FROM WHAT IS BEFORE di Lav Diaz
Pardo d’oro all’ultimo Festival di Locarno, il capolavoro di Lav Diaz.
From What Is Before
di Daniela Turco
L’intensità della durata, la presenza reiterata e resistente della poesia e dei poeti, come dato strutturale e fondativo del suo cinema, il senso profondo di una natura, non indifferente, campi, boschi, mare, sterpaglia, fiumi, che entrando nel piano, lo dilatano, quasi invadendolo con la loro materiale evidenza, il rumore onnipresente della pioggia battente, monotona e sottile, sempre reale e sempre metaforica, che bagna come un pianto interminabile queste immagini in bianco e nero che senza cercare mai la bellezza, trattengono tuttavia lo splendore del vero, tutto questo intricato materiale organico accompagna il percorso, sempre rallentato, al limite dell’ipnotico, che si compie durante la visione del cinema misterioso e sensibile di Lav Diaz.
Curioso pensare come tanti di questi elementi: poesia, natura, l’uso sistematico di inquadrature lunghe, siano comuni anche al cinema di Straub/Huillet, ma prendano nei film di Lav Diaz un’inclinazione radicalmente differente.
Distanti e tuttavia vicini. In comune una stessa determinazione nell’interrogare la Storia, una stessa passione per lunghi piani-sequenza, dove è la durata stessa a diventarne il soggetto profondo, una stessa critica radicale al mondo capitalista e alle sue merci.
From What Is Before introduce già fin dal titolo un senso di incompiutezza e di sottile indeterminazione; la linea di demarcazione tra un prima e un dopo è data nel film dalla legge marziale introdotta da Marcos nelle Filippine nel 1972, e il film si svolge infatti nei due anni precedenti la militarizzazione del territorio. Nei 338’ minuti della sua durata, è come se nel piccolo barrio situato nella campagna formato da un pugno di baracche abitate da un piccolo gruppo di contadini, a partire dalla dimensione più quotidiana della vita di queste persone, si andasse predisponendo, con tremenda quanto inarrestabile lentezza, giorno dopo giorno, un varco per l’insediarsi della dittatura. Come già Roberto Rossellini anche Lav Diaz lascia libero lo spettatore, senza manipolarlo, ma al contrario concedendogli il tempo necessario per lasciarsi assorbire da lunghe sequenze ipnotiche, sprofondate nel maestoso rigoglio della natura e in una primitiva, brutale bellezza, per poi lasciarlo provare ad annodare i fili, a cercare di riempire i vuoti, gli scarti narrativi, per tentare di immaginare ciò che non si vede, per poter dare un’ interpretazione, infine, al peso – in questo film particolarmente intenso – del fuori campo. Come sempre in un film di Lav Diaz, ciò che si costruisce nel tempo filmico è la traiettoria irregolare di un pensiero in cammino, che affonda le sue radici nella Storia del suo paese, le Filippine, osservata e riattraversata, con i mezzi del cinema per essere infine restituita al suo popolo, come dono amaro di una “memoria di un cataclisma”. È un lavoro difficile perché infinitamente doloroso, compiuto scavando all’indietro, nella materia della memoria, e nel suo disfarsi e ricomporsi; per certi versi, davanti a From What Is Before si ripensa al suo Melancholia (2008), per il senso acuto che trasmette di trovarsi di fronte a un inarrestabile processo di demolizione che si sente al lavoro dentro questa piccola comunità dove la menzogna ha spesso sostituito la verità. Il bambino Hakob crede i propri genitori malati, costretti alla quarantena in un’isola lontana, ma la verità è un’altra, la giovane Itang – interpretata da Hazel Orencio, stella fissa dei film di Diaz – si occupa della sorella Joselina, disabile psichica, cui vengono attribuiti poteri magici e la capacità di guarire le persone, mentre Tony che distilla il vino e il contadino Sito che tiene con sé Hakob nascondono dei segreti. Heding la venditrice ambulante diffonde nel villaggio, merci e menzogne, entrando nelle case e nelle vite di queste persone senza essere quello che sembra.
Si portano offerte ad una roccia creduta sacra, esposta alla violenza del mare. Bruciano alcune capanne, vengono uccise inspiegabilmente delle mucche, nel villaggio cominciano a diffondersi sospetti e paure. Lav Diaz , come un tempo Velasquez, dipinge un mondo triste, un mondo di malattia, Joselina, come già Florentina Hubaldo, e come molte altre delle giovani donne che segnano i suoi film in modo indelebile, si fa portatrice di un’innocenza profanata, dalla malattia e dalla sventura, grande tema già caro a Dostoevskij, un autore molto presente a Diaz, e reinterpretato da lui in chiave metaforica in senso ampio. Come non vedere infatti dietro questi stupri reiterati, compiuti su un’innocenza offesa, un disegno molto più vasto che include il destino di un intero popolo?
La tragedia si compie e Joselina scomparirà per sempre nel mare e dall’inquadratura, insieme alla sorella, in una sequenza che si compone lungo una vera e propria messa in abisso dello sguardo, uno sprofondarsi del punto di vista, come non si vedeva, forse, dal tempo di The River di Jean Renoir.
Quando anche il poeta Horacio muore, nel villaggio entra la dittatura. Martin Heidegger, nel suo commento ad alcune liriche di Holderlin e Rilke scriveva: “I più arrischiati, in quanto cantori della salvezza, sono i poeti nel tempo della povertà”. Sono cioè coloro che praticano l’essenza stessa della poesia, coloro che come Holderlin, come Rilke….come Lav Diaz, sono dei precursori che non si dileguano nell’avvenire, ma provengono da esso.