Educação Sentimental
Uno dei film più importanti di quest’anno, qualcosa che rompe col Tabu: “Il cinema non è morto, è solo scomparso” (J. Bressane)
Un articolo di Bruno Roberti su Educação Sentimental di J. Bressane.
Circumpathoscena
di Bruno Roberti
Il cinema è una patologia che dà lo stile, il cinema è un disturbo psichico e fantasmagorico, di cui le immagini sono fantasmi e sintomi, come in questo film. (Julio Bressane)
In Educação Sentimental ancora, come in Filme de amor, ciò che opera Julio Bressane è un gesto “patologico” (“Il cinema è una patologia dello stile, un disturbo psichico e fantasmagorico”), nel senso del Pathos warburghiano, in modo da proiettare e attivare nel presente in atto lo schermo memoriale, in modo da far scorrere apticamente “tra le dita” l’immagine “intoccabile”, l’immagine/Tabu, fotogramma/fotodrama, e insieme “pathosformel”. Si tratta di una riattivazione mnestica e di una evocazione di reviviscenza: imprimere una pulsione alle immagini solidificandone la trasparenza (come nei veli alchemici di marmo del Cristo morto nella Cappella Sansevero). Operazione analoga a quelle di Aby Warburg e di Walter Benjamin: qualcosa “scompare”, e lo “svanimento” è svenimento, sonno ipnotico, incantesimo lunare. Il cinema è solo “scomparso”: la scia di questo scomparire mette in scacco il soggetto ottuso, opaco, stuporoso: Endimione che nel sogno incontra la sua parte lunare e Selene/Luna che se ne invaghisce vedendolo dormire, e fa riemergere in superficie, dalle acque della piscina, dai buchi dei mascherini, dal dischiudersi dei sipari rossi, dalle rotondità opalescenti delle porcellane (il procedimento segreto della creazione della porcellana era alchemico), la trasparenza pura, la “chiarificazione”, l’albedo come suono/luce “argentino” per riemergere dalla nigredo, dal buio dove qualcosa scompare a una luce opalina dove qualcosa, nella sua di sparizione, riappare.
Si tratta di vocali, come nella “alchimia del verbo” di Rimbaud, di “bocche d’ombra” del sogno come in Victor Hugo, dal momento che il “voyage” sentimentale, è un palindromo, oltre che un crittogramma alchemico: (“Aurea, Aureo, la differenza è di una sola lettera“). La “differenza” è appunto la “lettera” vocalica, ciò che manca al suo posto restando evidente e visibilissima (perciostesso invisibile, punto cieco, significante analitico e cieco nel suo vedere/essere visto), come nella “lettera rubata” di Poe, così bene intra-vista da Lacan. È il “sogno del nome” che agisce: Aurea/Aureo non è solo l’oro potabile degli alchimisti (agente e risultanza di trasformazione) ma è anche il lento depositarsi e sparire dell’Aura benjaminiana, la potenza auratica delle immagini è ancora più forte nel movimento della sua sparizione, se a “contemplarla” in questo tragitto, in questa caduta, in questa presa che lascia ed afferra, è il punto incommensurabile di presa. La vocale che circola e si scambia e retroagisce è una “o” , una “a”, ma anche (omessa) una “e” ( aur/e/a) e l’ “educatrice/dea” compita questa tassonomia ermeneutica ed ermetica nei termini del “riso”: il sacro riso degli dei che tutto chiarifica interrompendo e rilanciando il fantasticare opaco di Aureo/Endimione.
La danza di Josie Antello e il suo ripercorrere i nomi dei giovani poeti morti, così come il suo echeggiare il suono che assorbe e dischiude, che rifrange e riecheggia (il tecnico del suono è non a caso Vanilton Vampiro Santos, “nomen omen”, una vanitas vampirica che s-vanisce e capta come il microfono wellesiano che piomba dall’alto) sono l’entrata e l’uscita dell’immagine ninfica, una possessione che è anche una fuga delle immagini, il velo caduto e riafferrato, svolazzante dell’irruzione della dea/ninfa, secondo quanto ci hanno mostrato sia Warburg che Murnau e su cui Julio Bressane, da grande “magicien” lavora alchemicamente. Non soltanto riattinge sciamanicamente il “Cabinet” meraviglioso di uno dei grandi inventori del cinema in età barocca, Padre Athanasius Kircher, e la sua magica Ars Magna Lucis et Umbrae, ma evoca anche l’altro gesuita Mario Bettini, che scrisse nel 1648 Aerarium Philosophiae Mathematicae (e ancora di vocali, astri e numeri si tratta, se “aerarium” può essere trasposto in “aurarium”) e altresì diede il “nome” (in sogno?) al cratere lunare Bettinus nell’area di Bailly.
Tutto allora si mette a risuonare e il fotogramma scorre tra le dita, passa di mano in mano, sogna e si desta ed emette i suoni di “contact” dal cosmo del cinema.
“Una cosa bella è una gioia per sempre:
Si accresce il suo fascino e mai nel nulla
Scomparirà; sempre per noi sarà
Rifugio quieto e sonno pieno di sogni
Dolci, e tranquillo respiro e salvezza
(John Keats “Endimione”)