Crimes of the future di David Cronenberg
Fare di una parte maledetta un’esperienza interiore
di Giovanni Festa
Il mondo è cambiato, ma è difficile capire esattamente come. La città, una megalopoli spopolata e inquinata, è mostrata in esterni solo due volte e quello che vediamo sono pezzi di periferia urbana depressa: un vicolo oscuro, dove una gang si dilania la carne, e un angolo di porto, davanti ad una nave identica a quella di Deserto Rosso di Antonioni, dove un poliziotto e il suo informatore si scambiano segreti e favori.
Una cosa, però, è certa: ad essere cambiati sono i corpi. L’uomo è mutato: è diventato insensibile al dolore ed è immune alle infezioni (si è scoperto capace di ricostruire, in una forma che è sempre offensiva e difensiva insieme, le barriere contro qualsiasi elemento patogeno in grado di minacciarlo). Esiste infatti, come spiega Roberto Esposito, una dicotomia nella dinamica immunitaria: da un lato permette la conservazione della vita e dall’altra è una gabbia dove si perde il senso della propria esistenza. Il senso perduto o pericolante è affannosamente ricercato, nel film, da performer che, in happening violenti, mutilano il proprio corpo. Questi artisti sono le nuove star: il più famoso di tutti è Saul Tenser che, insieme alla sua partner Caprice, ha creato il più estremo degli spettacoli: l’estirpazione chirurgica live dei propri organi interni. Saul è una creatura di frontiera fra la nostra specie e una nuova, soggetta ad una sindrome evolutiva accelerata: è capace di produrre da sé organi senza funzione apparente (il problema del will, del volere, rimane sospeso: è davvero lui a volerlo o si tratta di un’insorgenza spontanea, del tutto fuori controllo?); senza la mutilazione, questi organi in eccesso prolifererebbero all’interno del corpo cavo come una selva cancerosa, uccidendolo. Prendendo in prestito alcune nozioni di Georges Bataille potremmo dire che Saul fa di una parte maledetta (l’organo che estirpa è, per così dire, impreparato all’uso ma non è detto che non ne abbia uno) un’esperienza interiore. Che significa?
La Parte maledetta si riferisce alla possibilità di sottrarre le cose alla schiavitù dell’utile. In un certo senso si tratterebbe di sottrarre l’organo dal proprio corpo non perché inutile (e potenzialmente dannoso e letale) ma proprio perché, avendo una funzione possibile (ma non ancora verificata), virtuale, va restituito al suo uso essenzialmente improduttivo (e, quindi artistico, poetico). Saul sa che dietro il principio dell’utile il male si realizza nella dépense, nella dissipazione più radicale, non (semplicemente) di un bene o di uno status: a entrare in quella regione pericolosa, tangente alla morte, dove vengono liberate forze distruttive, è il soggetto stesso, il suo spazio interno, essendo la meta dell’umanità essenzialmente improduttiva. In un certo senso, Saul si “mette in comune”: facendo dono di una parte di sé rinuncia all’integrità della sua sostanza (e, nello stesso tempo, vuole recuperarla), in un processo di apertura dell’altro da sé.
Ma questo “sacrificio” completamente desacralizzato di una parte di sé che permette di accedere all’intimità (allo spazio dell’inner) è anche, sempre, il sacrificio di un sapere (nel caso di Caprice, un sapere medico: era un chirurgo): è il non sapere che permette di accedere all’esperienza interiore che, come spiega l’autore di una Storia dell’occhio (ossia la storia di un organo), non rivela nulla, è la messa in questione nella febbre e nell’angoscia, di ciò che l’uomo sa sul fatto di essere.
Il paesaggio interiore di Saul muta continuamente e gli provoca sofferenza. Ha difficoltà respiratorie ed è incapace di mangiare e dormire normalmente e per questo utilizza manufatti biomorfi fornitogli da una multinazionale. Si muove come un monaco medioevale o un appestato: Cronenberg vuole forse suggerirci che questa comunità del futuro impegnata ad emanciparsi da timore e autorità e ad affermare la propria autonomia schizofrenica e tecnomorfa conserva, nello stesso tempo, una radice preilluminista, millenarista legata al crime, al crimine inteso non solo, allora, come atto individuale ma come sterminato orizzonte della colpa? Saul sembra una creatura di un altro tempo che condivide con il Vaughan di Crash la sinistra coazione a ripetere e lo spingersi programmaticamente oltre ogni limite, con il Dennis Cleg di Spider il vagabondaggio rizomatico e la perlustrazione di luoghi nascosti di sé (inner è, di nuovo, la parola esatta, perché riunisce significati come “intimo”, “interno”, “profondo”), con il Max Renn di Videodrome il corpo ipertroficamente “aperto” e la rinuncia alla “carne” e, come l’Eric Packer di Cosmopolis, interagisce con una macchina polimorfa che, come vedremo, è insieme letto dove si gode, bara dove si giace e luogo di un’operazione di scrutinio dell’interno (moltiplicato da schermi e visori).
