Anselm e Perfect Days di Wim Wenders
Bruciatura, Lignificazione, Affondamento, Levigatura degli Angeli
di Edo Mariani
Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza. [1]
Un movimento di macchina svela l’infinito spazio che si nasconde dietro il tronco di un albero.
Una sposa di gesso, dispersa in un bosco d’inverno. Il movimento continua, circolare, le gira intorno, lei è immobile, ma si nasconde e si scopre tra i rami secchi e innevati. È il tempo, che passa, tic tac, un passetto al rintocco, ventiquattro fotogrammi al secondo. È l’immobilità delle cose face au cinéma. È lo strascico di un vestito che somiglia ad un ruscello in continuo movimento, ma niente si muove, se non la macchina da presa. Solo il cinema. Seul le cinéma.
È l’inizio dell’ultimo film in 3D di Wim Wenders. Ed è in 3D perché, in qualche modo, non poteva non esserlo. Com’era stato impossibile non filmare la tridimensionalità della danza in Pina. La tecnologia si presta ad essere il dispositivo con il quale siamo immersi in un altro spazio, il 3D non è altro che la disposizione a più superfici della superfice piatta dello schermo cinematografico. Se l’arte contemporanea ha portato Anselm Kiefer a dipingere immense tele con un lanciafiamme, allora il cinema ha indicato a Wenders il dispositivo del “film documentario in 3D”, dove la plasticità bruciata e levigata dell’arte visiva di Kiefer rievoca infiniti mondi riemersi nella tridimensionalità dei movimenti lenti e provocanti dettati da Wenders.
Da questo incontro audiovisuale riemerge la storia di una Germania di molteplici Angelus Novus, di artisti nati nell’anno della fine della Seconda Guerra Mondiale, con «il [loro] volto rivolto al passato»[2]. I luoghi, i panorami, gli ambienti rappresentati da Wenders e da Kiefer sono spesso degli spazi nei quali gli esseri umani vengono avvolti dalla spirale del tormento, della distruzione e della decadenza.
«L’angelo vorrebbe restare, risvegliare i morti e riparare ciò che è stato distrutto»[3], come in una incessante ricerca di pace in un passato destinato all’autodistruzione, quest’icona in continua fuga dal presente rappresenta allora la triste condizione umana, che trascinata dall’ottimismo del progresso, (del capitalismo) avanza, sperando in giorni migliori, verso nuove rovine ancora in costruzione.
Kiefer raccoglie i rami secchi, le cartacce e le memorie e attraverso dei collages astratti dalle grandi dimensioni reinterpreta la storia contemporanea. Demiurgo delle materie, si allontana con le sue opere dalla linea del tempo e dà vita a spazi, dall’aspetto post-apocalittico, in cui passeggia con leggiadria in sella ad una bicicletta. In Anselm, l’incontro tra Wenders e Kiefer avviene tra le rovine della civiltà occidentale del dopoguerra, entrambi alla ricerca di catturare (con il cinema e con le arti visuali) la graduale perdita dei corpi materiali dell’umanità. Una lenta ascensione al futuro che si sviluppa intensamente nelle esplorazioni del panorama dei grattacieli di pietra Barjac, nelle campagne aperte intorno allo studio dove Kiefer ha lavorato per anni e dove, prima di andarsene, ha costruito I Palazzi Celesti (Die Himmelspaläste).

Meanwhile. Dall’altra parte del mondo, un grande sole nasce sulla distesa di torri e finestre che dipingono il panorama di Tokyo. In alto i colori dell’immensità oltre le nuvole, in basso il buio tra il grigio dei palazzi. Ricordati di guardare in alto. Angelo e artista del quotidiano, Hirayama (interpretato da Kôji Yakusho, attore che ha lavorato molto con Kiyoshi Kurosawa) vive in una casa che ricorda, sia negli interni che negli esterni, Tokyo Monogatari o il giardino di Tarda Primavera. È un uomo felice che ama le piccole cose della quotidianità, e si scorda del tempo quando alza la testa e guarda l’immensità del cielo filtrare tra le foglie degli alberi. Wenders torna a spasso per le strade della grande capitale giapponese, e si riconosce in alcuni piccoli izakaya (居酒屋, in un certo senso l’osteria in giapponese ma intesa nel senso del Sol Levante) dove ci si sente accolti, e al sicuro dalla perdizione della superficie e dal ritmo inarrestabile della vita nella metropoli. Allontanandosi dal suo passato, Hirayama è un uomo amabile, sobrio e sincero, con gli altri e con sé stesso, è in perfetto equilibrio con il suo presente, conosce gli errori del passato e vola leggiadro verso un futuro astratto, ma colorato, e vivo. Come nei dipinti di Kiefer, anche in Perfect Days siamo alla ottimistica ricerca di un luogo di pace, lontano dalla sovversiva e capitalistica visione del mondo di oggi, che lo sta disintegrando, sradicando radice dopo radice, a partire dagli alberi.
