Cerrar los ojos di Victor Erice
LO SPAZIO ANGOSCIOSO DEI SOGNI
di Alessandro Cappabianca
Se bastano le due sole scene girate di un film incompiuto, o meglio interrotto, “Lo sguardo (la mirada) dell’addio”, a provocare la repentina scomparsa del suo interprete, il grande attore spagnolo Julio Arenas, scomparsa per la quale tutti pensano a un suicidio (ne vengono ritrovate le scarpe, in riva al mare), il regista del film, Miguel Garay (Manolo Solo), suo grande amico, che di questo suicidio non è mai stato convinto, lo ricerca con tenacia, anche profittando di un’inchiesta TV (Casi Irrisolti), pensa di averlo trovato, senza più memoria, in una casa di riposo gestita da suore. Le suore lo chiamano Gardel, Julio Gardel, perché ha l’abitudine di fischiettare un tango.
Miguel si fa intervistare da Marta Soriano, organizzatrice della trasmissione TV, e ribadisce le sue convinzioni. Noi spettatori abbiamo visto la scena iniziale del film, in cui Julio incarica un certo signor Franch, investigatore di cui si fida (anche lui ebreo?), di partire per Shanghai, ricercare, trovare e condurre da lui in Europa una ragazza cinese, sua figlia, che vorrebbe rivedere prima di morire. Non sappiamo però se questa aspirazione si riferisca al personaggio oppure all’attore stesso come persona. Il personaggio è un ebreo sefardita, costretto a cambiare nome parecchie volte: ora si fa chiamare mister Levy.
Arenas (il personaggio? L’uomo?) si identifica col Re degli scacchi, ma il Re è triste. La casa stessa in cui abita l’attore si chiama Triste-le-Roi. Perchè il Re è triste? Fondamentalmente, perchè si sente solo, anche se ha nel cinese Lin-Yu un silenzioso, fedele servitore. Ma ancora una volta: Lin-Yu fa parte della trama del film, è anche lui un attore, o no?
Nelle sue ricerche, Miguel ritrova Anna (Ana Torrent: noi pensiamo subito alla ragazzina dello Spirito de la colmena), probabilmente una delle figlie di Arenas. Ritrova Max, il montatore del film. È convinto che Julio Arenas Gardel ritroverebbe la memoria se potesse vedere le scene girate. Max invece è scettico. Al cinema, dice, i miracoli sono passati di moda da quando è morto Dreyer.
Le vecchie canzoni strappano l’anima. Manca poco che si perda anche Garay, quando si trova a citare Un dollaro d’onore, canticchiando “With My rifle, My Pony and Me”.
Niente è peggiore dei sogni impossibili, se non i sogni realizzati.
Il cinema è pericoloso soprattutto per chi lo fa. Per chi è costretto a (non) ricordare. Girare (dirigere, recitare, vivere), fare cinema come Kubrick, “eyes (wide) shut”, per un doppio sogno alla Schnitzler, è diverso dal serrare gli occhi del tutto, fino a non voler più sapere chi si sia.
Invano Garay cerca di ricordare all’amico come si fanno i nodi alla marinara. Ogni nodo, che dovrebbe aiutare a ricordare, invece stringe attorno a chi lo esegue la ferrea logica della smemoratezza. In questo senso, sono anche nodi lacaniani.
I miracoli non avvengono più.
