Alice Guy, la prima regista della Storia del Cinema
Nel suo cinema muto è l’immagine a farsi loquace
di Francesco Salina
L’Autobiografia di Alice Guy è stata pubblicata postuma da Denoёl-Gonthiere, Paris 1976. Il manoscritto fu proposto dall’autrice a vari editori con il titolo Autobiographie d’une pionière du cinéma. Una donna pioniera del cinema? Non venne presa in considerazione:
Sono venuta al mondo il primo luglio del 1873, a Saint-Mandé, a due passi dal Bois de Vincennes. Spesso mi è stato chiesto perché abbia scelto una carriera così poco femminile. Ma non sono io ad averla scelta, iI mio destino era già tracciato. Uno strano destino, il cinema che aiutai a venire al mondo.
La famiglia di Alice Guy viveva in Cile, la madre volle che almeno uno dei suoi figli nascesse in Francia. Affrontò un lungo, periglioso viaggio fino a Parigi. Alice parigina. Vissero in ristrettezze economiche, fino a che…:
Nel marzo del 1889 una nota del mio professore di stenografia mi informava che il Comptoir géneral de Photographie cercava una segretaria. Il biglietto era accompagnato da una calorosa raccomandazione. Con un certo batticuore e qualche speranza mi presentai. Un impiegato mi annunciò al procuratore del direttore Monsieur Richard. Entrai in un’ampia stanza vetrata. Dietro a una grande scrivania un uomo, giovane dalla figura energica, stava scrivendo, era Léon Gaumont. ‘Che cosa desiderate signorina?’ Cercai di nascondere le maniche lise del mio cappotto invernale. Chiesi un lavoro. ‘Troppo giovane’ disse lui, e io ‘Monsieur…mi passerà’. La risposta piacque a Gaumont. Mi mise alla prova. Mi dettò un paio di pagine. Con le mani tremanti stenografai. Fui assunta come segretaria stenografa. Richard approvò. Feci ritorno al nostro piccolo alloggio. Camminavo a un metro da terra. Saltai al collo di mia madre con la buona notizia. Ignoravo l’avvenire che quell’inizio mi dischiudeva.
Léon Gaumont era un ingegnere, con Max Richard aveva un laboratorio per la costruzione di apparecchi di sua invenzione e riservato allo sviluppo e stampa dei materiali fotografici:
Un pomeriggio Léon Gaumont ricevette la visita di due amici di lunga data Auguste e Louys Lumière. Erano venuti per invitarlo ad assistere a una serata organizzata presso la Société d’Encouragement à l’Industrie Nationale. Assistetti al colloquio e fui a mia volta invitata. ‘’Vedrete’’ dissero ‘’sarà una sorpresa’’. Al nostro arrivo vedemmo che un telo bianco era stato teso contro uno dei muri della sala, all’altra estremità uno dei fratelli Lumière maneggiava un apparecchio simile a una lanterna magica. Si fece buio e vedemmo apparire, su quello schermo di fortuna, l’officina Lumière. Le porte si aprirono e la folla degli operai uscì, gesticolando, ridendo, dirigendosi verso la mensa o verso il proprio alloggio. Poi ci furono i film diventati dei classici, l’arrivo del treno in stazione, l’annaffiatore annaffiato, e così via. Semplicemente avevamo assistito alla nascita del cinema. Qualche giorno più tardi il Cinématographe Lumière offriva le sue prime proiezioni pubbliche nella sala sotterranea del Gran Café, al 14 di Boulevard des Capucines. Ero già posseduta dal demone del cinema.
Nel 1896 Georges Méliès girò sei film brevi, inquadrature fisse con cambi di quadro. In Le cauchemar un primopiano segna il passaggio dai giochi di prestigio teatrali agli effetti cinematografici. Certamente Alice li vide. Aveva delle idee. Affascinata dai film di Méliès propose a Léon Gaumont di girare un film. L’idea lo divertì, lo interessò. Ci rifletté per un momento. Era uomo sagace. ‘Va bene, purché sia breve e costi poco’. Alice girò il suo primo film, La Fée aux Choux di 55’’ nel 1896, una breve fiaba. Inquadratura fissa, la sola Fata, in un giardino, coglie bambini nati sotto i cavoli. Proiettato piacque. Lo replicò in una versione di 2 minuti, tre figure escono, entrano nel quadro. Il film ottenne grande successo. Nelle sue memorie descrive set e cast:
Un lenzuolo dipinto da un pittore di ventagli del quartiere, una scenografia a dir poco approssimativa, file di cavoli ritagliati nel legno da falegnami, costumi noleggiati qua e là nei mercati intorno a Porte Saint-Martin. Come attori alcuni amici, un neonato frignante, una madre inquieta che entrava continuamente in campo, e il mio primo film, La Fée aux Choux, vide la luce. Il pubblico allora non era molto esigente, gli interpreti erano giovani e carini, e il film ottenne abbastanza successo da permettermi di riprovarci’.
