinta diciottomila anni fa e scoperta il diciotto settembre del 1940 nella Francia sud-occidentale. Due sale, una ricca iconografia parietale. Duemila figure, molti cavalli, bisonti, cervi, uri, stambecchi, alcuni felini, orsi, rinoceronti, uccelli. L’uomo è rappresentato una sola volta. In una sala c’è un pozzo profondo quattro metri, ‘Il pozzo dell’uomo morto’ è nominato. In fondo c’é un dipinto murale, raffigura un animale, giace in terra trafitto da una lancia. Accanto a lui, in figura stilizzata, un uomo disteso con le braccia allargate, il pene in erezione, uccidere eccita, ma l’uomo è senza vita. Al centro del dipinto un bastone sciamanico con in cima un uccello simbolico
La scena intende significare che quando l’ultimo animale verrà ucciso anche la specie umana si estinguerà. Preveggenza dell’umanità paleolitica, tanto lontana nel tempo e tuttavia così magnificamente vicina. Dalle prime immagini proiettate e semoventi fino al cinema confezionato dagli ingegneri informatici, fino al digitale, ancora cinema, ma non più ‘film’. La pellicola di celluloide è infiammabile, va in fumo e brucia. Ma il cinematografo, in certa parte, fiammeggia ancora. Ombre sui muri antichi scalcinati e sugli schermi attuali, bianchi, tesi e distesi nelle sale e multisale. Ancora ombre. Ombre vane e ombre essenziali. Dalla prima silhouette di una fanciulla animata su di un muro dalla fiammella incerta di una candela, fino a Muybridge, a Etienne-Jules Marey, fino a Georges Méliès e Alice Guy alla fine dell’Ottocento. Dal 1895 ci furono anche gli anni che conobbero le tensioni tra il geniale Emile Reynaud e il Museo Grevin; la rottura tra Charles Pathé e il suo brillante e dimenticato ideatore l’ingegnere Henri Joly; il tira e molla tra Léon Gaumont e Georges Demeny; i tradimenti di Dickinson nei confronti del suo patrono Edison.
Dalla camera oscura al digitale il cinema ha trecento anni, ma senza più cineprese, senza riprese, senza incollaggi né montaggio classico. Altro cinema. Altro linguaggio. Lungo il corso del tempo immagini-movimento: camera oscura, uno specchio, un prisma, anamorfosi, scatola ottica, lanterna magica, lanterna di proiezione, scatola per le vedute in prospettiva, coreoscopio a bande, cinematografo