FIRST COW di Kelly Reichardt
Chi trova un amico trova un tesoro
di Edo Mariani
The bird a nest.
The spider a web.
Humans friendships.
L’uccello un nido.
Il ragno una tela.
Gli esseri umani le amicizie.
È così, citando il poeta della natura William Blake, che comincia l’ultimo film della cineasta americana Kelly Reichardt, ormai al secondo film western dopo il precedente e polveroso Meek’s Cutoff del 2010. Siamo di nuovo in Oregon, nel nord-ovest degli Stati Uniti d’America, ma questa volta nella seconda metà dell’800, o più precisamente nel momento in cui i coloni cominciarono a recintare e privatizzare i territori liberi di quello che era stato fino a quel momento il “selvaggio Far West”. Il western si sgancia anche esteticamente in questo film dai canoni più classici del genere seguendo il filo del romanzo The Half-Life di Jonathan Raymond, autore di molti dei racconti che hanno ispirato i film della regista (Old Joy, Wendy and Lucy) e con la quale ha spesso collaborato per la scrittura delle sceneggiature. In First Cow non ci sono revolver e sceriffi, ma scones al burro e nuovi proprietari terrieri, c’è l’amicizia più genuina tra due lupi solitari che giocano con il destino e con gli altri animali, uno parla con una mucca nel pieno della notte e l’altro si arrampica sugli alberi e fa il verso della civetta. Ci sono i nativi, ormai anch’essi amici dei coloni conquistatori delle loro terre, che si guardano intorno, e rubano a loro volta con gli occhi le fantasticherie e le idee commerciali provenienti dall’Europa.
Questo romantico racconto straordinariamente ordinario è rappresentato in un intimo formato 4:3, lontano dalle ultime proporzioni “iperscope” di altri western contemporanei (tra gli altri The Hateful Eight, The Power of the Dog e The Rider), e forse a suo modo più vicina alla sensibilità di John Ford nei confronti delle tematiche di integrazione degli individui, schierandosi contro ogni forma di pregiudizio sociale e razziale.
Il film di Reichardt è una macchina del tempo, tutto ha inizio dalla fine: una giovane esplorandocon il suo cane un’area desolata e scoscesa trova i resti di due cadaveri risalenti probabilmente a più di cento anni prima, ormai scheletri, rimasti sotterrati e dimenticati, supini, uno accanto all’altro. L’iniziale tuffo nel passato ci riporta istantaneamente tra quelle fronde, lì dove avvenne l’incontro tra i due. Cookie e King Lu sono diversi, ma si trovano, si annusano e si studiano a vicenda, poi a un certo punto si perdono per poi ritrovarsi qualche mese più tardi, in un pretesto che è al limite tra il destino e la leggenda. In particolare, nella scena che suggella la loro amicizia, forse il loro amore, o più semplicemente la loro stretta vicinanza tra creature della stessa specie, King Lu invita Cookie a bere un tè a casa sua. Arrivati, l’ospite si sente un po’ a disagio ma è incuriosito, si guarda intorno e cerca di trovare degli appigli, di trovare l’occasione di conoscere meglio l’altro, di fargli qualche domanda personale. L’altro, il padrone della tana, non esita a prendere iniziative e a invitare Cookie a fare come se fosse a casa propria mentre si occupa di preparare il fuoco. In una poetica e pittorica inquadratura fissa e in campo lungo, Kelly Reichardt ci racconta l’intero universo dei personaggi: fuori dalla porta, sulla destra dello schermo, c’è King Lu intento a tagliare a colpi di accetta alcuni ciocchi di legno, all’interno, sulla sinistra, c’è Cookie, che preso da un senso di leggerezza e di pace comincia a spazzare via le foglie sull’uscio della casetta mentre si accompagna canticchiando sul tempo delle accettate dell’amico. È qui che il catalizzatore temporale del cinema si accende nello spettatore, quando capiamo che quei due corpi mummificati che avevamo scoperto oggi sotto terra, sono l’impronta cinematografica della lotta contro il tempo e la morte, come diceva Bazin definendo il cinema “la mummia del cambiamento”, ma ne rappresentano anche semplicemente le reliquie di una sincera e pura storia d’amicizia di cui siamo ora testimoni. Tutto ciò che vogliamo è continuare a seguirli, immaginando le dolci peripezie che i due attraverseranno e, inevitabilmente, aspettando l’approdo a quel finale che non sarà mai poi così triste, quando i due si uniranno in un sonno eterno.
La mummia-cinema si manifesta sotto forma di un essere vivente, una luce che cammina lentamente verso lo spettatore, “un torrente d’immortalità che si riversa nel nostro oscuro mondo”, prendendo in prestito le parole dal Frankenstein di Mary Shelley. Nel cinema di Reichardt siamo spesso in una posizione d’anticipo, in contropiede al tempo del racconto dove gli incidenti e gli imprevisti (fuori o dentro le immagini) divengono essi stessi il movimento della e nella realtà. L’essenza di questo film dove l’uomo e la natura convivono in armonia, è completamente al servizio di una sorta di ”respirazione cinematografica”, capacità fisiologica del mezzo stesso di catturare le cose del mondo dopo avergli “sparato” (riprendere in inglese “to shoot”) come con il fucile fotografico di Étienne J. Marey, e dopo averle “incollate” e montate insieme in un film, un album di sequenze, come il cacciatore di farfalle.
L’argomento della pericolosa consumazione intensiva di carne animale e delle situazioni estreme a cui sono sottoposti oggi un numero incalcolabile di esseri viventi, viene anticipato da Kelly Reichardt in modo sensibile e pratico, richiamando il pensiero anticapitalista: una mucca produce il latte che può bastare a sfamare soltanto il suo proprietario e la sua famiglia, possedere più mucche fa si che tutto il nutrimento dei diversi animali si trasformi in ricchezza economica (e non più soltanto nutrimento) sempre e solo per chi ne detiene la proprietà. Ma in fin dei conti, la first cow si lascia mungere da chiunque, di giorno come di notte, senza mai concepire il principio del gesto dell’uomo, ma distinguendone forse le intenzioni (d’amicizia o di sfruttamento tra esseri di specie diverse) attraverso l’incontro tre le mani umane e le sue mammelle.
La Terra ospita circa 8 miliardi di persone e circa 1 miliardo e 300 milioni di bovini. I primi, gli affamatissimi esseri umani si dividono tra coloro che mangiano di tutto e coloro che vengono mangiati dalla fame, mentre i secondi sono solo carne da macello, considerando che solo il 3% delle vacche nel mondo sono animali allevati nelle fattorie. In India invece la mucca è sacra. Il paese ne vieta la macellazione, e la venera come “madre universale” vista la sua capacità di donare latte ai suoi cuccioli e a tutti gli altri “figli del popolo”.
First Cow è un film che ci ricorda, ci riporta indietro a un passato in cui gli esseri viventi cercavano di sopravvivere, come lo impone la vita sul pianeta Terra, ma lo facevano convivendo, coesistendo tutti insieme appassionatamente in una sorta di empatia tra creature, in un’amicizia organica e spontanea.