Nel cinema silente il silenzio diviene la scena di una figurazione mentale. Avvolge oggetti, paesaggi, persone. La realtà, per sortilegio, si duplica in seducente estraneità, come in un limbo, sospeso, volatile, trasfigurato. Nei suoi brevi film che precedono il 1898 Alice tratta le immagini con quel garbo, tutto francese, che sarà di Demy, Carné, Vigo. Dopo il 1898 si volge al reale. Del cinema muto sovverte l’incantesimo. Sulle orme di Méliès si cimenta in trucchi, effetti speciali, linguaggio filmico. Aldilà di Méliès è stata la prima a sperimentare il sonoro col cronophone creato da Léon Gaumont:
All’esperienza acquisita giorno dopo giorno, al caso e alle coincidenze fortunate, scoprimmo cento piccoli trucchi. Giravamo anche en plein air. Molti dei nostri film erano colorati, fotogramma per fotogramma dipinti a mano, e questo alla maniera di Méliès. Facemmo le prime prove di sonoro con il cronophone, brevettato da Gaumont. Le canzoni e la musica venivano registrate in laboratorio su un cilindro di cera, poi sincronizzate alle immagini. In capo a un anno e mezzo o forse due, il successo si rivelò tale, i profitti furono così notevoli che il consiglio d’amministrazione decise di far costruire un vero studio cinematografico.
Dal 1896 al 1906, ha girato più di 60 film, di pochi secondi, di qualche minuto, e anche più lunghi, stando a quelli ritrovati. Filma eventi realmente accaduti, come Surprise d’une maison au petit jour del 1898 sulla guerra franco-prussiana del 1870. Campilunghi e campimedi, figuranti, soldati combattono, filmati come un‘attualità ricostruita. Nelle inquadrature si evidenzia la sua attenzione ai quadri e disegni di Goya. In Avenue de l’Opera del 1900 immagini proiettate al contrario trasformano un documentario in un film comico. Espagne del 1905, Alice e il suo fedele operatore Anatole Thiberville appaiono. Panoramiche scorrevoli di Granada, Siviglia, Barcellona, cinepresa in movimento costante, tenuta anche abilmente a spalla. Campi medi, fissi e cambi di quadro a stacco.
Da tempo desideravo portare sullo schermo il dramma della Passione di Cristo. In occasione dell’Esposizione del 1900 James Tissot aveva pubblicato una Bibbia illustrata, documentazione di ambienti, costumi, usanze. Acquistai quella Bibbia che ancora posseggo. Partii per la messa in opera del mio progetto. Furono costruite venticinque scenografie, non dei semplici fondali, cifra enorme in quel momento. Gli attori furono scelti con cura. Ci occupammo dei costumi. Alcune scene necessitavano fino a trecento comparse, anche questa una cifra notevole in quegli anni. Nella foresta di Fontainebleau girammo gli esterni. Cominciavamo a saper profittare di un bel paesaggio, di un controluce, di un raggio di sole che filtra tra gli alberi. Le scene dell’Angelo che porge l’amaro calice, la salita al Calvario riuscirono benissimo. La Resurrezione è la più bella delle nostre sovraimpressioni. Ѐ uno dei primi grandi spettacoli cinematografici. Ebbi l’onore, assolutamente raro a quei tempi, di esserne indicata come l’autrice quando il film fu presentato alla Société de photographie.
La Passione, per una lunghezza complessiva di 675 metri, fu realizzata in due mesi, dal dicembre 1905 al gennaio 1906. Si svolge in 24 quadri segnalati da cartelli, da l’Arrivée a Bethléem fino a La Résurrection. Ѐ l’opera più importante del suo periodo francese, prima della partenza per gli Stati Uniti nel 1907
Abile, dettagliata nella scrittura, nelle memorie descrive attentamente luoghi, viaggi, successi, delusioni, caratteri delle persone, come in un’ampia sceneggiatura:
Molti che non hanno mai messo piede in uno studio cinematografico prima del 1930 e probabilmente nemmeno dopo, pretendono di affermare che noi lavoravamo senza sceneggiatura. Niente di più falso. Fatta eccezione per i primissimi film di 20 o 25 metri, tutto era preparato in anticipo. La storia era scritta con cura, l’elenco degli attori, delle scenografie, dei costumi era stilato con molta precisione e distribuito a ogni settore. Diversamente saremmo piombati nel disordine, non avevamo script-girl.