Le performance avvengono in vaste sale sotterranee di cemento, probabilmente clandestine (come quelle del Fight club di Fincher, solo che qui il corpo a corpo è con se stessi) e viene registrata da centinaia di telefonini (e quindi, poi, moltiplicata nella rete; è attraverso lo schermo che lo spettatore della performance consuma il mondo). Lo spettacolo (la performance) sembra si sia impossessata di tutti gli aspetti della vita sociale (tutti sono performer, dirà il capo dell’archivio a Saul e Caprice) e la nuova umanità di frontiera intende il corpo come mezzo di esplorazione e creazione.
C’è una frase di Camus che torna alla mente davanti a queste immagini: “per essere, l’uomo deve rivoltarsi. Mi rivolto, dunque sono”. Saul è il performer che rivolta se stesso, mettendo in mostra il suo paesaggio interiore di organi e viscere. Corpo della frontiera, quello di Saul è anche un corpo in rivolta, di cui condivide innanzitutto il carattere di effrazione provvisoria congiunta ad una responsabilità personale, e ad un rischio immediato.
Nello stesso tempo, Saul e Caprice realizzano l’utopia di un corpo soggettile (è il poliziotto a suggerirlo: l’uomo è, insieme, la tavolozza e la tela della donna): secondo Derrida (che sta scrivendo su Artaud – il teatro dell’inner space è, anche, un teatro della Peste? -), il soggettile, designa un supporto e ciò che, nello stesso tempo, è steso sotto (proprio come Saul) come una sostanza, un succube, una specie di pelle porosa ma è anche getto, proiettile, ossia l’operazione stessa. Il soggettile è, allora, nello stesso tempo, il corpo del performer e il giaciglio, il letto, la tomba, ossia il luogo dove egli giace e il ricettacolo dove si stende e dal quale dipartono gli utensili guidati a distanza da Caprice e che sono l’estensione, letterale, delle sue mani, in uno sviluppo ipertrofico del tatto della donna. Fin dai primordi, l’uso di uno strumento presuppone una intenzionalità tecnologica, essi vengono fabbricati per una funzione che non era prevista nella struttura del corpo umano. Attraverso lo strumento, come dice Freud, l’uomo perfeziona i suoi organi motori e sensori e sposta i limiti del suo funzionamento. Per Bataille il perfezionamento dell’utensile possiede gli stessi caratteri di Cronenberg: arte, pensiero e idea della morte. Attraverso le estensioni Caprice interagisce attivamente e in maniera polimorfa e perversa con Saul “lo seduce, inizia a trafiggerlo, gliene fa vedere di tutti i colori, e innanzi tutto lo nomina, cioè lo forsenna”.
Nello stesso tempo si realizza, per così dire, un feticismo dell’interno. La performance è una parafilìa che consiste nello spostamento della meta sessuale dalla persona integra alla (in questo caso) distesa delle sue componenti organiche interne. E viene in mente, durante questo campo e controcampo fra la donna che taglia e le viscere che fuoriescono la scena di seppuku alla fine di Patriottismo, l’unico, meraviglioso film di Y. Mishima, dove era di nuovo la donna a tagliare il corpo dell’uomo provocando la fuoriuscita, stavolta incontrollata, della materia organica che però era nello stesso tempo ritualizzata dalla cerimonia e condensata dal calligramma che dava il titolo al film. Caprice e Saul, come la coppia di Patriottismo, sono uniti da una faglia che li taglia contaminandoli reciprocamente; il significante, però slitta, da Patriottismo a, come vedremo, Erotismo.
