Il GGG – Il grande gigante gentile di Steven Spielberg
L’acchiappasogni
di Michele Moccia
Raccontami una fiaba. Un sogno e il suo desiderio. Il desiderio di far scivolare nel tempo, finito, il mondo, infinito, delle ombre. Il sogno desiderato di quella fiaba di ombre colorate che è già da sempre il cinema. Lo stupore del riflesso di un’immagine, imago, e del suo infinito proiettarsi nella memoria di un corpo.
La piccola Sofia di Steven Spielberg è, come la ninfa delle acque di Manoj Night Shyamalan, un’ombra che si fa corpo e permette di rivederci tessuti nell’incavo di un sogno, di una fiaba, di un altro mondo. E quello di Sofia ne Il GGG – Il grande gigante gentile, come anche quello di Story in Lady in the Water, è un sogno fatto di materia, una “immaginazione materiale” come scrive Gaston Bachelard. Un sogno fatto di terre e di acque, di luoghi all’apparenza ostili; Sofia è trasportata dal grande gigante dal dormitorio dell’orfanotrofio, nella profondità della notte e del sonno, alla sua grotta: “La grotta è, infatti, un rifugio che viene sognato in continuazione, essa dà un senso immediato al sogno di un riposo protetto, tranquillo. Il sognatore che è penetrato nella caverna, dopo aver superato il primo livello di soglia del mistero e della paura, sente che potrebbe vivere in questo luogo”, scrive sempre Gaston Bachelard ne La Terre et les rêveries du repos (La terra e il riposo), e l’antro, la grotta del gigante diventa per Sofia, dopo l’iniziale timore, non solo ospitale ma anche un luogo di protezione, in essa può nascondersi dai giganti mangiatori di uomini.
Con Il grande gigante gentile Steven Spielberg ritorna alla fiaba entrando nell’intimità dei sentimenti e lo fa con leggerezza poetica e filosofica, rendendo come sempre la materia filmata immaginifica e metaforica: “La grotta accoglie quindi i sogni sempre più terrestri. Dimorare nella grotta significa cominciare una meditazione terrestre, significa partecipare alla vita della terra nel seno stesso della Terra madre” (ancora Bachelard). La grotta del gigante accoglie l’orfanella come un ventre materno prima di donarle/donarla a una nuova vita. È in essa che il gigante conserva i sogni che raccoglie ed è da essa che parte alla loro ricerca.
Steven Spielberg, come il suo gigante buono, è un acchiappasogni che con piglio affabulatorio e da malinconico incantatore canta l’orfanezza del sognare. Un sognare, e il suo racconto fiabesco, affidato ai bambini, come da sempre nel suo cinema, e per questo di intensa potenza materica: “La rêverie nel bambino è una rêverie materialista” (Bachelard).
Quello di Spielberg è un altro meraviglioso tuffo nella concretezza materica delle immagini, proprio come il tuffo di Sofia nel lago dei sogni, e nel film insieme alla terra con i suoi rocciosi anfratti, c’è l’acqua in tutta la sua potenza onirica: “La potenza di una goccia d’acqua basta a creare un mondo e a dissolvere la notte. Per sognare la potenza, è sufficiente una goccia immaginata in profondità. L’acqua così dinamizzata è un germe; essa dà alla vita uno slancio inesauribile” sempre Bachelard, L’Eau et les rêves (Psicanalisi delle acque). E in questo, Sofia è la sorella di David, il nuovo burattino Pinocchio, il bimbo androide di A.I. Intelligenza artificiale, che sogna di diventare un bambino in carne e ossa, e come quello di Sofia anche il sogno di David nasceva dalla solitudine e dalla stessa forma materica:
Come away, O human child
To the water and the wild
With a farey, hand in hand
For the world’s more full of weeping
Than you can understand.
A Emanuele e ai suoi mondi