EPIFANIE
di Edoardo Nardi
L’epifania intesa quale forma espressiva, concerne ogni ambito artistico ed in particolare, si articola perfettamente nella formula del frammento. Che si esprima attraverso la forma pittorica, poetica o del brano filmico, l’epifania mantiene inalterata la propria appartenenza tanto alla sfera dell’arte che a quella della vita umana. Ho incontrato recentemente due epifanie. Nel primo caso si tratta di un breve frammento filmato da Terence Davies, sua opera ultima commissionata dal festival di Gent: Passing Time (2023), dedicato alla memoria della sorella. Nel secondo caso, invece, è David Hockney ad animare alcuni suoi dipinti digitali in Remember you cannot look at the sun or death for very long (2020). Nel greco antico il concetto di forma si esprimeva attraverso due parole distinte: Morphé ed Eidos. Nel primo caso si tratta di individuare la forma quale separata dal contenuto, cornice, struttura aperta; nel secondo caso parliamo invece di forma interiore, di qualità, ad esempio di un volto. Trasponendo nel mondo delle immagini tale duplice identità, avremo da un lato immagini derivanti da forme aperte, ovvero da un contenitore vuoto il cui contenuto è determinato dalla mediazione finale, sia essa ad esempio legata alla pubblicità o ad una qualsiasi raffigurazione di potere, laddove tale mediazione indirizza il nostro sguardo ad una finalità predefinita; dall’altro lato osserveremo invece immagini appartenenti alla forma interiore dell’oggetto rappresentato, ovvero il caso in cui il contenuto possieda la forma che lo determina. E’ questo il caso delle epifanie di cui parlavo in precedenza, che costituiscono frammenti nei quali la stessa forma rappresentata, quella di un paesaggio, è condivisa e contenuta nella più profonda identità dell’artista. Il grande cinema dei volti, ad esempio in Rossellini o Bergman, produce continuamente forme della qualità, così come la pittura di Caravaggio o Monet. In Platone le idee costituivano le forme privilegiate della realtà, mentre in Aristotele la forma costituisce l’Entelecheia delle cose, l’atto per cui sono quello che sono e tale permane il concetto definitivo di forma nel pensiero antico, cui Kant, che trasforma la forma in principio ordinatore interno ed allo stesso tempo prodotto dall’esperienza, darà il definitivo volto moderno. Nei nostri due frammenti, il paesaggio è la forma interiore dell’esperienza dei due artisti, la medesima formula espressiva. In entrambi i casi appare evidente come il cinema, che è oggi più che nel passato inevitabilmente anche frammento, scheggia di immagine, costituisca l’arte del tempo. L’artista prende commiato dalla sua opera, se ne allontana una volta compiuta, perché raggiunga tutti coloro che ne comprenderanno immediatamente la forza che incide in un infinito presente. Tornano alla mente le parole di Hegel nella Fenomenologia dello Spirito che riporto nella bella versione del curatore Gianluca Garelli per Einaudi (2008): “Gli uomini potranno anche mettersi a giudicare l’opera, oppure offrirle sacrifici, potranno riporvi la loro coscienza in un qualsiasi modo: comunque sia, se essi, con la cognizione che ne traggono, si pongono al di sopra dell’opera, l’artista sa quanto il suo atto valga di più della loro comprensione e dei loro discorsi; se essi invece si pongono al di sotto dell’opera, riconoscendovi l’essenza che li domina, l’artista sa di essere il padrone di tale essenza”. Ed è il tempo a costituire l’essenza di un’immagine. Passing time rappresenta l’ultima opera di Terence Davies, che la permea della sua voce intensa e malata, nel recitare un suo poema dedicato alla sorella scomparsa. Si tratta di un frammento di appena tre minuti, costituito da un’unica inquadratura della campagna dell’Essex, dove il cineasta viveva e che ricorda il paesaggio dipinto da Rubens dal titolo Veduta di Het Steen la mattina presto (1636), anch’esso situato nei pressi della casa del pittore. Accompagnato dalla musica della compositrice Florencia Di Concilio, Davies legge i propri versi che si perdono nella luce della campagna inglese; il senso della fine di cui il film è testimonianza, si acquieta nella percezione di un istante continuo di movimento, che racchiude l’essenza del cinema. Il tempo passa, ma tutto per noi è movimento del tempo e, dunque, memoria: “ For you are gone and not replaced/but echoes of your lovely self/will bear us through life’s cruel stream” ( Perché tu sei andata e non sostituita/ma echi del tuo amabile sembiante/ci condurranno attraverso la corrente crudele della vita). Nella seconda epifania, complementare, troviamo l’animazione che David Hockney ha realizzato a partire da suoi dipinti digitali. Anche in questo caso siamo immersi nel paesaggio che circonda la tenuta del pittore in Normandia, la Grand Court. Tale animazione è stata proiettata simultaneamente in schermi giganti presenti in varie città tra le quali New York, Tokio, Seoul. Si tratta della riproduzione dell’alba, dai primi raggi di sole dietro alla collina, tratteggiati con enfasi naif, alla luce finale che avvolge ogni cosa ed ingloba il nostro sguardo, ponendoci ancora una volta di fronte ad una forma interiore, Eidos, l’immagine interiore che contiene la propria rappresentazione. Ho trovato particolarmente interessanti i due casi citati soprattutto nei confronti delle immagini narrative, quelle più propriamente cinematografiche. Che ruolo possono svolgere, nell’era digitale, tali epifanie? Che uso possiamo farne se non ci raccontano storie, ma solo frammenti di sguardi o memorie? Ebbene rispondendo di certo in modo approssimativo, direi che ogni forma d’arte, ad un certo punto della propria evoluzione, tende a non raffigurare più il presente e la realtà circostante, ed a richiedere a colui che ne usufruisce, spettatore, lettore o ascoltatore, un impegno supplementare, un ripiegamento interiore, donando allo stesso tempo la libertà di concepire la propria idea di opera. E’ stato così per la pittura, con l’avvento del cubismo, con la dodecafonia nella musica, con le avanguardie letterarie, con la fotografia avanguardista. Probabilmente è arrivato il momento nel quale il cinema, certo arte più giovane, ma incapace di diventare adulta, potrebbe raggiungere la sua piena maturità, che coincida anche con un diverso approccio dello spettatore. Il frammento, sineddoche dell’immagine, può comunicarci simultanemante l’affanno e lo splendore del vivere.