L’interno del corpo può essere oggetto di un “concorso di bellezza”, come quello organizzato dal chirurgo plastico Nasati, forse in passato membro della House of Skin, clinica che studiava le patologie della pelle indotti dalla cosmesi, come nel film di Cronenberg del 1970 che è uno degli antecedenti a Crimes of the future e – non può essere un caso – ha il suo stesso nome; e un chirurgo-artista, appassionato di indagini autoptiche appare anche nel romanzo di Cronenberg Consumed. Il medico crea una caverna con chiusura lampo nello stomaco di Saul, che Caprice usa per accedere direttamente, con la bocca (senza quindi più nessuna protesi tecnologica) nell’agognato spazio interno di Saul (e desiderio di accedere all’interno dell’altro fino a divorarlo non era la pulsione che animava, di nuovo, proprio Consumed? – che nella tradizione italiana, Divorati, perde il nesso fondamentale che lega l’atto antropofago alla società dei consumi -; e non era dentro uno squarcio nello stomaco di Max Renn che viene inserito il videotape mutante e patogeno?).
Saul non è l’unico performer: approfittando dell’assenza di dolore e dell’impossibilità di infezione, uomini e donne che rappresentano un’avanguardia estetica e politica, si impiantano orecchie su tutto il corpo cucendosi corpo e bocca, o si tagliano il volto riformulando il concetto di bellezza e approfondendo le dinamiche di autolesionismo e choc catartico delle performance che erano tipiche dell’azionismo viennese.
L’umanità cronenberghiana non smette di mutare e di interagire con la tecnologia in modo creativo, folle, paradossale. Per essere “operato” Saul viene posto dentro una macchina di dissezione modificata, simile ad un’automobile compattata di César Baldaccini (o ad un feretro) che interagisce con il corpo, ibridandolo. Ha ragione Donna Haraway quando, dopo aver definito il cyborg come una creatura che appartiene, nello stesso tempo, alla realtà sociale e alla finzione, aggiungeva che il sesso del cyborg restaura qualcosa del barocchismo riproduttivo delle felci e degli invertebrati, magnifici profilattici organici contro la eterosessualità. Nel caso di Cronenberg il sesso di questa specie in via di definizione è senza contatto. Caprice interagisce sul corpo di Saul durante la performance attraverso una console che ricorda le gamepod, di forma eroticamente commestibile, di Existenz, solo che stavolta il virtuale è l’interno dell’altro. Aprendolo – la prima riga, purissima, possiede lo stesso valore inaugurale di uno dei tagli longitudinali di Lucio Fontana – penetrando nelle profondità organica di lui ed estraendo l’organo in “eccesso” la ragazza gode, come gode Saul quando viene “operato”: la chirurgia è il nuovo sesso, come in Videodrome la carne tecnicizzata di un corpo senza organi era la “nuova carne” e lo schermo TV la protesi del sistema nervoso, convertito nella “retina dell’occhio della mente” (Videodrome, altro film che parlava di una sinistra dipendenza dal terrorismo corporale).
Cronenberg non smette di spostare in avanti le frontiere permeabili dell’erotismo, parte maledetta per eccellenza, che è sempre non desiderio dell’altro, ma desiderio d’altro, d’oltre, e quindi soglia, vuoto dove non c’è più parola (ma una pletora d’organi pulsanti), in un’assenza di fondo e di limiti. Caprice e Saul sperimentano, aperti l’uno all’altro, davanti al tappeto di viscere che si stende fra loro, la letizia nel grembo delle cose.
La comunità che viene non si limita a quella degli artisti-performer. Esiste una seconda comunità di irregolari, guidata da Lang Dotrice, più dichiaratamente politica, di tecnomorfi evoluzionisti che hanno modificato tecnologicamente il loro apparato digestivo e sono adesso capaci di assimilare la plastica e altri sintetici. La loro unica fonte di nutrimento (e qui ritorna in mente uno dei grandi riferimenti di Cronenberg, William Burroughs) è una barra di materiale sintetico chiamata “candy bar”, che sospettiamo possa diventare l’alimento dell’umanità tecnologicamente modificata del futuro, obbligata ad assimilare i propri rifiuti. Ritorna qui, in questa capacità assimilativa della carne mobile all’interno del corpo, l’immagine del tecnomorfo di Tsukamoto Shinya: ma se Tetsuo era un uomo arma, la cui protesi fuoriusciva dopo un movimento, impulsivo, di collera, in questi evoluzionisti non si tratta di far fuoriuscire un’arma ma di assimilare uno scarto.
