ANNETTE di Leos Carax
di Francesco Salina
’Illustrissimo pubblico’ aveva scritto nel 1509 Ludovico Ariosto nella presentazione della commedia Il Negromante, era un abbozzo. Nel 1528 la versificò e la rappresentò a Ferrara al cospetto dei Duchi d’Este e della Corte. Nella presentazione si corresse, scrisse e disse ‘Illustrissimi spettatori’. Denotando un insieme attento, attivo e critico. Non un ’pubblico’ passivo, anonimo, generalista.
Leos Carax ingaggia nel cast gli spettatori acclamanti in qualità di vivaci coprotagonisti.
Palesemente e nascostamente citazionista intesse nella trama il filo d’oro che attraversa la Storia del Cinema.
In ogni suo film ce ne sono altri. Citazioni, evocazioni, affezioni con-cor-date. Maschere, metamorfosi attoriali. Trasformazioni, per un cinema differente, antidròmico, che si oppone cioè all’abituale. E opponendosi genera armonie, disarmonie, divergenze.
Adam Driver, Marion Cotillard e la piccola Devyn McDowell, interpretano rispettivamente i ruoli di Henry McHenry, di Ann e di Annette.
In apertura una sferzata godardiana. Lungo la narrazione dardeggia lampeggiando didascalie in sovraimpressione, imprimendo fraseggi sulle immagini, mosse, folgoranti o statizzate. L’ombra di Godard si allunga sull’intero filmato. Ombra maestra.
Jacques Demy, presenza costante, percorre l’opera sottilmente citazionista nel modo proprio a Leos Carax.
Come in Strangulations Blues del 1980. All’incipit svolazzano su fondo nero forme bianche. Aldilà del cinema sperimentale e di ogni avanguardia. Aldiquà nel cinema visionario slegature sintattiche si oppongono a legature grammaticali. Paul e Colette, un breve incontro. L’amore passa, gli amanti sono stanchi. Fondali neri e profondi si interpongono, incidono, alternano frammentazioni. Strangulations Blues. Colette strangolata. Rope, nodo alla gola, Hitchcock si affaccia, overlapping editing, e il tempo si dilata o si restringe. All’excipit un jump cutting ejzenstejniano. Procedimenti analoghi al cut-up e al fold-in di William Burroughs praticato nella sua scrittura, così come l’accostamento di frammenti eterogenei di testi vari teorizzato da Walter Benjamin. Entrambi derivati dal cinematografo. Bianco su fondo nero. Fin de tout. Un film b/n di 16:44 minuti. Cinema audace.
In Boy Meets Girl del 1984. Una ricognizione, un’autopsia della Nouvelle vague. Un estraneo, Alex, si aggira tra le quinte di quel cinema inimitabile. Occhieggia spiando dagli spiragli della sua poetica atemporale. Un incontro, Alex e Mireille, una sola carezza. Un canto appassionato e un canto disperato. Sprazzi di luce e buio finale. Vita fugace.
In Mauvais Sang del 1986. Dall’espressionismo tedesco al cinema francese degli anni sessanta, una ricongiunzione tra cinema silente e sonoro. Carax defigura il poetico, lo converte in politico. Mostra che la poesia è un lavoro sul linguaggio. Big Close Up e primipiani griffithiani. L’espressione dei volti a schermo pieno anticipa emozioni e significazioni della sequenza che segue. Un dolce incontro iniziale con un amaro finale. Un gioco di carte col morto e col baro. Hitchcock si riaffaccia e si ritrae, ombra celata. Una sparatoria. Alex non ha scampo. Mireille lo abbraccia a bout de souffle. Vanamente inseguita corre disperata e tremante. Si inabissa in un vortice cinegrafico. Vita feroce.
Pola x del 1999. Dalla scrittura alla figura. Il film è tratto da Pierre o delle ambiguità, il romanzo di Herman Melville del 1853 che un solo editore osò pubblicare. Una citazione letteraria, ma non letterale. Un’apnea nel profondo di un libro, nella vicenda di un incesto e di un omicidio. Due, tre inquadrature buie. Il buio si accende, c’è più luce, e ombre di questa luce. Ombre, e la luce di queste ombre. Pierre, giovane privilegiato, inaspettatamente incontra Isabel, rivelatasi sua sorella. Abbandona Lucy, notoriamente sua fidanzata. Rimemorazioni, echi di abbracci proibiti, consumati tra fratelli e sorelle, tra madri e figli: The blue lagoon del 1980 di Randal Kleiser. Il falò del 1985 di Fredi M. Murer. The Cement Garden del 1993 di Andrew Birkin. E un rimbalzo sul successivo Ma Mère del 2004 di Christophe Honoré con Isabelle Huppert e Louis Garrel. Il più audace, il più esplicito, il meglio interpretato, il più tragico, rifiutato dal Festival di Cannes. Fedele al romanzo omonimo di George Bataille e al suo erotismo, agito, spinto, mentale, algido. Anche Fleming, Lang e Kubrick si affacciano. Una poetica della discontinuità, asimmetrica, deviante, barocca. Vita e morte si fondono e si confondono, scambiandosi parti e ruoli. Tra l’oralità di una vorace fellatio e la genitalità di un avvolgente abbraccio proibito. Nel dispendio di un potlatch autodistruttivo e definitivo. Un film che nel ’99 fu rifiutato dalla critica e dal pubblico. Il giudizio fu capovolto da Roger Ebert, unico Premio Pulitzer assegnato a un critico cinematografico.
Holy Motors del 2012. Henry motociclista vola lungo le strade. Il faro della moto illumina l’oscurità della notte. Immagina di fuggire il più lontano possibile dalla donna che ama. Tenebre, ambiguità, sacralità. Scorpio Rising di Kenneth Anger del ’63 si impone. Scorpio mette a punto la sua potente moto-feticcio, votato alla morte la cavalca. Carax non scavalca questa filmica suggestione. Vita fatale.
