In memoria di Paul Vecchiali (1930-2023) e di un suo corto dimenticato
di Sergio Arecco
Una qualche idea di controversia prende avvio fin dal titolo. In una recente presentazione del corto Masculins singuliers (episodio di L’Archipel des amours, 1981-1983, 7’, colore) curata dallo stesso Paul Vecchiali si legge senza fallo Masculin singulier, il singolare di Masculins singuliers, quando invece il cartello con il titolo originale recita Masculins singuliers. Dove il… cartello non è che un dettato eufemistico, trattandosi di una produzione a basso costo che si affida a tecniche di titolazione assai improvvisate, tecniche che fanno anzi dell’improvvisazione la ragion necessaria e sufficiente della tessitura del film a episodi (a sua volta intenzionalmente secondario, firmato da registi di seconda fila, o non-registi, come Cécile Clairval, Jacques Davila, Michel Delahaye, Jacques Frenais, Gérard Frot-Coutaz, Marie-Claude Treilhou, salvo Vecchiali, Jean-Claude Biette [Pornocopie] e Jean-Claude Guiguet [La Visiteuse]). Nel caso di Vecchiali, il titolo Masculins singuliers scritto con il pennarello rosso sullo sfondo di fogli di giornale calpestati, strappati e poco leggibili, recanti, per quanto è possibile scorgere, foto di Giscard d’Estaing, Jacques Chirac e Georges Marchais (per la par condicio) – nonché nome e cognome dei due attori protagonisti, per usare anche qui un dettato eufemistico, consideratane la funzione meramente partecipativa a uno stato passeggero, a un peculiare modo di atteggiarsi, a una posa studiata dal regista per orchestrare una situazione virtuale, una vera teoria del simulacro: Jean-Christophe Bauvet e Jean-Louis Rolland, i cui nomi eleggeremo a eponimi. E compare nella forma… conforme all’originale, benché, fin dal 1981-1983, essa lasci presagire evidenti controversie interiori, titubanze più o meno inconsce evidentemente affiorate ex post nel Vecchiali del 2009 (l’anno della nuova presentazione della pellicola). Masculins singuliers è infatti formula coerentissima con lo spirito del corto, ma non poco spiazzante nella sua contraddizione in termini. Perché maschile singolare si spiega, ma maschili singolari si spiega assai meno, se non appunto con lo sdoppiamento della figura maschile che il film postula come indispensabile premessa alla sua fenomenologia dell’omosessualità fetish e outrée.
Una volta identificato, nella prima sequenza in strada, il travesti Jean-Christophe dal gesto di richiamo a un Jean-Louis provvisto di macchina e anche di voce – mentre Jean-Christophe ne sembra sprovvisto, forse perché Vecchiali, mostrandocelo tutt’al più come un trans, intende riservarsi e riservarci un certo margine di dubbio, e di relativa sorpresa, in vista dei minuti che verranno –, il gioco è già fatto. Il gioco erotico, il gioco di ruolo e il gioco del set adibito alla conversione mélo (Vecchiali è uno dei maggiori rivisitatori del mélopiù trash, sicuramente pari a Fassbinder, quantomeno tra i cineasti visibili in sala) dei sessi e delle identità – del maschile singolare nei maschili singolari –, ovvero all’omologazione di un maschile in veste femminile a un femminile in veste maschile dentro un codice genetico del tutto indifferenziato. Siamo in presenza della prima postulazione in assoluto, nel cinema moderno, del genere come individuo – nel senso etimologico di singolarità indivisibile e quindi incontestabile nelle sue diversità.
Per cui la vera controversia di Masculins singuliers sta solo nel suo esteriorizzare, per lo spettatore di un corto di per sé programmatico, scandito secondo le regole di un cerimoniale ostentato, i generi al plurale come indice di un’impostura di fondo, chiamata per convenzione a far da copertura alla pratica del diverso nell’uguale. Lo scenario fetish contempla il conflitto omosessuale nella sua espressione teatralmente e fintamente più cruenta e più invertita: un aitante Jean-Louis prima picchiato a sangue da un molle Jean-Christophe ancora a fortiori travestito, e poi amorevolmente accudito una volta che, nell’esagitazione della recita, Jean-Christophe si è liberato della parrucca da donna e si è messo a nudo, con i genitali maschili singolari/plurali penduli come quelli di Jean-Louis, e più solo il rossetto sulle labbra quale residuo simulacro della pornocopia ormai in via di estinzione. E in ogni caso non contempla, quantomeno nella variante circense di Vecchiali – la stanza dove si consuma il rito è più set che mai, più arena che mai, più piattaforma che mai –, il sadomaso, risoluzione troppo volgare per un corps à cœur (il lungo omonimo di Vecchiali è del 1979) di purissima natura intellettuale.