L’uomo senza cappello
di Alessandro Cappabianca
Il signore delle formiche di Gianni Amelio
Gianni Amelio sembra ormai essersi assunto il compito di registrare tutte le contraddizioni, le storture, i ritardi, della storia e del costume italiano. Non è certo colpa sua se nel ruolo d’imputato, da questo punto di vista, si trova spesso il Partito Comunista Italiano, ma certo c’è modo e modo: un conto è difendere Craxi, un conto difendere Braibanti. La difesa di quest’ultimo coinvolge il Partito Radicale, tanto che qui appare, sia pure per un momento, Emma Bonino col capo fasciato dal turbante per la malattia insorta molto dopo le vicende narrate nel film: anacronismo strano, ma voluto.
Braibanti (Luigi Lo Cascio) era professore, massimo esperto della vita (dell’organizzazione sociale) delle formiche, iscritto al Partito Comunista, accusato del reato inesistente di plagio, per colpire il suo legame d’amore con il giovane allievo Ettore Tagliaferri. Costui sarà “curato” dalla famiglia, dal padre, dalla madre, dal fratello, e sottoposto ad elettroshock e altri trattamenti violenti, ma non ammetterà mai, davanti al tribunale, d’essere stato costretto da Braibanti a comportarsi come si era comportato. Rivendica il suo amore anche davanti al fratello, come lo rivendica il professore. Questi si era chiuso dapprima nel mutismo, voltava le spalle al giudice, poi consente a parlare, a spiegare l’inspiegabile. Il tribunale non capisce, non è letteralmente in grado di capire – ma non lo è neppure il Partito Comunista, che non se la sente di fare una battaglia in difesa di un “invertito”. “Le battaglie si fanno per il Vietman”, urla un dirigente, irritato per la mobilitazione dei pochi sostenitori di Braibanti.
E’ a questo punto che interviene il personaggio di Scribani (Elio Germano), giornalista indipendente, anche se con la tessera di partito (comunista), disposto a condurre una battaglia personale contro quella che ritiene una vera e propria ingiustizia. Scribani porta sempre il cappello, come un protagonista godardiano. Si riserva di toglierlo semmai il tribunale giudicante lo meritasse, ma subito si rende conto che non è il caso. Il tribunale è prevenuto, ma, quel che è peggio, a essere prevenuto è il partito stesso cui appartiene, dal quale alla fine viene espulso. Tiene il cappello, allora, ma rovescia la macchina da scrivere sulla quale sta lavorando, nascondendo il viso dietro i tasti.
Quel cappello deve avere proprietà magiche, visto che permette la continuazione degli incontri tra Ettore e Braibanti (per quanto fugaci), anche durante la detenzione di quest’ultimo, fino all’inevitabile scarcerazione in appello. Il suo potere, peraltro limitato all’amore, non può impedire la morte della madre di Braibanti. Non può impedire che il suo cuore si fermi, nella solitudine, alla lettura della sentenza. E’ come se una vita, un amore, fosse comunque da pagare con un altro, che invece conduce dalle parti della morte.
Non rimane che un’ipotesi: è troppo ardito pensare che se Scribani è l’uomo col cappello, Amelio è ormai l’uomo senza cappello, l’uomo che ama perdutamente, e non lo nasconde più?
