Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti
Come la tragedia si muta in commedia. Il sol dell’avvenire.
di Alessandro Cappabianca
Un passato ricco di tragedie, di grandi occasioni perdute: così semplicemente si può definire la storia. Quando l’Unione Sovietica invade l’Ungheria, per stroncare la rivolta di operai e studenti contro il regime stalinista, la posizione del PCI di Togliatti resta ambigua, ma sostanzialmente allineata al conformismo sovietico. Si grida alla controrivoluzione, si invoca la necessità’ di mantenere una solidarietà granitica di fronte al capitalismo occidentale, che già gongola al pensiero del disfacimento dell’impero opposto.
Il circo ungherese, chiamato a Roma dalla sezione Quarticciolo del PCI, diretta da Ennio Mastrogiovanni (Silvio Orlando), si aspetta solidarietà dai compagni italiani, ma nella storia l’attesa è andata delusa. Come fa allora la tragedia della storia a ribaltarsi in commedia? Giovanni (Nanni Moretti) non avrebbe dubbi. Strappa dai manifesti appesi nei locali della sezione la foto di Stalin, che è un dittatore. Anche Vera la moglie di Ennio, protagonista del suo film (Barbara Bobulova) sostiene il fronte ribelle, quello della solidarietà con i ribelli ungheresi – ma il partito non accetta trasgressioni. Quanto a Paola (Margherita Buy), moglie (in crisi) di Giovanni, frequenta uno psicanalista. Sta producendo il film di suo marito, col sostegno economico di Pierre (Mathieu Amalric), col quale Giovanni ha un buon rapporto. Girano per Roma, in monopattino, per i sopralluoghi, alla ricerca di qualcosa che somigli il più possibile alla Budapest anni venti. Ma l’apporto finanziario di Pierre viene meno.
Oltre quello di suo marito, Paola sta producendo un altro film, diretto da un certo Giuseppe, regista di vedute limitate. Giovanni lo accusa di amare la violenza in sé. Giuseppe ribatte citando i tragici greci, Shakespeare e altri classici. Nell’ultimo ciak del film, sta per avvenire un’esecuzione. Un uomo punta la pistola contro un altro, che gli sta davanti inginocchiato. Sta per sparargli. Giovanni si intromette, fa sospendere la scena.
Cos’è la violenza? Per spiegarsi, Giovanni cita una scena di Kieslowski, da “Non uccidere”. Un giovane tenta di strangolare un tassista, ma quello non muore. Allora lo colpisce con un bastone di ferro, ma quello non muore. Infine gli copre il viso con una coperta e gli schiaccia la testa con un grosso macigno. La sequenza dura sette minuti, e noi non vediamo l’ora che finisca. L’estrema violenza genera disgusto per la violenza. Quella che Giuseppe sta mettendo in scena è solo una comune esecuzione. Tutto si blocca. Arrivano inservienti con i cornetti. Giovanni è goloso, soprattutto di gelato (in altri film, lo era di Nutella). Il film che ha in mente è un film musicale, con molte belle canzoni italiane. Ha presente la scena finale, in cui il protagonista (lui stesso) prepara un nodo scorsoio per impiccarsi – ma ci ripensa. La commedia morettiana riprende i suoi diritti. Via l’impiccagione. Via il cappio. Meglio danzare, ballare per le strade, portando come emblema una gigantografia di Trotski. Solo un PCI immaginario fa bella figura nella storia.