Come le foglie al vento di Douglas Sirk
Un film del millenovecentocinquantasei
di Francesco Salina
In ogni Chaos c’è un Cosmo. In ogni disordine un ordine segreto, recita un aforisma di Carl Gustav Jung. Douglas Sirk negli anni cinquanta si afferma come insuperato maestro del melodramma cinematografico. Nel tormento dei suoi personaggi, nel vortice che li travolge, lucida-mente disvela l’ordine sotteso e segreto nel caos che li travaglia. Nel disordine dei sentimenti l’ordine che li governa e li travalica. L’apparenza non lo inganna. In Written on the Wind del ’56, vincitore di 7 premi Oscar e tratto liberamente dal romanzo di Robert Wilder del ‘46, raffigura e coinvolge i protagonisti in una vicenda di affetti opposti, caoticamente interattivi e impastoiati tra vita, morte, successi e fallimenti. Un dramma che, finalmente, vedrà una coppia realizzare la propria speranza. Il film inizia dalla fine, ambientato in Texas nella cerchia esclusiva di ricchissimi petrolieri, la stirpe degli Hadley. Un padre con due figli, Kyle e Maylee, più due integrati nel clan, Lucy e Mitch, non ricchi ma belli. Tra attrazioni e repulsioni reciproche i quatto giovani attraversano una complessa vicenda, di passioni, gelosie, di rancori e di vizi, trascinati come foglie dal vento. Sirk raffigura un’America liberista e corrotta, un’America da rifare. Dal soggetto ispirato al romanzo e da lui stesso redatto, anima la sceneggiatura di George Zuckerman classicamente predisposta. Ma, a suo modo abituale, la manipola, non la sovverte. Intreccia uomini e donne, li annoda con inestricabili nodi, o li scioglie. Sentimenti, emozioni, comportamenti, sono rappresentati con sottile insight. Nell’intrigo Maylee ama Mitch che ama Lucy che sposa Kyle fratello di Maylee respinta da Mitch da tempo legato da profonda amicizia con Kyle. Ѐ la sua ombra, ma non il suo doppio, non beve, non va a donne, non si getta via. L’anziano magnate lo predilige, lo preferisce al figlio alcolista e lo coinvolge nella società petrolifera. Sirk dirige un cast prestigioso: Dorothy Malone è Maylee, Rock Hudson è Mitch, Lauren Bacall è Lucy, Rolf Stack è Kile.
Amori segreti o palesi, alcolismo, omoerotismo rimosso, coperto da una grande amicizia, erotismo sfrenato, esibito per dare scandalo in reazione a una disillusione, costruiscono e disfano un plot avvincente. Con un montaggio a tratti ideato a tratti ortodosso, Sirk cura attentamente le toiles de fond, accentua o ammorbidisce il colore, muove la cinepresa con inquieta mobilità, dando forma all’inquietudine dei medesimi attanti intricati. In una fiaba crudele, verosimile e paradigmatica, ciascuno dei quattro rimpiange, vanamente sperando che la felice passata infanzia si rianimi, che le pagine del calendario tornino indietro, come nelle favole belle per bambini buoni. Gettati in un mondo privilegiato e spietato i quattro personaggi sono irretiti tra le maglie di una rete senza scampo. Dopo la scomparsa dell’anziano magnate, i superstiti si interrogano sulla propria identità. Il regista li pone singolarmente a fronte di uno specchio, che li sdoppia, che restituisce sembianze, volti e figure, più distorte che speculate. I quattro elaborano il lutto a modo loro. Pistole e lame si esibiscono e si nascondono, minacciano, puntate contro se stessi e contro gli altri. Ma le autentiche armi non sono queste. Sono quelle celate negli animi, negli sferzanti scontri verbali, nelle trappole della seduzione. Kyle, morirà per un colpo accidentale d’arma da fuoco. Mitch, sospettato, è portato in giudizio. Sarà scagionato dalla testimonianza di Maylee, che prima lo accusa vendicandosi della sua indifferenza, poi pentita e commossa, descrive il fatto, la verità che lo discolpa. Maylee, la più bella, la ricchissima che Mitch ha respinto, la più generosa, la rifiutata, che reattivamente si offre e si concede al primo venuto. La più fragile, che il volgo del luogo chiama ‘la donnaccia’
Douglas Sirk, nato in Germania, esordisce come regista teatrale. Passa al cinema. Dopo l’avvento del nazismo si trasferisce in America. Negli anni cinquanta a Hollywood caratterizza e dà uno stile inconfondibile al melodramma, fino a Fassbinder, fino a Hans-Jürgen Syberberg, nel grembo accogliente del melò cinetico. Aderisce all’uso della cinepresa come caméra-stylo secondo la teoria di Alexandre Astruc del ‘48. E scrive con le immagini. E narra storie di legami e tradimenti, di abbandoni, di amare rivelazioni, di illusioni e disincanti. Ma anche di eroica abnegazione, di dolce malinconia, di speranza, di fedeltà, di poesia. Magistrale cadreur, luce e inquadratura sono le sue magnifiche ossessioni. Non un solo quadro nei suoi film appare in più, e neanche in meno.
Pochi cineasti hanno saputo figurare con la sua sottigliezza alcuni dei misteri racchiusi nell’animo delle donne. Rivisitate le sue opere navigano a vele spiegate, attraversano i mari e i mali, e le virtù umane. Risvelate transitano da film B-movie a film di culto.
The Tarnished Angels (Il trapezio della vita) del ‘58, Written On The Wind (Come le foglie al vento) del ‘56, Captain Lightifoot (Il ribelle d’Irlanda)del ‘55, All That Heaven Allows (Secondo amore) del ‘55
Magnificent Obsession del ’54, All I Desire (Desiderio di donna) del ’53, Has Anybody Seen My Gal? (Il capitalista) del ’52, Thunder On The Hill (La campana del convento) del 1951
Skock proof (Fiori nel fango) del 1949, Slightey French (Amanti crudeli) del 1949, Sleep My Love (Donne e Veleni) del ’48, Lured (Lo sparviero di Londra ) del ‘46
Il suo credo antinazista, antimilitarista, antirazzista, si esprime con forza in Hitler’s Madman (Il pazzo di Hitler)del ’54, in A Time To Love And A Time To Die (Tempo di vivere) del ’58, in Imitation Of Life (Lo specchio della vita) del ’59
Ѐ storicizzato come autore del melò più verace. Anche quello che fa piangere i duri e strazia i cuori. Reiner Werner Fassbinder nel ‘71 di lui ha scritto: I suoi film sono di un uomo che ama la gente invece di disprezzarla come facciamo noi. Ha realizzato film di sangue e di lacrime, di amore e di morte. E ha girato i film più teneri che io conosca. Insuperabile nel melò. Douglas Sirk, cineasta di culto, nei suoi ventinove film caratterizza i finali. Ѐ uno scatto, uno scarto laterale, la sua mossa del cavallo,
il suo mèlos e il suo drama filmati, la sua musica dell’azione. Ѐ il suo melodramma cinematografico.
Come le foglie al vento è un film drammatico. Un dramma a lieto fine. Un finale talmente atteso, talmente sperato da indurre lo stesso autore a definirlo di-sperato.