Questa grande pioniera è stata dimenticata, rimossa, equivocata. Una donna non doveva figurare tra gli inventori del cinema. Suoi film sono stati attribuiti ad altri:
Monsieur Sadoul, autore di una storia del cinema dei tempi eroici, male informato e in buona fede ammette lui stesso di non sapere nulla di quell’epoca, e di parlare solo per sentito dire. Aveva attribuito i mii primi film a persone che alla Gaumont hanno fatto forse solo i figuranti. Ho avuto occasione di incontrare Sadoul e di mostrargli i documenti che l’hanno convinto che i film in questione sono opera mia. Mi ha promesso di correggere questa parte della sua storia del cinema nelle successive edizioni, cosa che correttamente ha fatto. Ma il suo elenco contiene ancora alcuni errori, il mio primo film La Fée aux choux è del 1896. La lista esatta e le date sono confermate da cartoline stampate all’epoca dalla compagnia Gaumont.
Fu messa a capo del dipartimento, posto che mantenne per undici anni fino al 1907:
Léon Gaumont ci fece una sorpresa. Ci comunicò che aveva ceduto i diritti di sfruttamento dei brevetti del cronophon a due americani di Cleveland. Per aiutarli a impostare l’attività aveva scelto Herbert Blaché, mio marito, tecnico e operatore della Gaumont. Lo seguii. Lasciavo a malincuore la mia famiglia e il mio paese, convinta di aver abbandonato per sempre il mio bel mestiere. La traversata fu lunga. L’arrivo a New York alle quattro del mattino, la vista della statua della Libertà, i grattacieli nella bruma, non riuscirono a cancellare la mia tristezza. Vedevo tutto attraverso le lacrime che invano cercavo di trattenere. Gli emigranti, le donne cariche di pacchi, una marea di bambini attaccati alle loro gonne, gli uomini, le mani in tasca, mozziconi di sigarette alle labbra, aspettavano ansiosamente che si decidesse la loro sorte.
Gaumon si trasferì negli Stati Uniti. Aprì una rivendita di materiali fotografici, di brevetti di sua invenzione, in un piccolo villaggio alla periferia di Los Angeles. Si chiamava Hollywood. In pochi anni creò il più grande studio cinematografico d’America.
Sulla data del suo primo film, La Fée aux Choux, Alice ha sempre insistito. Sua figlia Simone lo ha confermato con certezza: Il film è stato realizzato da mia madre nel 1896. Non solo è stata dimenticata e rimossa, ma anche non creduta.
La realtà l’appassiona e filma storie vere. Alterna i valori dei quadri, campilunghi, medi e primipiani. Ingaggia centinaia di figuranti. Un cartello, rivolto agli attori, campeggia sul suo set ‘Siate naturali’. Sempre ci sono donne tra i suoi protagonisti. Con audacia nell’America di quegli anni, filma vicende di uomini e donne neri, non utilizza attori bianchi truccati, come di regola al tempo, ma autentici afroamericani, come in A Fool And His Money del 1912, il primo film all-black. Rende inquieta e mobile la cinepresa. Aveva perfettamente acquisito l’uso delle riprese in soggettiva e del montaggio parallelo, poco più tardi divulgato da Griffith. Precede di qualche anno i grandi del cinema muto. Nel 1914 Max Linder è una star, Chaplin fa il suo debutto, Griffith gira Nascita di una nazione. In Italia Arturo Ambrosio filma Gli ultimi giorni di Pompei nel 1908; stesso tema, stesso titolo nel film di Eleuterio Rodolfi del 1913. Le grandi produzioni dei kolossal italiani, La caduta di Troia di Giovanni Pastrone del 1911; Quo Vadis? di Enrico Guazzoni del 1913; Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914. Fu distribuito in America con successo,.Griffith disse di non averlo veduto. Non ci credette nessuno.
Alice prosegue l’Autoiografia, dettagliata, commossa e commovente:
Io e mio marito, Herbert Blaché, decidemmo di costruire un nostro studio, la Solax Corporation, a Fort Lee nel New Jersey che era allora la città del cinema. Era l’epoca dei melodrammi. I film raggiungevano già la lunghezza di 1000 metri.
Firma la regia e filma The Shadow of the Moulin Rouge, A Terrible Night, The Rogues of Paris nel 1913. E lungometraggi di sette rulli, The Ocean’s Waif del 1916 e The Great Adventure del 1918:
Tutto era ammesso, purché ci fosse un lieto fine. L’arte e la realtà non ci guadagnavano certo, e non sempre i critici erano tenerissimi. Il mio miglio critico era il pubblico, al quale mi mescolavo in incognito per ascoltare i giudizi imparziali e a volte ingannevoli, poiché lo stesso film accolto freddamente nella 45° Strada, scatenava l’entusiasmo nella 125° e viceversa. Passavo per essere un fenomeno, visto che per anni ero stata la sola donna regista al mondo.