Questa comunità di mutanti “carbonari” della tecnica è controllata dalla polizia (ma non accadeva lo stesso in Scanners, dove mutanti dotati di poteri telecinetici e telepatici erano ricercati da una multinazionale che produce armi e sistemi di sicurezza?): il potere è ostile alla mutazione, da un lato perché questa si sottrae ai dispositivi di controllo e dall’altro perché percepisce che esso rischia di dissolversi nel ritmo di una vita-bios capace di mutare senza interruzioni al di là delle sue contraddizioni storiche; il potere è il nemico della vita euforica, della vita sovrana, capace di assumere su di sé il panta rei come continua messa in questione dell’integrità contro ogni devitalizzazione reificata dell’esperienza.
L’attività di Saul e Caprice non si limita alla performance. Caprice tatua gli organi che verranno estirpati (il tatuaggio non è solo un ornamento dell’interno, ma sembra interagire con l’organo, complicarlo); inoltre la coppia si rivolge al National Organ Registry (un’istituzione ancora segreta e al limite della legalità) affinché le “creazioni interne” dell’uomo vengano catalogate e archiviate. Perché Saul vuole che i suoi organi mutanti vengano archiviati? Perché si affida ad un dipartimento di governo la cui funzione è, chiaramente, repressiva e di controllo?
Perché la performance è per sua natura effimera; l’organo, una volta asportato, muore come la più miserabile delle appendici: questo atlas del paesaggio interno permette invece di trasformare, in un certo senso, un’insurrezione fisiologica insensata in una forza storica che testimonia di un corpo che cambia.
Li vediamo finalmente, questi organi senza destinazione di Saul, in uno schedario, precisamente disegnati e con sopra una velina con impresso il tatuaggio: sono forme stravaganti, dotate di una sinistra bellezza, belle come le sculture involontarie “raccolte” da Dalì e Brassai (per R. Krauss “la scrittura automatica del mondo”) e le pietre del libro di Callois (anch’esse agenti di una scrittura: ma le pietre sono imperiture quanto gli organi sono effimeri e precari): Saul se non può deciderne lo sviluppo può forse determinarne la forma? Viene alla mente un altro film di Tsukamoto Shinya, Vital: anche lì era centrale questo scrutinio del corpo cavo; anche Hiroshi, il protagonista del film, disegnava ossessivamente organi interni e l’indagine autoptica si connotava di elementi sessuali; ma quello era un film d’amore dove l’indagine nelle profondità del corpo cavo si univa alla ricerca dell’anima e coincideva con l’anamnesi del protagonista; qui, invece è innanzitutto uno spettacolo, uno show, dove ogni cosa è esibita nella sua separazione senza residui.
Un’operazione che si avvicina di più a quella luttuosa (ed energetica) del film di Tsukamoto è la seconda performance di Saul e Caprice: Lang Dotrice chiede loro di dissezionare il figlio morto, Brecken, avuto con una donna interamente “umana”.
Il bambino è speciale perché è capace naturalmente (attraverso la secrezione di una spessa bava biancastra) di assimilare la plastica ed è quindi il primo essere umano “mutante”.
I due performer sono obbligati a modificare il loro dispositivo chirurgico (che è anche un dispositivo ottico) che deve essere riprogrammato al suo uso originario, quello della dissezione. La dissezione, lo ricordiamo, è sempre stata anche, uno spettacolo: pensiamo alle dissezioni di scuola olandese, come quelle, celeberrime di Rembrandt, o, al cinema, a The Knick di Steven Soderbergh (che in un certo senso terminava dove iniziava A dangerous method di Cronenberg) ed è come una performance che viene concepita dai due artisti.
Lang vuole che il figlio venga dissezionato per mostrare al mondo l’avvenuta mutazione. Ma avrà una sorpresa: il corpo cavo del figlio, invece di celare la bellezza convulsa di un corpo “nuovo” (in effetti per Lang, modificando Breton, la bellezza sarà viscerale o non sarà) è mostruoso e completamente tecnomorfo (gli organi sono sinistri, brutali, e assomigliano a un teschio: invece di un principio di vita c’è la visione, scandalosa, della morte: forse mai prima d’ora il cinema è stato in grado di mostrare il lato mortifero, letale, aberrante, della tecnologia); e questo perché gli organi reali del bambino sono stati di nascosto sostituiti da altri, completamente meccanici: il potere vuole tenere segreta la possibilità di una mutazione.