Se “Giappone” significa letteralmente “origine del Sole” e «there is a house way down in New Orleans, They call the Rising Sun» nell’immortalità del pezzo degli Animals, Hirayama abita proprio in questo spazio tra le due significazioni di un sole senza tempo. Quando lo vediamo sorridere nel suo furgone blu, in qualche modo si apre una voragine dalla quale intravediamo il senso del viaggio della vita, del senso del viaggio del cinema, delle infinite storie che abitano questo nostro mondo. Il cinema detiene la coscienza di un “aspiratore spazio-temporale”, dove i continui tagli sui dettagli in cui siamo immersi ci proiettano nello sguardo fantastico di un uomo normale che sa guardare le cose normali in modo fantastico. Wenders ci invita in un certo senso a disimparare a leggere il senso delle cose così come ci hanno addomesticato, e ci invita con dolcezza a (ri)guardarle, a (ri)viverle, ci ricorda di non dimenticarci che siamo vivi e che il mondo che ci circonda è nostro amico, ma solo se siamo disposti a considerarlo come tale.
Nei primi anni ’20, il poeta spagnolo Federico García Lorca giustamente si chiedeva se gli alberi fossero «frecce cadute dall’azzurro» e se il fruscio e il canto generato dal vento sulle loro foglie fossero «musiche che vengono dall’anima degli uccelli»[4]. Viaggiatore immaginario, Hirayama trascorre e sperimenta gli altri mondi possibili attraverso l’ascolto di musica in cassetta degli anni ’60 e ’70 (Nina Simone, Lou Reed e la sua Perfect Days, Patti Smith, The Kinks…), la lettura di romanzi sulla natura (William Faulkner, Aya Koda, Patricia Highsmith), e durante le notti produce (per noi spettatori e spettatrici) una serie di collage fotografici in bianco e nero (composti da diverse fotografie e immagini provenienti da Donata Wenders, la compagna del regista). Con un affetto spropositato verso la vita e tutti gli altri esseri presenti sulla terra, siamo accompagnati tra le strade di Shibuya da quest’Angelo daisuki (好き, mi piaci molto, ti voglio tanto bene). Ad un certo punto la nipote, anche da parte nostra, gli chiede: «zio, quell’albero è tuo amico?».
In Perfect Days si parla di ombre, della propria ombra, in cui ci deformiamo, e che si disperde nella proiezione delle foglie sull’asfalto sotto casa, per poi riapparire, così come l’avevamo lasciata. Nel manga L’uomo che cammina (歩く人)di Jirō Taniguchi, un uomo senza nome ma con gli occhiali, compie le sue passeggiate giornaliere soffermandosi sul mondo e le sue grandi manifestazioni nelle piccole cose, e anche lui, spesso, trova pace nell’osservare la natura, nel guardare agli alberi come a degli amici di sempre. Degli amici che erano già lì quando lui è arrivato, e che resteranno lì, una volta che se ne sarà andato.
Alla fine del breve poema, García Lorca si rivolgeva direttamente ai suoi amici alberi, e gli chiedeva speranzoso: «le vostre radici rozze si accorgeranno del mio cuore sotto terra?»[5].
In entrambi i film Wenders monta e rimonta diverse carrellate a seguire i corpi di Anselm Kiefer e di Koji Yakusho mentre pedalano verso un nuovo sole sulle loro biciclette d’epoca.
Anche a me è successo di piangere e ridere allo stesso tempo, mentre ero in automobile, diretto non so più dove. Mi è successo più di una volta…
«It’s a new day
It’s a new life for me
I’m feeling good»[6].

[1] Deuteronomio 30:19
[2] Walter Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, Tesi IX, in: Gesammelte Schriften (Opere complete), a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhäuser, Suhrkamp Frankfurt a. M. 1980, Volume I.2, p. 697.
[3] Ibidem.
[4] Federico García Lorca, Libro de poemas, tradotto da Valerio Nardoni, Passigli Poesia, 2009.
[5] Ibidem.
[6] Nina Simone, Feeling Good.