Tra i suoi film americani di successo: The Tigress del 1914; The Heart of a Painted Woman del 1915; The Vampire del 1915 con Olga Petrova nel ruolo della Vampiressa, prototipo della Vamp fatale; My Madonna del 1915, starring Olga Petrova, storia avvincente di una visione, di un ritratto della Madonna, di amori intrecciati, disamori, passioni mutevoli, inganni, gelosie. L’amore vero in fine trionfa. Linguaggio filmico magistrale, il montaggio rapido rende incalzante la vicenda, cartelli nei momenti opportuni svolgono i dialoghi. E poi What Will People Say? Del 1916; The Adventure del 1917, Tarnished Reputations del 1920. Rappresenta le persone con grande realismo, come sono e non come dovrebbero essere.
Martin Scorsese l’ha apprezzata e studiata. La valuta grande cineasta e grande pioniera creatrice di filmicità, la prima talentuosa regista della storia del cinema.
Dimenticata o appena accennata, con errori, attribuzioni ad altri di suoi film, è stata ritenuta scandalosa, pericolosa per il suo impegno sociale e in qualità di prima cineasta femminista.
Molte donne cineaste sono state dimenticate o rimosse. Donne che furono attive come registe, sceneggiatrici, produttrici nel periodo del muto. Elvira Notari italiana, attrice e regista, dal 1906 al 1929 ha girato 60 lungometraggi caratterizzati da forte realismo. Lois Weber, Mabel Normand, Nell Shipman, Diana Karenne, Musidora interprete di successo dei serials di Louis Feuilllade, Musa di André Breton, di Louis Aragon e dei surrealisti. Regista, tra gli altri suoi film, ha tratto da due romanzi di Colette i film L’ingénue libertine nel 1916 e La vagabonde nel 1917. Sono solo i nomi più noti che si ritrovarono, a un certo punto, nell’impossibilità di lavorare. Nell’ambito di un cinema mascolinizzato le sole donne, tre mosche bianche, sono annoverate e storicizzate quali registe nel ruolo che Alice Guy aveva svolto per prima, Dorothy Arzner americana, negli anni Trenta. Amava le donne, le esalta, le descrive, le narra. Amica di Colette quando Lesbo era moda. Nella Belle Époque ha girato più di 20 film tra cui Fashion’s of Woman del 1927; Working Girls del 1931; La sposa vestita di rosso del 1937 con Joan Crawford; Dance, girl, dance del 1940, una comedy-drama con Maureen O’Hara. Ida Lupino, inglese, negli anni Quaranta attiva in America. Attrice e regista di film di generi diversi, tra cui The Arizonian del 1915; The lady in question del 1940; A rony to remember del 1944; Gilda del 1946. Germaine Dulac, tra i protagonisti dell’avanguardia francese, nel 1928 gira La Coquille et le clergyman un film surrealista. Uniche donne citate nelle storie del cinema come le prime innovative registe. Così non è. Alice Guy le precede di molti anni.
Dal 1896 al 1920 ha girato 700 film, 150 ritrovati, tra cui 22 lungometraggi.
Dal suo primo giro di manovella filma come respira, cosa che sarà propria di Fassbinder, Siberberg, Sokurov.
Nel suo cinema muto è l’immagine a farsi loquace.
L’America, si dice, si riprende sempre quello che ha dato. Decisi di ritornare in Francia con i miei figli. Al mio ritorno mi fu offerta la direzione di uno studio, a patto che versassi una somma importante. Ahimé, non avevo più niente. Collaborai con una rivista femminile, scrissi racconti per bambini, tradussi, eseguii didascalie e così via. Ho vissuto ventotto anni di una vita intensa e interessante. I miei ricordi mi danno a volte un poco di malinconia. È stato un fallimento oppure un successo? Non so.
Ѐ tornata in America nel New Jersey. Ѐ vissuta 94 anni, fino al 1968. Il suo primo film è una breve fiaba. La sua lunga vita non del tutto e non sempre è stata fiabesca.
Be Natural: The Unfold story of Alice Guy, è il documentario presentato a Cannes nel 2019. Troppo tardi.
Otto anni prima, nel 2011, la Cineteca di Parigi l’aveva disvelata a un vasto pubblico, restituendole il ruolo che le spetta tra i grandi pionieri del cinema. Le ha riservato un omaggio con un convegno, una rassegna di suoi film e una conferenza, con sarcasmo titolata ‘Alice Guy è mai esistita?’.