Viene in mente la Tavola 75 di Mnemosyne che Aby Warburg dedica al passaggio della mantica all’anatomia scientifica attraverso la ricerca democritea dell’anima; in atto è un montaggio viscerale dell’ “innerspace” capace di mostrare il transito dalla contemplazione patetica del compianto funebre (istituzione che permette il passaggio dalla crisi irrelata alla presenza ritrovata) all’analisi scientifica (la lezione di anatomia) attraverso l’irrelato della montagna di viscere animali dissezionati da Democrito durante la sua infruttuosa recherche dell’anima.
Analogamente, nel film, si passa dalla contemplazione patetica (che sostituisce il Pianto con l’Eros e l’istituzione del Compianto con quella dell’Arte) allo scrutinio scientifico (essendo, quella sul corpo di Brecken, una seconda, perversa, lezione di anatomia, con tanto di “presentazione” da parte di Caprice-Tulp, assimilata ad un professore non di medicina, ma di “letteratura”); il negativo, l’irrelato, in Cronenberg si trova però, alla fine (con la visione dell’interno del corpo tecnologico e, nello stesso tempo, “marcio” di Brecken: la dialettica dei corpi, per il regista di Crash, è, lo sappiamo, irrimediabilmente negativa). La didascalia esplicativa di Warburg alla sua Tavola ci riserva un’altra sorpresa, e un legame ulteriore con il film. Lo psicostorico allude, secondo la proliferazione rizomatica delle Tavole-organi all’interno dell’archivio della memoria, ad un’altra Tavola dell’Atlas, la n. 42, che illustra come il pathos della sofferenza, in inversione energetica, possa diventare godimento! Ma non era quello che accade nelle performance di Saul e Caprice, dove un’apertura diventa faglia beante, un corpo operato un corpo desiderato, una distesa d’organi l’immagine affezione di un volto, una chirurgia, un’erotica?
Il montaggio di immagini della Tavola 42 si conclude con l’immagine del Cristo morto di Carpaccio, disteso come Saul, come Brecken, intatto certo, ma circondato da una waste land, da un mondo morto, attraversato da poche, dolenti creature che appaiono, tutte, in attesa…
Lang alla fine viene ucciso e il segreto della mutazione rimarrà tale. Ma intanto era riuscito a far sorgere, in Saul, l’ombra del dubbio: è, forse, necessario far proliferare gli organi “nuovi” dentro di sé invece di estirparli, accettando la mutazione (che, come abbiamo visto, è sempre euforica) e non la conservazione. In un certo senso gli suggerisce di andare assai più in là della semplice “mostrazione” (durante la performance) e classificazione (attraverso l’archiviazione), la prima effimera, la seconda reificata: Lang vuole spingere Saul ad una scelta davvero politica, trasformando la proliferazione potenzialmente cancerosa e mortale degli organi in flusso di desiderio che suppone, alla fine, la dissoluzione di tutte le forme stabili dell’organismo: il corpo ripieno di organi fino al collasso è, paradossalmente, un corpo senza organi?
L’ultima scena ricorda i videotape in soggettiva del film della Bigelow Strange Days: il volto in bianco e nero di Saul è ripreso da Caprice nel momento in cui, dato che gli è ormai impossibile consumare cibo organico, si decide ad assaggiare una delle barrette candy che sono mortali per gli uomini “comuni”. Il film si conclude con il volto rilassato di Saul, dal quale fuoriesce una lacrima. È riuscito anche lui, attraverso la creazione di un organo interno adatto (avevano questi organi, quindi, uno scopo che andava trovato o, magari, erano polifunzionali, aperti a una vasta gamma di funzioni che dovevano solo essere identificate? Il senza scopo non è forse ciò che, al di là dell’inutile, non ha ancora trovato una sua collocazione definita?) a modificare se stesso e a evolvere? Evolvere, però, verso dove essendo, in questo primo stadio, l’evoluzione ancora una scommessa? L’evoluzione organica non è infatti (ancora) culturale o spirituale.
L’uomo di domani saprà essere capace di aprirsi ad un uso etico del suo corpo mutato? E a trasformare il crime of the future, l’atto criminale, irrelato, del futuro, in atto politico e visione, plurale, dell’avvenire?