Annette, col. 139 min 2021. Gli Sparks Brothers suonano e cantano rock, attraversano il sorprendente filmato. Frammenti lucenti vorticano nei suoni, e tuoni si odono, tenui o profondi. Cantano rock unitamente agli attori e agli spettatori acclamanti, attanti, attivi e partecipi. Cinema magistrale.
Carax appare, introduce e dispare, con un cameo classico, ma prolungato. Altre citazioni. Un ‘sogno proibito’ di Danny Kaye in The Secret Life of Walter Mitty di Norman McLeod del ‘47, impersonato da Henry, ma in una versione drammatizzata da un gesto criminale, uxoricida.
E un tuffo in piscina di Esther Williams canora, come in Bathing Beauty di George Sidney del ’44, mimato da Ann, che nuotando sul dorso, con ampie, eleganti bracciate canta, fedele al modello.
Ancora una mimica di Danny Kaye, a sua volta mimata, una canzoncina eseguita al pianoforte intrude impertinente.
Evocazioni autorevoli, Griffith, Stroheim, Murnau. Rianimazioni di strips anni ’50 si succedono, si evidenziano, si nascondono. Rendono a tratti il film anche criptico.
Henry McHenry, attore comico di cabaret, si esibisce intabarrato e incappucciato in un ampio mantello. Ci si avvolge, si accuccia, si scappuccia, si distende in terra, muore e risorge. Diverte, sorprende gli spettatori entusiasti. Li delizia, li cimenta e li offende. Balbetta, canta rock all’unisono con un coro di donne. Declama e dichiara di temere le femmine. Ma si innamora di Ann, cantante lirica, stella dell’opera. Nasce un reciproco amore. Si sposano. E nasce una bambina: Annette.
Carax plasma un flusso continuo, interrotto da sequenze di tenero incanto, di erotici intrecci, di sussurri e grida di giubilo. E di violenza, di musica e canti, disincanti, di amori, disamori e di malvagità.
Gettata nel mondo, in quell’universo genitoriale, spettacolare, Annette, estraniata, è una pupattola animata. E nelle fattezze virtuali di un pupazzo di legno, si rivela enfant prodige, strepitosa nel canto trasmessole dalla madre. Il suo aspetto configura e dà corpo finzionale al desiderio dei genitori e al valore d’uso a cui l’hanno destinata. Si esibisce, canta, balla, si atteggia con la grazia di una marionetta e la singolarità di un burattino. Con successo è acclamata in mezzo mondo. Esibita anche lei si afferma come una star. Sotto le luci dei riflettori un’orchestra, diretta da un amico del padre, esalta il suo dolce canto. Ѐ la stella: Baby Annette.
Henry McHenry viene accusato da sei donne di violenze e stupro. L’amore si smarrisce. Ann ha paura, lo teme. Lui non è come le era sembrato. Si disamora. Henry è il giullare di Dio, il suo narcisismo non può accettarlo. È attratto dall’abisso. È malvagio. La uccide.
Dramma, melodramma e musical si intrecciano. Gregoriy Aleksandrov e Norman Jewison con i musicals del ’43 e del ’73 sono presenti. Crazy Movie parlato e cantato senza tregua.
In una esibizione Baby Annette annunzia che Henry McHenry, suo padre, ha ucciso due persone, Ann, sua madre, e un direttore d’orchestra.
Un Eden si muta in Ade.
Henry, negromante tragico, uxoricida, viene arrestato. Un pubblico massificato, una folla in rivolta, lo scorta verso il carcere ammanettato tra due gendarmi. Ѐ aggredito, insultato, deriso, minacciato. ‘Mostro’. ‘Femminicida’. Sconta la pena’. ‘Basta Basta’. ‘Stop femminicidi’ urlano grandi cartelli impugnati, agitati da donne e da uomini infuriati.
Nel dolore e non solo nella gioia creativa Carax sembra duplicarsi, trasferirsi nel suo personaggio. Suo doppio maudit.
Henry imprigionato, nella cella del carcere incontra Annette, non più nelle sembianze della pupattola animata e virtuale, ma bambina vera, dolce e bella. Anche severa e dura però:
Henry: Sei molto cambiata Annette. Molto cambiata. Annette: Anche tu sei cambiato. Ma almeno qui sei al sicuro. Non puoi bere e non puoi fumare vero? Henry: No. Non posso. Annette: E non puoi uccidere nessuno, vero? Henri: Si, solo il tempo. Annette: Non canterò mai più. Pensi che potrò perdonare ciò che hai fatto? Pensi che potrei mai perdonare la mamma? Perdonare entrambi? Una bambina da usare, da sfruttare! Non potrò mai perdonarvi. Henry: No, ti prego, non incolpare Ann. Annette: Non potrò mai perdonarvi. Non potrò mai dimenticarvi. Ora non hai nessuno da amare. Henry: Non posso amarti? Annette: No. Non direi, papà!
Annette è un film fuoriserie. Un film al femminile. Poetico-politico, sovversivo, sorprendente, tanto godibile quanto inquietante. Un film di un francese in lingua inglese. Eversioni sintattiche, audacie grammaticali, in un montaggio a tratti analogico, rimettono in gioco il dinamismo del cinematografo. Ma è la mente che muove. Immagini e suoni echeggiano, si estendono nel fuoricampo. Oltre i confini del quadro coinvolgono l’immaginario spettatoriale. Sguardi loquaci e parole mutaci, figure e forme fanno corpo unico, assemblate, audacemente raffigurate.
Un film tragico, musicale, singolare. Politico-patetico.